Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni ai sensi del nuovo art. 38 disp. att. c.c.
Rosaria Giordano
27 Settembre 2016
La modifica dell'art. 38 disp. att. c.c., ad opera della legge n. 219 del 2012, ha “rivoluzionato” il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni. Nell'articolo si esaminano i profili maggiormente problematici, tenendo conto della giurisprudenza di legittimità sulla questione, e delle considerazioni della dottrina più autorevole.
Il sistema precedente
L'art. 38 disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 3 l. 20 dicembre 2012, n. 219, demandava alla competenza del Tribunale per i minorenni l'emanazione dei «provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 171, 194, comma 2, 250, 252, 262, 264, 326, 317-bis,330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'art. 269, comma 1, del codice civile». Nel comma 2 si precisava che rientravano, invece, nella competenza del tribunale ordinario i provvedimenti non attribuiti espressamente alla competenza di una diversa autorità giudiziaria.
Nella vigenza di tale previsione normativa, si riteneva che, quando nell'esercizio della potestà genitoriale si realizzava un pregiudizio all'interesse del minore, la competenza ai sensi dell'art. 333 c.c. si radicava in capo al tribunale per i minorenni. In particolare, la S.C. aveva affermato che, poiché il discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e quella del tribunale per i minorenni deve essere individuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi, rientrano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 c.c. e 38 disp. att. c.c., nella competenza del tribunale per i minorenni le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all'art. 330 c.c., mentre appartengono alla competenza del tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamento del matrimonio o di divorzio, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino solo ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio (Cass. civ., n. 3765/2001).
Tuttavia, anche nell'assetto normativo delineato dalla pregressa formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., appariva problematica l'individuazione dell'autorità giudiziaria competente a decidere in ordine all'esercizio della potestà sul minore, in pendenza di un procedimento di separazione personale tra i genitori. Invero, la questione si correlava al disposto dell'art. 155, comma 3, c.c., che, già nel testo introdotto dall'art. 36 della l. 19 maggio 1975, n. 151, stabiliva che il coniuge separato non collocatario potesse ricorrere al tribunale ordinario nell'ipotesi in cui assumesse l'adozione da parte del coniuge esercente la potestà di decisioni pregiudizievoli al figlio.
In effetti, se non sussistevano dubbi in ordine alla “riserva” di competenza del tribunale per i minorenni ai fini dell'assunzione dei provvedimenti ablativi, ci si interrogava sull'attribuzione, da parte dell'art. 155, comma 3, c.c., di una competenza concorrente al tribunale ordinario per l'adozione dei “provvedimenti convenienti” exart. 333 c.c.
Sulla questione, già prima della riforma di cui alla l. 8 febbraio 2006, n. 54, la Corte di Cassazione aveva chiarito che la tutela della prole rispetto ad una condotta pregiudizievole dei genitori non costituiva ragione esclusiva per radicare la competenza del tribunale per i minorenni ex art. 333 c.c., potendo, per vero, la stessa essere demandata alla competenza del tribunale ordinario, come causa di adozione dei provvedimenti relativi all'esercizio della potestà nella sentenza di separazione o nei provvedimenti assunti ai sensi dell'art. 155, ultimo comma, c.c. (Cass. civ., 11 aprile 1997 n. 3159).
La problematica è stata, in seguito, oggetto di peculiare attenzione da parte di un'altra decisione di legittimità, la quale – considerando i poteri di intervento del tribunale ordinario in pendenza di un procedimento di separazione coniugale tra i gentori ai sensi dell'art. 155 c.c. (anche nella formulazione successiva alla l. n. 54 del 2006), al disposto dell'art. 6, comma 8, della l. 1 dicembre 1970, n. 898, in tema di divorzio ed ai poteri del giudice ordinario adito ex art. 709-ter c.p.c. – ha statuito che non sussiste alcun limite alla competenza del giudice ordinario correlato alla tipologia dei provvedimenti da assumere nei confronti dei minori. In particolare, la S.C. ha sottolineato che tanto il giudice specializzato (nel caso di coppie non coniugate o tra le quali comunque non penda un procedimento di separazione) che il giudice della separazione e del divorzio, a fronte di una situazione di pregiudizio per i minori, possono assumere i provvedimenti volti alla tutela degli stessi. Non trascurabile, nell'argomentare della Corte, è il rilievo per il quale «è assai difficile, se non impossibile, distinguere una domanda di modifica pura e semplice da quella fondata appunto sul comportamento pregiudizievole (o, magari, sul grave abuso) del genitore: la competenza (in questo caso) speciale del Tribunale ordinario, trattandosi di genitori separati, prevarrebbe su quella generale dell'organo giudiziario minorile in materia di limitazione della potestà» (Cass. civ., n. 20352/2011).
La nuova formulazione dell'art. 38 disp. att c.c.
Il quadro normativo del riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario è radicalmente mutato a seguito delle modifiche apportate all'art. 38 disp. att. dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219.
Nell'attuale formulazione, invero, la norma stabilisce che «sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84,90,330,332,333,334,335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316, c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». Peraltro, non può trascurarsi, per la ricostruzione del complessivo quadro normativo, che l'art. 96 del d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha aggiunto al richiamato comma 1 dell'art. 38 disp. att. c.c. un altro periodo che demanda alla competenza del tribunale per i minorenni l'emanazione dei provvedimenti previsti dagli artt. 251 e 317-bis c.c.
Il testo novellato dall'art. 38 disp. att. c.c. continua quindi ad attribuire alla competenza del tribunale minorile i procedimenti de potestate ed a pronunciare i decreti limitativi o ablativi della potestà genitoriale ove ricorrano i presupposti indicati dagli artt. 330 – 335 c.c., competenza che subisce, tuttavia, una significativa deroga in favore del tribunale ordinario quando sia in corso, tra le stesse parti, un giudizio di separazione o divorzio o penda un giudizio sull'esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 316 c.c.
La riforma ha la propria ratio nella concentrazione della tutela, ai fini dell'effettività della stessa, dinanzi ad un unico giudice. Il legislatore, perseguendo tale obiettivo, piuttosto che incidere sui criteri di competenza, ha previsto una vis attractiva tra un procedimento “pilota” ed un procedimento “vicario” al ricorrere di determinate condizioni (DANOVI, 620).
Il novellato art. 38 disp. att. c.c. sembra non attribuire, per converso, alcuna competenza per attrazione del tribunale ordinario di fronte al quale sia in corso un procedimento relativo all'affidamento ovvero all'esercizio della responsabilità genitoriale sui figli di genitori non coniugati ai sensi dell'art. 317-bis, ora art. 337-ter c.c. Secondo alcuni tale lacuna non sarebbe superabile in via interpretativa, in ragione del principio per il quale le norme sulla competenza sono di stretta interpretazione (TOMMASEO, 560).
È stato tuttavia evidenziato, in senso diverso, che andrebbe considerata la finalità normativa di evitare qualsivoglia discriminazione, peraltro con evidenti profili di incostituzionalità, tra i figli correlata allo status giuridico dei genitori (LUPOI, 1293].
Molteplici sono, in realtà, gli interrogativi suscitati dalla novellata formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c.
Nella giurisprudenza della Corte si segnalano, soprattutto negli ultimi mesi, significative pronunce che hanno reso importanti precisazioni sul quadro normativo novellato.
Ambito d'applicazione ratione temporis
Nel delineare l'ambito d'applicazione ratione temporis del novellato art. 38 disp. att. c.c., è stato precisato che la competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell'art. 38 disp. att. c.c. da parte della l. n. 219 del 2012, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della perpetuatio jurisdictionis (Cass. civ., 14 ottobre 2014 n. 21633).
Ne deriva che l'art. 38 disp. att. c.c., nella formulazione successiva alla l. n. 219 del 2012, trova applicazione, in conformità anche alla disciplina transitoria dettata dalla predetta legge, soltanto con riferimento ai procedimenti de potestate introdotti dopo la data del 1° gennaio 2013.
Competenza sui procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all'art. 330 c.c.
Particolarmente complessa è subito apparsa, a seguito della novellazione dell'art. 38 disp. att. c.c. ad opera della l. n. 219 del 2012, l'interpretazione del secondo periodo del comma 1 della predetta disposizione laddove stabilisce che «per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario».
Invero, avuto riguardo alla formulazione letterale di tale previsione, ai fini dell'indivudazione del giudice competente alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., potevano prospettarsi due soluzioni antitetiche.
In particolare, i dubbi derivano dall'utilizzo dell'espressione «nelle disposizioni richiamate nel primo periodo», con riguardo ai provvedimenti devoluti alla competenza del giudice ordinario, in quanto la stessa può essere alternativamente riferita sia al primo periodo della norma, i.e. all'incipit generale della medesima, nel quale è ricompresa l'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all'art. 330 c.c., sia al primo periodo della seconda parte della disposizione che invece limita alle domande ex art. 333 c.c. la deroga alla competenza del tribunale per i minorenni.
Sulla spinosa questione interpretativa (e su altre correlate) è intervenuta la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 1349 del 2015, statuendo che l'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., come modificato dall'art. 3, comma 1, della l. 10 dicembre 2012, n. 219, si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c. e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello.
Più in particolare, la Corte, premessa la difficoltà di distinguere tra provvedimenti de potestate di tipo limitativo e provvedimenti incidenti sull'esercizio della responsabilità genitoriale, conferma, in primo luogo, in ordine alle misure “convenienti” ex art. 333 c.c., la tesi, dominante in dottrina e nella prassi applicativa, per la quale il giudice ordinario del “conflitto familiare”, in pendenza del processo, può assumere qualsivoglia provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale ai sensi della predetta disposizione normativa.
La Corte ha affrontato, poi, nella medesima pronuncia, anche la più complessa questione afferente la possibilità per il tribunale ordinario di emanare un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 330 c.c.
Nell'esaminare siffatta problematica, la S.C., ritenuta inappagante la formulazione letterale del secondo periodo dell'art. 38 disp. att. c.c. (suscettibile, come rilevato, di prestarsi almeno ad una duplice ed opposta interpretazione), ha optato per un'interpretazione teleologica del novellato sistema normativo finalizzata al principio di concentrazione delle tutele che garantisce in modo più pregnante il minore nel superiore interesse del quale devono essere assunte le relative decisioni. In tale prospettiva, pertanto, la Corte afferma che il tribunale ordinario può emettere pronunce di tipo ablatorio della potestà genitoriale, anche al fine di evitare che, mentre si svolge il procedimento di separazione coniugale o di divorzio dinanzi al giudice ordinario, vengano proposte azioni “di disturbo” dinanzi al tribunale per i minorenni. Peraltro, la Corte non trascura di osservare che è frequente che vengono chieste congiuntamente sia la misura maggiore della decadenza sia quella minore della limitazione della potestà genitoriale, sicché la proposizione contestuale delle due domande impone “il simultaneus processus presso il giudice del conflitto genitoriale, ostando alla ratio ispiratrice della norma di modifica della competenza una loro scissione, con l'attribuzione dell'una (art. 330 c.c.) al tribunale specializzato e dell'altra (art. 333 c.c.) invece al tribunale ordinario”.
Pendenza del giudizio sulla crisi coniugale e del procedimento de potestate tra le “stesse parti”
L'art. 38 disp. att. c.c. correla l'operare della vis attractiva dinanzi al giudice ordinario adito con la domanda di separazione o di divorzio ovvero con un ricorso exart. 316 c.c. alla circostanza che le parti di tale procedimento e di quello promosso di fronte al tribunale minorile siano le stesse.
Sul punto, la S.C. ha precisato che la vis attractiva in favore del tribunale ordinario opera anche quando l'istanza relativa alla limitazione o alla decadenza dalla potestà genitoriale sia stata formulata dal Pubblico Ministero dinanzi al tribunale per i minorenni (Cass. civ., 26 gennaio 2015 n. 1349).
In altri termini, non viene meno il presupposto dell'attribuzione della competenza al tribunale ordinario cui è demandata la risoluzione del conflitto coniugale costituito dalla necessaria pendenza del procedimento de potestate “tra le stesse parti” rispetto alla posizione del Pubblico Ministero.
La soluzione assunta dalla Corte, nella già indicata prospettiva teleologica della concentrazione delle tutele nel superiore interesse del minore, non era scontata, in ragione del differente ruolo del Pubblico Ministero nel processo minorile de potestate ed in quello di separazione e divorzio.
È opportuno ricordare, invero, che nei procedimenti per la limitazione o la decadenza dalla potestà genitoriale che si svolgono dinanzi al tribunale per i minorenni, il Pubblico Ministero può assumere (alla medesima stregua dei parenti) la veste processuale di attore, mentre nei giudizi di attenuazione o scioglimento del vincolo coniugale è soltanto interveniente necessario exart. 70 c.p.c. (TOMMASEO, 562]. Nondimeno, si è anche osservato che, superata la fase iniziale del procedimento, i poteri del Pubblico Ministero interveniente necessario finiscono con il non differire da quelli del Pubblico Ministero al quale è riservato eccezionalmente l'esercizio dell'azione [DANOVI, 623].
La scelta della Corte è argomentata ponendo in rilievo, da un lato, che gli uffici del Pubblico Ministero possono porre in essere meccanismi di raccordo e trasmissione degli atti laddove il procedimento di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale sia stato promosso dagli stessi e, da un altro, che “il regime dell'affidamento del figlio minore risulterà fortemente condizionato dall'azione di misure volte a escludere o limitare la responsabilità genitoriale”.
Appare per converso difficilmente ipotizzabile che possa argomentarsi la sussistenza del presupposto della pendenza dei procedimenti “tra le stesse parti” nell'ipotesi di proposizione del giudizio de potestate dinanzi al tribunale per i minorenni da parte dei parenti (PROTO PISANI, 128), considerato che gli stessi neppure sono legittimati ad intervenire ad adiuvandum nel procedimento sulla crisi coniugale di fronte al tribunale ordinario (cfr. Cass. civ., n. 22081/2009).
Giudizio di separazione o divorzio “in corso” al momento della proposizione del ricorso dinanzi al tribunale minorile
favore del tribunale ordinario chiamato a decidere sulla crisi coniugale, in primo luogo, che la stessa opera per i giudizi che siano già incardinati al momento della proposizione della domanda limitativa o ablativa della potestà genitoriale, dovendo invero intendersi in tal senso il riferimento operato, sebbene con terminologia atecnica, dall'odierno art. 38 disp. att. c.c. ai “giudizi in corso” (Cass. civ., 26 gennaio 2015 n. 1349).
La S.C. ha evidenziato, inoltre, che la predetta norma, laddove dispone, invece, che detta vis attractiva in favore del giudice del conflitto coniugale resta ferma “per tutta la durata del processo” va interpretata nel senso che la stessa indica un continuum che si interrompe soltanto con il passaggio in giudicato. Ne deriva che, ad esempio, il giudizio deve ritenersi ancora in corso durante la decorrenza dei termini per impugnare, nello svolgimento dei procedimenti in sede di gravame, e laddove si verifichino vicende c.d. anomale come la sospensione o l'interruzione del procedimento.
Sotto quest'ultimo profilo la Corte si è quindi discostata dalla posizione per la quale, valorizzando il termine “in corso” in luogo di quello “pendente” utilizzato dal legislatore con riguardo al giudizio c.d. attraente nell'ipotesi di quiescenza (o litispendenza c.d. attenuata) dello stesso dovrebbe riespandersi la competenza del tribunale per i minorenni (SCARSELLI , 676].
Circa l'operare della competenza per attrazione del tribunale ordinario anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o di divorzio laddove siano incarinati i giudizi cameral-contenziosi di revisione previsti dagli art. 710 c.p.c. e dall'art. 9l. n. 898 del 1970, la dottrina, pur nella consapevolezza che la formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. potrebbe indurre ad una differente soluzione, era orientata in senso affermativo in ragione della ratio ispiratrice della riforma [TOMMASEO, 562].
Sulla questione, si è di recente pronunciata nei medesimi termini la Corte di legittimità chiarendo, invero, che la "vis attractiva" del tribunale ordinario relativamente ad un ricorso exart. 333 c.c. opera, ai sensi dell'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., come modificato dalla l. n. 219 del 2012, anche in pendenza di un giudizio di modifica delle condizioni di separazione riguardanti la prole, a ciò non ostando la diversità di ruolo del P.M. nei due procedimenti (ricorrente in quello minorile ed interventore obbligatorio nell'altro), atteso che una diversa opzione ermeneutica, facente leva sul solo tenore letterale della citata disposizione, ne tradirebbe la "ratio" di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele onde evitare, a garanzia del preminente interesse del minore, il rischio di decisioni contrastanti ed incompatibili, tutte temporalmente efficaci ed eseguibili, resi da due organi giudiziali diversi (Cass. civ., ord. n. 10365/2016).
Individuazione del giudice ordinario competente se il procedimento sulla crisi coniugale pende in grado d'appello
Nella vicenda processuale oggetto del regolamento di competenza d'ufficio deciso dalla S.C. con la pronuncia Cass. civ., 26 gennaio 2015 n. 1349, veniva in rilievo specifico il correlato problema dell'individuazione del giudice ordinario competente a decidere sulla domanda de potestate proposta nella pendenza del giudizio di separazione tra i genitori in appello, i.e. se detta competenza spettasse al tribunale ovvero alla corte d'appello.
La Corte si è pronunciata nel senso della sussistenza della competenza, in detta ipotesi, della corte d'appello, evidenziando la tollerabilità della perdita di un grado di giudizio, sia per la mancanza di un principio costituzionale che sancisca il doppio grado di giurisdizione, sia per l'ampiezza di poteri istruttori e delle parti e dell'autorità giudiziaria nel procedimento d'appello nei giudizi in tema di crisi coniguale che segue le forme camerali.
Peraltro, l'attrazione della domanda de potestate nel giudizio ordinario di separazione o divorzio, potrebbe comportare, per altro verso, un accrescimento delle garanzie. Invero, il cumulo tra domande assoggettate a riti differenti implica, exart. 40 c.p.c., che trovi applicazione la disciplina processuale prevista per i giudizi di separazione e di divorzio, sottraendo i procedimenti sulla potestà all'applicazione del rito camerale di cui all'art. 336, comma 2, c.c. Ne deriva che i capi de potestate eventualmente contenuti nella sentenza pronunciata dal giudice della separazione e del divorzio sono assoggettati al medesimo regime impugnatorio della stessa, ossia all'appello o al ricorso per cassazione (TOMMASEO, 562].
È invero risalente la critica alla giurisprudenza di legittimità che nega la ricorribilità per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., dei provvedimenti in tema di potestate in ragione del carattere personalissimo dei diritti sui quali gli stessi incidono e che potrebbe giustificare, come autorevolmente sostenuto, una deroga ai criteri generali in punto di individuazione della c.d. sentenza in senso sostanziale ai fini dell'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione (PROTO PISANI, 74].
Tuttavia, anche di recente, è stato ribadito che l'inammissibilità del ricorso straordinario nella materia in esame si correla alla non definitività dei provvedimenti che, proprio nel superiore interesse dei minori, possono essere oggetto di revisione al mutare delle circostanze di fatto che ne avevano giustificato l'emanazione (Cass. civ., n. 15341/2012).
Rimane invece aperta la questione, peraltro oggetto di differenti interpretazioni in dottrina, avente ad oggetto l'individuazione al giudice ordinario competente a decidere sul ricorso in tema di limitazione e/o decadenza dalla potestà genitoriale proposto nella decorrenza del termine per impugnare la sentenza di primo grado di separazione o divorzio.
Proposizione della domanda dinanzi al tribunale ordinario successivamente all'inizio del procedimento de potestate di fronte al Tribunale per i Minorenni
Altra questione problematica derivante dalla novellata formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. è quella che attiene all'operatività della competenza “per attrazione” del tribunale ordinario del conflitto coniugale anche nell'ipotesi in cui il procedimento di fronte al tribunale per i minorenni fosse già pendente alla data dell'introduzione della domanda di separazione personale o di scioglimento del vincolo coniugale di fronte al tribunale ordinario.
Sulla specifica questione è stato chiarito che, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., come novellato dall'art. 3 della l. 10 dicembre 2012, n. 219, il tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della perpetuatio jurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell'art. 24 della Carta di Nizza (Cass. civ., n. 2833/2015).
Diversamente, una parte della dottrina, nel valorizzare l'utilizzo del termine “in corso” senza alcun riferimento alla necessaria prevenzione del giudizio dinanzi al tribunale ordinario da parte dell'art. 38 disp. att. c.c., ha evidenziato che la competenza del giudice della crisi coniugale deve ritenersi sussistente, in deroga al generale principio della perpetuatio jurisdictionis, anche qualora, al momento dell'introduzione della domanda de potestate dinanzi al tribunale per i minorenni non sia stato ancora proposto il giudizio di separazione o divorzio. Si è osservato che siffatta soluzione neppure si sarebbe posta in contrasto con il principio di economia processuale, in ragione della possibilità di tener conto dell'attività istruttoria compiuta dinanzi al giudice specializzato a seguito della riassunzione del procedimento di fronte al giudice ordinario in ossequio al disposto dell'art. 50 c.p.c. (LUPOI, 1301].
Alla luce dell'orientamento assunto, invece, dalla Corte nella richiamata decisione, resta aperto il problema della possibilità per il giudice ordinario della crisi coniugale investito anche della domanda sull'affidamento della prole di decidere della stessa prima della definizione del procedimento de potestate dinanzi al tribunale per i minorenni. La pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. di quest'ultimo giudizio rispetto alla domanda pregiudicata di affidamento dei minori dovrebbe comportare una sospensione della decisione sull'affidamento [DANOVI, 623].
Guida all'approfondimento
DANOVI, I procedimenti de potestate dopo la riforma, tra tribunale ordinario e giudice minorile, in Famiglia e Diritto, 2013, n. 6, 620;
LUPOI, Il procedimento della crisi tra genitori non coniugati avanti al tribunale ordinario, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2013, n. 4, 1293;
PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che esso determina, in Il Foro italiano, 2012, V, 128;
PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, in Il Foro italiano, 2013, V, 74;
SCARSELLI, La recente riforma in materia di filiazione: gli aspetti processuali, in Il giusto processo civile, 2013, 667;
TOMMASEO, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Rivista di diritto processuale, 2013, n. 3, 560.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
La nuova formulazione dell'art. 38 disp. att c.c.
Ambito d'applicazione ratione temporis
Competenza sui procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all'art. 330 c.c.
Pendenza del giudizio sulla crisi coniugale e del procedimento de potestate tra le “stesse parti”
Giudizio di separazione o divorzio “in corso” al momento della proposizione del ricorso dinanzi al tribunale minorile
Individuazione del giudice ordinario competente se il procedimento sulla crisi coniugale pende in grado d'appello
Proposizione della domanda dinanzi al tribunale ordinario successivamente all'inizio del procedimento de potestate di fronte al Tribunale per i Minorenni