Ascolto del minore
23 Giugno 2016
Inquadramento
In forza delle modifiche introdotte nel codice civile (artt. 315-bis, 316, 336-bis e 337-octies) dalla l. n. 219 del 2012 e dal d.lgs. n. 154 del 2013, la regola dell'ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano ha assunto valenza generale. Il diritto del minore ad essere ascoltato risultava essere già stato ripetutamente sancito nelle fonti normative sovranazionali. Ci si limita a citare l'art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (ratificata con l. n. 176 del 1991), gli artt. 3 e 6 della Convenzione europea dei diritti del fanciullo fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (ratificata con l. n. 77 del 2003) e l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. , firmata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Le questioni giuridiche
Obbligatorietà dell'ascolto. Non è controvertibile che l'incombenza dettata dall'art. 315-bis c.c. sia «atto dovuto» da parte del giudice. Peraltro, l'ascolto può essere motivatamente escluso se sia in contrasto con l'interesse del minore o sia manifestamente superfluo (artt. 336-bis e 337-octies c.c.). Nel primo caso, ogni determinazione deve ritenersi rimessa al giudice (che appare preferibile identificare con il Collegio). Per quanto concerne la seconda ipotesi, l'ascolto potrà non essere disposto quando, per le particolari circostanze del caso, il giudice ritenga motivatamente che sia effettivamente non rispondente all'interesse del minore, potendo arrecargli pregiudizio.
In caso di mancato ascolto non sorretto da espressa motivazione che ne possa giustificare l'omissione, si ha nullità assoluta dell'intero giudizio, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del processo.
Diritto all'ascolto. Il diritto (con il corrispondente obbligo a carico del giudice) all'ascolto è riconosciuto al minore che abbia compiuto i 12 anni (10 anni nel caso dell'art. 371 c.c.), mentre l'ascolto del minore infradodicenne è ammesso soltanto «ove capace di discernimento». Il parametro della «capacità di discernimento» è definibile come attitudine del minore a riconoscere quanto avviene al di fuori della sua sfera personale oppure come capacità di comprendere le proprie esigenze e, nel contempo, di esprimere una decisione consapevole e di operare scelte adeguate per il loro soddisfacimento. Ogni verifica dovrà essere compiuta in concreto.
Forme dell'ascolto. Le regole di massima risultano essere dettate nell'art. 336-bis c.c. Pienamente condivisibile deve ritenersi la scelta dell'opzione dell'ascolto diretto); per il giudice, vedere fisicamente il minore e ascoltarlo parlare rappresenta una grande fonte di conoscenza. All'adempimento dovrà provvedere il Presidente del tribunale o il giudice da esso delegato, avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. Merita menzione la differenziazione di “trattamento” a seconda che all'ascolto provveda il T.O. o il T.M. ; mentre nel secondo caso sarà possibile avvalersi dei componenti privati del T.M., nel primo ci si dovrà avvalere di ausiliari appositamente, di volta in volta, da individuare ex art. 68 c.p.c. tra esperti in scienze psicologiche o pedagogiche. Ciò, nonché porre ingiustificati tratti distintivi tra le varie procedure coinvolgenti i minori, può comportare «disagi» di varia natura e comporterà, senz'altro, nel caso del T.O., protrazione dei tempi e costi aggiuntivi.
Fase processuale dell'ascolto. Indicazioni in proposito, nella gran parte dei casi piuttosto scarne, si rinvengono nelle norme disciplinanti l' “adempimento” nei vari ambiti (artt. 252, 262, 316, 336, 337-octies, 348, 371 c.c.). In sostanza, ogni determinazione è rimessa al giudice.
Modalità dell'ascolto. L'udienza dovrà svolgersi a porte chiuse e in un ambiente adeguato. Dovranno essere contemperate le esigenze delle garanzie del giusto processo e dell'assoluta tutela e salvaguardia psicofisica del minore, della sua serenità, della sua riservatezza e della sua libertà di opinione. L'ascolto deve essere “informato”. La «titolarità» del dovere di dare informazione (sulla natura del procedimento e sugli effetti dell'ascolto) compete al giudice, in via diretta. Nell'art. 336-bis, ult. comma, c.c. è dettato che «dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video». L'incombente – trattasi di «regola assoluta» – deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, con l'adozione, quindi, di tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti. Non pare revocabile in dubbio che la presenza dei genitori non possa, almeno di regola, essere consentita, potendo interferire con le finalità dell'ascolto, di fatto condizionando le dichiarazioni del minore.
Per ciò che concerne la presenza dei difensori, si è annotato che potrebbe essere adottata diversa regola e a sostegno si è addotto che: a) l'esclusione dei difensori potrebbe dare luogo ad eccezioni sulla violazione del diritto di difesa; b) l'intervento dei difensori nel corso dell'audizione dei minori potrebbe contribuire ad un migliore accertamento dei fatti; c) in ogni caso, i legali delle parti potrebbero, prima dell'adempimento, sottoporre per scritto al giudice i temi e gli argomenti meritevoli di approfondimento.
Eccezion fatta per quest'ultimo argomento, che trova supporto nel comma 3 dell'art. 336-bis c.c. (peraltro opinabile, in ragione della natura e delle finalità dell'ascolto), quelli ulteriori ricordati, pur se apprezzabili sul piano dei principi, presentano un vizio di fondo, apparendo assumere a presupposto, erroneo, che le dichiarazioni rese dal minore in sede di ascolto costituiscano una sorta di testimonianza.
Con l'intento di dare soluzione a cospicua parte delle problematiche che inevitabilmente si porranno in materia, il d.lgs. n. 154 del 2013 ha introdotto nell'ordinamento l'art. 38-bis disp. att. c.c., ove è previsto che «Quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici, quali l'uso di un vetro specchio unitamente ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero possono seguire l'ascolto del minore, in luogo diverso da quello in cui egli si trova, senza chiedere l'autorizzazione del giudice prevista dall'articolo 336-bis, secondo comma, del codice civile.». Non è fuor di luogo annotare che il minore, dovendo essere informato dell'uso di tali mezzi, possa essere condizionato nel suo loqui. Conclusioni
Finalità e natura dell'ascolto. Al minore che abbia raggiunto una certa età o comunque capace di discernimento è riconosciuta una soggettività processualmente rilevante: la sua volontà, le sue aspettative, i suoi desideri, le sue opinioni devono essere conosciuti e presi in considerazione dal giudice sia ai fini decisori sia negli interventi attuati in suo favore. L'ascolto del minore non deve e non può consistere nella sua «audizione» (termine che evoca la posizione di domande), bensì unicamente nell'acquisizione delle dichiarazioni e delle opinioni «informate» del medesimo. Lo «stimolo» dovrà realizzarsi non già in forma di attività «inquisitoria», bensì nella mera incentivazione al loqui. Ascoltare il minore non può e non deve tradursi nella semplice richiesta di un suo parere sulla questione oggetto del procedimento o di un'indicazione sul «che cosa fare», bensì deve consistere nel dargli voce, permettergli di leggere dentro se stesso e cercare di comprendere le sue aspirazioni, le sue aspettative, le sue esigenze, i suoi desideri, i suoi timori e tutti i messaggi che provengono dal suo contesto familiare e dal mondo che lo circonda, in quanto solo attraverso questi si possono individuare interventi che abbiano possibilità concrete di incidere positivamente sull'ulteriore sviluppo della sua personalità. L'attività «attiva» dell'ascoltante deve risolversi nel dare al minore capace di discernimento tutte le informazioni necessarie per fargli comprendere quanto sta accadendo e renderlo consapevole delle questioni che lo riguardano. L'ascolto in senso stretto (attività «passiva»), dovrà consistere unicamente nel raccogliere tutto ciò che spontaneamente il minore intende dire su tali questioni.
Valenza dell' “ascolto” sotto i profili processuale e sostanziale Sotto il profilo processuale, l'ascolto giudiziario è lo strumento che dà forma al diritto del minore di partecipare alla sua tutela. L'ascolto del minore è figura sui generis, da considerare mezzo indirettamente strumentale all'acquisizione, da parte del giudice, di elementi di decisione, ma non mezzo di prova né strumento equiparabile agli ordinari mezzi istruttori. L'ascolto non deve essere confuso con l'assunzione di testimonianza o figure a questa assimilabili. L'ascolto è prestare orecchie e attenzione a ciò che il minore vuole esprimere; la testimonianza è il racconto indotto su fatti che interessano al giudice per decidere. L'ascolto ha come soggetto attivo e centrale il minore; la testimonianza vede come protagonista attivo il giudice. L'ascolto è rivolto a raccogliere le “opinioni” (termine da intendere in senso lato) del minore, e solo incidentalmente e marginalmente a ricostruire delle vicende; la testimonianza ha come contenuto il racconto di fatti e in essa sono da escludere le valutazioni e le opinioni. Più in genere, l'ascolto del minore non può essere qualificato un atto di indagine; si tratta, invece, dello strumento diretto per raccogliere le opinioni nonché le valutazioni ed esigenze rappresentate dal medesimo in merito alla vicenda in cui è coinvolto e, nel contempo, per consentire al giudice di percepire con immediatezza, attraverso la sua voce e nella misura consentita dalla sua maturità psicofisica, le esigenze di tutela dei suoi primari interessi (da ultimo: Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1838).
Conclusivamente ed in sintesi estrema, l'ascolto del minore, acquisita la sua estraneità al sistema delle prove, deve ritenersi mezzo mirato a consentire al minore medesimo, nella più adeguata guisa, l'esercizio nella sede processuale del diritto (costituente un diritto della personalità) di far ivi recepire le sue «opinioni» o, più esattamente, di rendere conosciuti il suo vissuto, le sue istanze e le sue esigenze psicologiche e di assistenza, così da garantirgli di prendere parte effettiva a procedure nei cui ambiti devono assumersi provvedimenti nel suo interesse. Nello stesso tempo, viene a consentirsi, in tal modo, al giudice di modulare le decisioni nel rispetto del preminente interesse del minore. Per quanto riguarda la valenza sostanziale dell'ascolto, appare preferibile l'orientamento secondo cui all' «opinione» del minore debba essere attribuita «semplicemente» la funzione di utile elemento per la decisione circa le questioni che lo riguardano, senza alcuna efficacia vincolante per il giudice, che potrà motivatamente disattenderla. È innegabile che a quella che è l'essenziale funzione dell'ascolto (id est: dare voce al minore nei procedimenti che lo riguardano) se ne possa affiancare un'altra, nelle ipotesi, sicuramente non infrequenti, in cui del «prodotto» dell'ascolto si fruisca ai fini decisori, venendo l'ascolto, in quanto atto processuale, a costituire elemento del processo di realizzazione della tutela giurisdizionale. In tal caso, dovranno essere assicurati il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa. La «conformità» a tali «regole» potrà essere assicurata non necessariamente ammettendo le parti processuali a presenziare all'ascolto, bensì facendo sì che l'ascolto si svolga secondo le modalità sopra indicate e che i risultati siano adeguatamente «testimoniati» (verbalizzazione, videoregistrazione etc.). BIANCA C.M., Il diritto del minore all'ascolto (art. 315 bis c.c., inserito dall'art. 1, comma 8, L. n. 219/12), in NLCC 2013, 3, 546; MATTEINI CHIARI S., Il minore nel processo, Milano 2014; MORO A.C., Manuale di diritto minorile (a cura di FADIGA L.), Bologna 2008; PAZE' P., L'ascolto del bambino nel procedimento civile minorile, in DFP, 2006; PESCE R. L'ascolto del minore tra riforma legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in FD 2015, 3, 242;
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