Manifesta infondatezza della querela di falso e principio della ragionevole durata del processo

Caterina Costabile
25 Gennaio 2017

La Corte di Appello può dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso in virtù del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Massima

La Corte di Appello può dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso in virtù del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, potendo i gravi effetti sullo svolgimento e sulla durata del giudizio essere in parte evitati dalla interpretazione restrittiva e sistematica dell'art. 355 c.p.c..

Il caso

Tizia proponeva appello avverso tre sentenze non definitive del Tribunale che avevano rispettivamente dichiarato inammissibile la querela di falso della scheda testamentaria, l'autenticità del testamento e rigettato la domanda di annullamento del medesimo.

La Corte di Appello rigettava il gravame statuendo, in particolare, che la querela di falso è possibile solo quando sia finalizzata a contestare falsità diverse da quelle accertate negativamente nel giudizio di verificazione.

Avverso detta decisione Tizia proponeva ricorso in Cassazione deducendo, tra l'altro, la violazione dell'art. 221 c.p.c. circa la dedotta inammissibilità della querela di falso che può essere fatta valere in ogni stato e grado col solo limite del giudicato.

La S.C. ha confermato la decisione impugnata evidenziando che alla Corte territoriale non è precluso dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso anche in relazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

La questione

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce alla possibilità della Corte di Appello di dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso anche in virtù del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Appello, davanti alla quale sia stata proposta querela di falso, è tenuta ex art. 355 c.p.c. a compiere una indagine preliminare volta ad accertare l'esistenza o meno dei presupposti, che giustificano l'introduzione del giudizio di falso, e cioè se la querela sia stata ritualmente proposta a norma dell'art. 221 c.p.c., e se il documento impugnato di falsità sia rilevante per la decisione della causa.

Il secondo comma della summenzionata norma prescrive, difatti, che la querela di falso – sia in via principale che in via incidentale – deve, a pena di nullità rilevabile d'ufficio e non sanabile, contenere l'indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell'istanza e deve essere presentata dalla parte personalmente o a mezzo di procuratore speciale con atto di citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale d'udienza.

I giudici di legittimità hanno poi chiarito che rientra nella valutazione della rilevanza del documento per la decisione della causa, demandata al giudice di merito per autorizzare la proposizione della querela di falso in via incidentale, esaminare se i mezzi di prova offerti sono idonei, astrattamente considerati ed indipendentemente dal loro esito, a privare di efficacia probatoria il documento impugnato (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1998, n. 2403).

A seguito dell'esito positivo di dette indagini, la Corte non può decidere in merito all'incidente, ma deve sospendere il procedimento di appello, per consentire la riassunzione della causa di falso davanti al Tribunale in guisa che il relativo giudizio possa svolgersi con la garanzia del doppio grado di giurisdizione (Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1984, n. 688).

In definitiva, il giudice d'appello non può, sulla base degli elementi probatori acquisiti al processo, decidere direttamente in merito all'incidente di falso, ma deve limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti necessari per instaurare il relativo giudizio e, ove questa indagine abbia esito positivo, sospendere il giudizio e fissare alle parti il termine per detta riassunzione (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2002, n. 15699).

Ciò nondimeno la Cassazione nella pronuncia in epigrafe ha chiarito che, dovendo l'interpretazione dell'art. 355 c.p.c. essere condotta in collegamento con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, non risulta precluso alla Corte di Appello dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso, potendo i gravi effetti sullo svolgimento e sulla durata del processo essere in parte evitati dalla interpretazione restrittiva e sistematica della summenzionata norma.

Le Sezioni Unite avevano, del resto, già rimarcato che la formulazione dell'art. 221 c.p.c. indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, cost. (Cass., Sez.Un., 23 giugno 2010, n. 15169).

È invero noto che la garanzia del processo giusto e di durata ragionevole esclude, innanzi tutto, che possa ritenersi «giusto» il processo che costituisca esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi, mentre l'effetto inflattivo che deriverebbe dalla moltiplicazione di giudizi si pone in contrasto con la «ragionevole durata del processo», per l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.

Osservazioni

Risulta pacifico in giurisprudenza che l'accertamento della ammissibilità e concludenza della querela di falso e la conseguente sospensione del giudizio fino all'esito di quello sulla querela ha carattere meramente strumentale e non può, quindi, essere autonomamente impugnato in Cassazione (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1993, n. 1333).

Non vi sono, invece, orientamenti uniformi in ordine all'ammissibilità del rimedio del regolamento di competenza esperito contro l'ordinanza di sospensione ex art. 355 c.p.c. a seguito di proposizione di querela di falso.

Un primo orientamento si è espresso per la soluzione negativa sul presupposto della non assimilabilità di tale forma di sospensione alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., relativamente alla quale l'art. 42 c.p.c. prevede espressamente, dopo la modifica apportata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, il rimedio impugnatorio indicato (Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2002, n. 14062). A suffragio di siffatta impostazione è stato, altresì, rilevato che l'ordinanza ex art. 355 c.p.c. costituisce decisione interlocutoria, priva del carattere della decisività, che non determina la contemporanea pendenza di controversie legate da rapporti di pregiudizialità o dipendenza giuridica (Cass. civ., sez. lav., 22 novembre 2011, n. 24621).

Altre pronunce hanno ritenuto che l'ordinanza ex art. 355 c.p.c. ha natura decisoria sulla competenza territoriale relativa a tale giudizio ed è, pertanto, impugnabile con il regolamento necessario di competenza (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2006, n. 6465). La soluzione positiva del quesito è stata giustificata anche in ragione della considerazione che, nell'ipotesi di sospensione del processo ordinata in applicazione di specifiche disposizioni di legge diverse dall'art. 295 c.p.c., il regolamento di competenza deve essere limitato al controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di riferimento, ad evitare un ingiustificato, e non altrimenti rimediabile, arresto, sia pure temporaneo, dell'iter processuale (Cass. civ., sez. VI, 7 giugno 2013, n. 14497). è stato altresì evidenziato che nel caso di cui all'art. 355 c.p.c., allorché sia proposta querela di falso nel giudizio di appello ed il giudice ritenga il documento impugnato rilevante per la decisione della causa, il controllo di legittimità, in sede di regolamento necessario di competenza, va limitato alla verifica che la sospensione sia stata disposta in conformità dello schema legale di riferimento e senza che la norma che la giustifica sia stata abusivamente invocata, non potendosi, invece, procedere a un giudizio anticipato sugli aspetti procedurali o sostanziali della querela di falso, che spettano al giudice della querela, il quale verrebbe altrimenti espropriato della competenza a decidere sulla materia a lui riservata (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2010, n. 18090).

Guida all'approfondimento
  • Guarnieri, Querela di falso in appello, sospensione del processo e regolamento di competenza, in Lavoro nella Giur., 2012, 3, 303;
  • Vanzetti, Querela di falso e sospensione del processo, in Riv. Dir. Proc., 2012, 6, 1502.

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