Onere di allegare nel ricorso la data della comunicazione dell'ordinanza-filtro

Roberta Metafora
04 Agosto 2016

Va rimessa al Primo Presidente la questione se il ricorrente in cassazione abbia l'onere, a pena di inammissibilità del ricorso, di allegare di avere ricevuto la comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-ter c.p.c.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di particolare importanza, se il ricorrente in cassazione abbia l'onere, a pena di inammissibilità del ricorso, di allegare di avere ricevuto, e in caso positivo in quale data, la comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello pronunciata a norma dell'art. 348-ter c.p.c. (1)

Va rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di particolare importanza, se il ricorrente abbia l'onere, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, c.p.c., di depositare la comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello pronunciata a norma dell'art. 348-ter c.p.c. (2)

Il caso

L'ordinanza in commento rinvia alle Sezioni Unite le due diverse ma connesse questioni concernenti l'obbligo per la parte che abbia impugnato in cassazione la sentenza di primo grado a seguito della declaratoria di inammissibilità per mancanza della ragionevole probabilità di accoglimento ai sensi dell'art. 348-bis di:

1) indicare nel ricorso la data di comunicazione dell'ordinanza filtro, a pena di inammissibilità del ricorso;

2) depositare la copia della comunicazione medesima, a pena di improcedibilità del giudizio.

Le questioni

Entrambe le questioni presentano un certo tasso di novità rappresentando l'applicazione al ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 348-ter dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di autosufficienza del ricorso e di improcedibilità dello stesso per mancato deposito, unitamente alla sentenza impugnata, anche della copia autentica della sentenza notificata.

Con riferimento a questa ultima ipotesi, il problema, in particolare, è rappresentato dalla circostanza che l'unica norma applicabile alla fattispecie è l'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., che tuttavia, per ovvie ragioni storiche, prende in considerazione la diversa ipotesi del mancato deposito della copia autentica della sentenza con la relata di notifica.

Per la Cassazione in commento, tuttavia, la circostanza invero non è di impedimento ad una applicazione estensiva dell'art. 369 al caso di specie, perché «sul piano teleologico e sistematico le ragioni a base della scelta del legislatore di richiedere il deposito della notifica insieme al ricorso (consentire alla Corte di verificare con precisione e chiarezza la tempestività del ricorso) valgono nella medesima misura anche nel caso in esame».

Fissato questo punto, va però osservato come non si registri un orientamento univoco all'interno della stessa Corte di legittimità.

Per parte della giurisprudenza, ai fini del controllo sulla tempestività del ricorso per cassazione, qualora il ricorrente alleghi che la sentenza gli è stata comunicata in una certa data, l'obbligo del deposito, da parte dello stesso ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestività della proposizione del ricorso può essere soddisfatto o tramite deposito della comunicazione contestualmente al deposito del ricorso per cassazione o con le modalità previste dall'art. 372 c.p.c. (deposito e notifica mediante elenco alle altre parti), purché sempre con il rispetto del termine di venti giorni dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto. Pertanto, laddove la parte non rispetti i termini e le modalità appena riportate, la Corte dovrà dichiarare l'improcedibilità dell'impugnazione proposta (così Cass. civ., 30 luglio 2015, n. 16169, la quale applica al caso di specie il principio di diritto affermato in passato da Cass. civ., 16 aprile 2009, n. 9004, nonché, tra le molte, da Cass. civ., sez. un., 25 novembre 1998, n. 11932, in GI, 1999, I, 1, 1584 ss.).

All'indirizzo appena ricordato se ne contrapponeva uno più rigoroso e risalente, secondo cui il deposito della sentenza notificata (o comunicata, nel caso del regolamento di competenza) doveva essere contestuale a quello del ricorso, a prescindere dal fatto che negli atti potesse essere rinvenuta una copia non autentica della sentenza o che la stessa fosse stata depositata dal controricorrente (v. ex multis, Cass. civ., 12 gennaio 1983, n. 209, in FI, Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 135; Id., 20 dicembre 1982, n. 7023, ivi, 1982, voce cit., n. 219).

Non sono tuttavia mancate decisioni più liberali, in cui erano ammessi quali equipollenti al deposito della sentenza notificata la produzione della stessa ad opera della controparte o il reperimento nel fascicolo d'ufficio di copia della sentenza impugnata purché autentica (Cass. civ., 21 ottobre 1995, n. 10959, in FI, 1996, I, 138).

Seguendo l'orientamento prevalente, le conseguenze del mancato adempimento sono particolarmente gravi, poiché, come si è appena rilevato, la mancata produzione ex art. 369, n. 2, comporta l'improcedibilità del ricorso, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine. Tale constatazione ha allora spinto la Sezione Sesta-Lavoro a rimettere la questione alle Sezioni unite per permettere il formarsi di un orientamento univoco su un tema così pesantemente incisivo sulle posizioni delle parti.

Con la stessa ordinanza, poi, la Corte di Cassazione rimette alle Sezioni Unite anche la diversa ed ulteriore questione circa l'onere per il ricorrente di allegare nel ricorso l'avvenuto rispetto del termine breve dalla comunicazione dell'ordinanza di secondo grado, quale requisito di forma-contenuto dello stesso ricorso, previsto a pena di inammissibilità dello stesso.

Ritiene sussistente tale onere una parte della giurisprudenza di legittimità, sul presupposto che la data della comunicazione dell'ordinanza di secondo grado sia non solo presupposto dell'impugnazione, ma addirittura requisito essenziale di forma-contenuto del ricorso introduttivo: in tal senso si esprime Cass. civ., 9 ottobre 2015, n. 20236, la quale precisa che comunque l'indicazione della data della comunicazione non esclude il potere della Corte di verificare la corrispondenza al vero di quanto allegato e comunque la tempestività della impugnazione.

Non mancano tuttavia indicazioni in senso contrario: la stessa Cassazione, a Sezioni Unite, in presenza di un ricorso in cui il ricorrente si era limitato a dare atto che l'ordinanza non era stata notificata, senza nulla dire in ordine alla comunicazione, non ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, ma ha proceduto a verificarne la tempestività, dichiarando l'inammissibilità del ricorso non per carenza di un requisito di contenuto-forma del ricorso, ma per tardività dello stesso, accertata mediante esame diretto degli atti (Cass. civ., sez. un., 15 dicembre 2015, n. 25208).

Le soluzioni giuridiche

Come può agevolmente constatarsi dalla lettura della decisione in commento e delle norme oggetto della rimessione alle Sezioni Unite, il contrasto di giurisprudenza coinvolge la corretta interpretazione dell'art. 369, comma 2 e dell'ambito di operatività del principio di autosufficienza del ricorso.

Rinviando al paragrafo precedente per una compiuta esposizione del contrasto esistente, basti in questa sede ricordare come, con riferimento all'onere di deposito tempestivo della copia della comunicazione dell'ordinanza “filtro”, stando all'orientamento sino ad oggi invalso presso la S.C. (e messo in discussione dall'ordinanza in epigrafe), i requisiti che l'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. pretende siano soddisfatti sono funzionali a comprovare:

  • la fedeltà documentale;
  • la tempestività dell'impugnazione.

Dunque, per la giurisprudenza maggioritaria della Cassazione, lo scopo della norma è quello di permettere al Collegio di valutare se la proposizione dell'impugnazione sia avvenuta entro il termine perentorio breve, per poi poter esaminare l'ammissibilità e la fondatezza del ricorso.

Quanto poi all'onere di indicare all'interno del ricorso la data della comunicazione dell'ordinanza filtro, il principio di autosufficienza sembrerebbe, almeno ad avviso di parte della Cassazione, imporre tale adempimento quale requisito essenziale di contenuto-forma del ricorso, anche se tale regola incontra le seguenti eccezioni:

  • quando l'impugnazione sia comunque proposta nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza filtro (così Cass. civ., 12 marzo 2009, n. 6050 e Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12462, in materia di regolamento di competenza);
  • quando l'onere di comunicazione venga escluso per legge;
  • se la comunicazione della cancelleria – da doversi in tal caso necessariamente depositare ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. – risulti inidonea ad individuare il tipo di provvedimento emanato (sul punto Cass. civ., 26 novembre 2015, n. 2412; Cass. civ., 6 ottobre 2015, n. 19949; Cass. civ., 11 settembre 2015, n. 18024).
Osservazioni

Come è stato icasticamente affermato, l'improcedibilità si configura «come la conseguenza, di natura sanzionatoria e perciò doverosamente testuale, di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto, espressamente configurato come necessario a tal fine, della sequenza di avvio di un dato processo» (La China, Procedibilità (dir. proc. civ.), in Enc dir, XXXV, Milano, 1986, 802). Dalla applicazione di tale figura ai processi di impugnazione se ne ricavano due dati certi: il primo, rappresentato dalla rilevabilità d'ufficio; il secondo dalla conseguenza della sua irrimediabilità, nel senso che – a differenza della nullità – non è previsto alcun meccanismo di sanatoria.

Se a questa conclusione giungono (oltre la giurisprudenza prevalente appena citata) anche alcuni autori che si sono occupati della questione (Fabbrini Tombari, Inammissibilità e improcedibilità del ricorso per cassazione e possibili sanatorie per raggiungimento dello scopo, in FI, 1993, I, 3021 ss.), non sono mancate proposte ricostruttive volte a ridimensionare la portata dell'art. 369, comma 2, c.p.c.

È stato al riguardo osservato che se la disposizione presenta un certo grado di ragionevolezza quanto all'onere per il ricorrente di depositare la copia della sentenza impugnata, giacché viene così permesso al cancelliere della Corte di cassazione di verificare se vi sia coincidenza tra la sentenza oggetto di ricorso e il fascicolo d'ufficio del procedimento che è terminato con la sentenza impugnata, del pari non pare dubitabile che il deposito della relata di notifica (i.e. della copia della sentenza impugnata con la relazione di notificazione) o della copia della comunicazione dell'ordinanza sia funzionale solo ed unicamente alla verifica della tempestività dell'atto di impugnazione (Auletta – della Pietra, È il formalismo, bellezza. E non puoi farci niente. Niente”. Sull'improcedibilità del ricorso per cassazione per omesso deposito di copia della sentenza munita di relata, in RDP, 2008, 797 ss., in part. 804). Da quanto appena affermato allora se ne dovrebbe ricavare che, ove nei 20 giorni dal ricorso sia depositata unicamente la copia della sentenza di primo grado e dell'ordinanza di inammissibilità senza che invece il ricorrente abbia provveduto a depositare copia della comunicazione dell'ordinanza filtro, l'improcedibilità del ricorso potrà essere dichiarata solo in caso di omesso deposito nei termini della sentenza notificata (e dell'ordinanza-filtro), essendo permesso al ricorrente di produrre la copia della comunicazione anche successivamente. In tal modo, all'acquisizione della copia della comunicazione dell'ordinanza filtro viene attribuita l'unica (e vera) funzione di consentire il controllo della tempestività dell'impugnazione, attività che la Corte svolge solo nella fase decisoria.

Quanto poi al presunto onere per il ricorrente di allegare nel ricorso l'avvenuto rispetto del termine breve dalla comunicazione dell'ordinanza di secondo grado, quale requisito di forma-contenuto dello stesso ricorso, previsto a pena di inammissibilità dello stesso, può rilevarsi come l'art. 366, n. 4 oneri il ricorrente della specifica individuazione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza, evidenziando così l'oggetto del giudizio di legittimità. È stato così codificato il «principio di autosufficienza» del ricorso per cassazione, che fino al 2006 aveva matrice esclusivamente pretoria, la cui ratio era (ed è) quella di imporre alla parte ricorrente di formulare il ricorso con completezza, onde permettere al S.C. di valutare la fondatezza delle ragioni senza dover consultare gli atti o i documenti di causa (ad es. i verbali delle testimonianze, le relazioni dei consulenti tecnici) o anche la sentenza impugnata.

Il principio riguarda tutti i singoli vizi denunciabili in cassazione, a prescindere che siano qualificabili come errores in iudicando o in procedendo.

Se è vero che il principio di autosufficienza del ricorso è da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi di impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute negli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077), è anche vero, però, che esso «non ha dignità e rango di principio autonomo, come tale implicante un requisito ulteriore, rispetto a quelli elencati nell'art. 366 c.p.c., la cui osservanza sia imposta a pena di inammissibilità del motivo» (Giusti, L'autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in www.cortedicassazione.it, 20).

Se il principio di autosufficienza è funzionale solo a permettere al S.C. di identificare la violazione che il ricorrente assume viziare la sentenza e che fonda la sua richiesta di annullamento (con l'ulteriore corollario che spetta a quest'ultimo indicare alla Corte quali siano gli atti o i documenti ai quali il ricorso fa riferimento), allora, non pare francamente possibile ritenere applicabile detto principio anche al caso di specie: imporre un onere di indicazione della data della comunicazione dell'ordinanza filtro quale requisito di contenuto-forma del ricorso si traduce in un eccesso di formalismo che si pone in contrasto con la funzione di garanzia assegnata dalla Costituzione alla Corte di cassazione.

D'altronde, verso il superamento del rigore formalistico tende non solo una parte della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione (citata supra), ma anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, dalla cui giurisprudenza si trae il monito ad ancorare le sanzioni processuali al canone della proporzionalità e a dare la prevalenza a soluzioni interpretative orientate al ripudio di ogni formalismo (C.edu, 22 novembre 2011, divenuta definitiva il 22 febbraio 2012, caso Andreyev v. Estonia).