Non è revocabile la sentenza di cassazione che abbia erroneamente presupposto l'esistenza di un giudicato, trattandosi di errore di diritto e non di fatto

Sergio Matteini Chiari
03 Luglio 2017

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se l'interpretazione di un giudicato costituisca un giudizio di fatto oppure sia da assimilare all'interpretazione di norme giuridiche e se, di conseguenza, la sentenza «interpretativa» sia da ritenere o meno revocabile.
Massima

Il giudicato, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici, e, conseguentemente, la sua interpretazione non si risolve in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per natura ed effetti, all'interpretazione delle norme giuridiche, sicché l'erronea presupposizione della sua esistenza, equivalendo all'ignoranza della regula iuris, rileva non quale errore di fatto ma quale errore di diritto, derivandone sostanzialmente un vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua disciplina, inidoneo, come tale, ad integrare gli estremi dell'errore revocatorio di cui all'art. 395, numero 4, c.p.c..

Il caso

A., nella qualità di socio della s.r.l. ZZZ, conveniva in giudizio B., socio e presidente del Consiglio di amministrazione della medesima società, chiedendone condanna, ai sensi degli artt. 2943 e 2359 c.c., al risarcimento dei danni causatigli per avere rappresentato una situazione economica e patrimoniale della società non veritiera, determinandolo ad acquistare quote sociali per persona da nominare, poi intestate a moglie e figlio, ad un prezzo notevolmente superiore al valore effettivo.

La domanda veniva accolta dal Tribunale adito.

La pronuncia veniva riformata in sede di appello, avendo la Corte di merito ritenuto carente di legittimazione attiva il contraente originario di un contratto per persona da nominare, in luogo dei contraenti indicati a seguito della electio amici.

Il ricorso per cassazione proposto avverso tale sentenza dall'originario attore veniva dichiarato inammissibile sul rilievo della mancata impugnazione di quella che era stata ravvisata come ulteriore ratio decidendi della Corte territoriale, individuata nella circostanza del pagamento delle quote per un prezzo effettivo non superiore al dovuto (in ragione, essenzialmente, del fatto che i titoli versati a corrispettivo del trasferimento delle quote erano rimasti in parte non pagati), ricavata dal rilievo di un giudicato esterno e fondato su una sentenza (di un giudice di primo grado) fatta oggetto di contraddittorio.

L'originario attore domandava, a tal punto, alla Corte di legittimità la revocazione della sentenza di inammissibilità pronunciata dal Supremo Collegio.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se l'interpretazione di un giudicato costituisca un giudizio di fatto oppure sia da assimilare all'interpretazione di norme giuridiche e se, di conseguenza, la sentenza «interpretativa» sia da ritenere o meno revocabile; se, in altri termini, si configuri, in caso di errore, un errore revocatorio rilevante ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c..

Il ricorrente aveva optato per tale soluzione, deducendo che la circostanza del pagamento delle quote per un prezzo effettivo non superiore al dovuto, in forza del mancato pagamento e della conseguita inesigibilità degli assegni rilasciati a quel titolo, configurava errore revocatorio rilevante ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., considerato che la relativa circostanza era stata riferita dalla sentenza di appello come mera argomentazione dell'appellante e non posta a base di alcuna decisione.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in ragione della non configurabilità dell'asserito errore revocatorio.

A tale soluzione la Corte è pervenuta considerando che, a prescindere dall'inclusione della circostanza del pagamento delle quote sociali per un prezzo effettivo non superiore al dovuto tra i motivi posti o meno in modo espresso dalla Corte di merito a fondamento della decisione successivamente gravata, la sentenza fatta oggetto di ricorso per revocazione era stata comunque univoca nel ritenere sussistente un giudicato esterno incontrovertibilmente formatosi tra le parti, come documentato su atti resi oggetto di contraddittorio fra le medesime, quale elemento fondamentale per escludere il danno addotto anche a titolo di responsabilità extracontrattuale.

Tale passaggio motivazionale della sentenza gravata – id est: rilevazione di giudicato esterno e soluzione della controversia su tale base – è stato qualificato dalla sentenza annotata «come un giudizio o una valutazione e comunque come un apprezzamento»; con la conseguente esclusione della radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto(l'una costituita da quella risultante dalla sentenza del giudice e l'altra da quella emergente univocamente dagli atti e dai documenti di causa) in cui soltanto si risolve l'errore rilevante ai fini della revocazione.

In altri termini, la Suprema Corte è andata dell'avviso (confortato da molteplici precedenti pronunce) che dagli ambiti degli errori di fatto rilevanti ai fini della revocazione deve essere esclusa ogni valutazione od omessa valutazione sulla sussistenza di un giudicato, giacché quest'ultimo - sia esso interno od esterno - costituisce la «regola del caso concreto» e «partecipa della qualità dei comandi giuridici», così che l'erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, come tale inidoneo a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'art. 395 n. 4 c.p.c., «essendo, in sostanza, assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto».

Osservazioni

Le sentenze pronunciate dalla Corte Suprema di Cassazione sono passibili di revocazione «ordinaria» (in tale categoria rientrano le fattispecie di cui ai numeri 4 – sentenza viziata da errore di fatto - e 5 – sentenza contraria ad altra precedente che abbia tra le parti autorità di cosa giudicata - dell'art. 395 c.p.c.) soltanto se viziate da errori di fatto.

Ai sensi dell'art. 391-ter c.p.c. sono soggette a revocazione «straordinaria» (fattispecie di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c.) anche le sentenze della Suprema Corte che abbiano deciso la causa nel merito (v., in argomento, Cass., sez. II, 22 ottobre 2015, n. 21530).

In giurisprudenza è consolidato l'orientamento secondo cui l'azione revocatoria di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c., può essere proposta qualora si supponga l'esistenza di un fatto la cui verità può incontrastabilmente escludersi o nel caso in cui sia stata assunta l'inesistenza di un fatto la cui verità sia stata positivamente stabilita (v. Cass., sez. II, 15 gennaio 2014, n. 702).

In altri termini, l'errore di fatto revocatorio viene fatto consistere in una svista su circostanze decisive, in una falsa percezione della realtà, in un errore obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia) (v., ex multis,Cass., sez. I, 13 agosto 2015, n. 16845; Cass., sez. VI, 13 maggio 2015, n. 9772; Cass., sez. L, 14 novembre 2014, n. 24334; Cass., sez. I, 26 settembre 2013, n. 22080).

Per assumere carattere revocatorio, l'errore di fatto deve essere rilevante ai fini decisori.

Tale requisito ricorre allorché vi sia un necessario nesso di causalità tra l'erronea supposizione e la decisione resa.

Il fatto supposto vero o inesistente, cui si riferisce l'errore, non deve avere costituito un punto controverso nel corso del giudizio, sul quale il giudice ebbe a pronunciarsi.

Si è precisato che l'errore di fatto revocatorio non sussiste nell'ipotesi in cui esso riguardi norme giuridiche, sia di diritto sostanziale che di diritto processuale.

Ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c. (testo vigente a seguito della riforma introdotta con d.l. n. 168/2016 convertito nella l. n. 197/2016), se la sentenza o l'ordinanza pronunciata dalla Corte Suprema di cassazione è affetta da errore di fatto ai sensi dell'art. 395 n. 4, la parte interessata può chiederne la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 ss.

L'errore di fatto idoneo a determinare la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione deve consistere – al pari dell'errore revocatorio imputabile al giudizio di merito - in una falsa percezione di quanto emergente dagli atti, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, rilevabili obiettivamente e con immediatezza (così da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche), che abbia avuto carattere essenziale e determinante, inducendo il giudice ad affermare l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, la cui sussistenza (o insussistenza) risulti invece in modo incontestabile dagli atti, sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (art. 395 n. 4 c.p.c. e, in giurisprudenza, ex multis, Cass., sez. VI, 8 maggio 2017, n. 11202; Cass., sez. L, 5 aprile 2017, n. 8828; Cass., sez. un., 7 marzo 2016, n. 4413; Cass., sez. L, 3 settembre 2015, n. 17513; Cass., sez. VI, 5 marzo 2015, n. 4456; Cass., sez. un., Ord. 30 ottobre 2008, n. 26022).

Come ribadito da ultimo da Cass., Sez. Un., 16 novembre 2016, n. 23306 (in precedenza, nello stesso senso – trattasi di orientamento appieno consolidato -, Cass., sez. VI, 13 gennaio 2015, n. 321; Cass., sez. I, 25 giugno 2008, n. 17443; Cass. sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356; Cass., Sez. Un., 17 novembre 2005, n. 23242; Cass., sez. un., 16 novembre 2004, n. 21639) – posto che «per fatto e giudizio di fatto deve intendersi tutto ciò che attiene all'accertamento o alla ricostruzione della verità o della falsità di dati empirici (fatti o atti) rilevanti per il diritto», mentre «perdiritto e giudizio di dirittosi deve avere riguardo a tutto quanto attiene all'applicazione di norme» -, l'errore revocatorio consiste «in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all'accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell'ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli … » e non può, pertanto, «articolarsi nella deduzione di un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali».

Ciò stante, deve essere categoricamente esclusa dal novero degli errori di fatto rilevanti ai fini della revocazione «ogni valutazione od omessa valutazione sulla sussistenza di un (preteso) giudicato, sia perché quest'ultimo - sia esso interno od esterno - costituisce la "regola del caso concreto" e partecipa della qualità dei comandi giuridici, sicché l'erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto», inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'art. 395, n. 4, essendo, in sostanza, «assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto».

La soluzione raggiunta dalla sentenza in commento appare pienamente e convintamente adesiva ai riportati principi, tanto da averli ribaditi nei medesimi termini.

Non ricorrevano, né ricorrono, d'altronde, ragioni per discostarsi dall'orientamento consolidato.

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