Sui presupposti per la chiusura anticipata della procedura di espropriazione immobiliare
17 Agosto 2016
Massima
In tema di espropriazione immobiliare, l'art. 164-bis disp. att. c.p.c., laddove attribuisce al giudice il potere di disporre d'ufficio la chiusura anticipata della procedura per infruttuosità, non tutela l'interesse del debitore alla vendita del bene ad un determinato prezzo, trattandosi di norma posta, da un lato, a garanzia dell'interesse pubblicistico alla ragionevole durata del processo e, dall'altro, alla protezione dell'interesse privatistico all'economicità della procedura Il caso
Nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare, la debitrice esecutata, a seguito di un ribasso del prezzo dei beni pignorati nel corso dei successivi esperimenti di vendita, formulava al giudice dell'esecuzione istanza volta, in via principale, alla sospensione della vendita ai sensi dell'art. 586 c.p.c. ed, in subordine, alla chiusura anticipata della procedura per infruttuosità ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. Il giudice dell'esecuzione rigetta l'istanza sotto entrambi i profili. La questione
La questione processuale di maggiore interesse, attesa la novità della stessa, è quella che attiene ai presupposti in presenza dei quali, nell'espropriazione immobiliare, può essere disposta la chiusura anticipata della procedura per infruttuosità, avendo riguardo al disposto dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c., introdotto dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132.
Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza che si annota rigetta l'istanza formulata dalla debitrice esecutata volta ad ottenere, a fronte di una diminuzione del prezzo dei beni pignorati nel corso dei successivi tentativi di vendita, la chiusura anticipata della procedura per infruttuosità ex art. 164-bis disp. att. c.p.c. In particolare, tale disposizione stabilisce che quandorisulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo: dalla formulazione letterale della norma si evince chiaramente che, ricorrendo i presupposti enucleati dalla stessa, la chiusura anticipata del processo esecutivo è disposta d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, senza che sia necessario acquisire il consenso del creditore procedente e dei creditori intervenuti Il Tribunale trae le mosse dall'individuazione della ratio del nuovo istituto, sottolineando che lo stesso non si pone l'obiettivo di tutelare il debitore esecutato in vista di una vendita dei beni ad un prezzo analogo a quello di mercato, bensì di assicurare, in una prospettiva pubblicistica, la ragionevole durata del processo esecutivo, nonché di proteggere l'interesse di matrice privatistica alla economicità dell'esecuzione. In ragione di ciò, il provvedimento rigetta l'istanza formulata dalla debitrice evidenziando che, nella fattispecie concreta, il potenziale valore di realizzo degli immobili pignorati (pari, rispettivamente, ad Euro 62.300,00, 150.000,00 ed 82.500,00) non esclude una ragionevole aspettativa di soddisfacimento delle pretese vantate dal creditore procedente e dai creditori intervenuti.
Osservazioni
La decisione in esame è di interesse poiché è una delle prime che si pronuncia sui presupposti per l'operatività dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. Il problema interpretativo di maggiore rilevanza risiede proprio nell'eccessiva latitudine del potere discrezionale rimesso al Giudice dell'Esecuzione nella valutazione delle ipotesi nelle quali non si più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Secondo una prima e più rigorosa prospettazione interpretativa, il Giudice dell'Esecuzione dovrebbe effettuare una valutazione ponderata dell'insieme dei previsti parametri e decidere per la chiusura anticipata della procedura stessa anche laddove, autorizzato il nuovo tentativo di vendita, il credito potrebbe essere soddisfatto soltanto in misura estremamente ridotta, ad esempio del 15-20% (FRANCOLA, 335). Questa interpretazione si fonda sull'assunto che deve darsi prevalenza, in buona sostanza, al principio della ragionevole durata del processo esecutivo, onde evitare la responsabilità dello Stato ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, per la c.d. legge Pinto, e ciò anche ove il rispetto di tale principio comporti un sacrificio dei diritti del creditore. Altra tesi, per converso, è quella secondo cui il Giudice dell'Esecuzione non potrebbe fare applicazione della norma in esame tutte le volte che una parte del credito azionato, anche minima, sarebbe ricavabile, non potendosi il Giudice sostituire alla valutazione del creditore circa la convenienza della procedura esecutiva. Qualora si acceda a quest'ultima e preferibile prospettazione interpretativa, occorre domandarsi, inoltre, se nell'ipotesi in cui, avendo riguardo ai costi necessari per la prosecuzione della procedura e quindi per l'espletamento di nuovi incanti (ad esempio, costi di pubblicità su periodici e quotidiani e compenso spettante al delegato alle vendite), alla probabilità di liquidazione del bene ed al presumibile valore di realizzo, si accerti che almeno le spese sostenute dal creditore procedente possano essere recuperate se sia legittima la chiusura anticipata della procedura esecutiva. A nostro parere anche la risposta a tale quesito deve essere affermativa. Per vero, all'obiezione per la quale aderendo a siffatta tesi si avrebbe una prosecuzione della procedura volta soltanto a ripagarne i costi, può replicarsi che la valutazione demandata al Giudice dalla norma in esame è ampiamente discrezionale ma ha ad oggetto la considerazione delle complessive ragioni di credito, comprese le spese processuali sostenute e maturate, ed il probabile valore di realizzo del bene e, quindi, la ragionevolezza sotto il profilo economico del soddisfacimento della pretesa tenuto conto del complesso di siffatti elementi (cfr. DE STEFANO, 794). Più in generale, il principio costituzionalmente rilevante della ragionevole durata del processo resta accessorio e funzionale al diritto di accesso al giudice, diritto che, per essere effettivo, secondo quanto più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, deve ricomprendere anche quello all'esecuzione di un provvedimento giurisdizionale, in caso di inadempimento dell'obbligato. Deriva da quanto evidenziato che la chiusura anticipata del processo esecutivo ai sensi della disposizione in commento deve costituire un'extrema ratio, percorribile esclusivamente qualora il Giudice, pur avendo adottato tutte le opportune misure, non sia riuscito a fronteggiare le difficoltà che si sono presentate nella vendita del bene e solo nel momento in cui il prezzo base della vendita sarebbe insufficiente anche a coprire, per la maggior parte, i costi della procedura anticipati dal creditore procedente, dovendo, in difetto, su richiesta del creditore, consentire l'espletamento di altri tentativi per recuperare le spese . Rispetto a quanto evidenziato, la soluzione alla quale è pervenuto il Tribunale di Trapani nel provvedimento in commento appare apprezzabile, considerato che il prezzo dei beni che dovevano essere posti in vendita era ancora significativo e tale da poter soddisfare i diritti dei creditori, a quanto è dato evincere dalla lettura dello stesso, almeno in parte. DE STEFANO, Gli interventi in materia di esecuzione forzata nel d.l. 132/2014, in Riv. esec. forzata, 2014, n. 4, 787 ss.; FRANCOLA, Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo, in La nuova riforma del processo civile a cura di SANTANGELI, Roma 2014, 333. |