La prova in giudizio della relazione extra-coniugale ai fini dell'addebito della separazione

Giusi Ianni
02 Maggio 2017

Il Tribunale di Milano si è occupato di stabilire se, ai fini dell'addebito delle separazione ad uno dei coniugi, sia possibile interrogare un teste circa l'esistenza di un relazione extraconiugale.
Massima

Nel giudizio di separazione, ove sia stato richiesto l'addebito da parte di uno dei coniugi, non si può interrogare un teste sull'esistenza di una “relazione extraconiugale” della parte, potendosi considerare ammissibili solo domande sui fatti storici dai quali possa desumersi l'esistenza di tale relazione.

Il caso

Nel giudizio di separazione tra X e Y, il primo domandava l'addebito della separazione alla seconda, sul presupposto dell'ascrivibilità della crisi del matrimonio ad una relazione extraconiugale della donna iniziata nell'anno 2013 e, quindi, in costanza di convivenza. Al fine di dimostrare la propria allegazione, X articolava prova orale diretta a chiedere ai testi di pronunciarsi, appunto, circa il fatto che la Y avesse o meno una “relazione extraconiugale” sin dall'inizio del 2013: il giudice istruttore prima e il collegio in sede di decisione poi ritenevano, tuttavia, inammissibile la prova così articolata, potendo il teste soltanto riportare fatti – eventualmente anche fatti dai quali desumersi la sussistenza di una relazione adulterina - ma non valutazioni.

La questione

In un giudizio di separazione, ai fini dell'addebito delle separazione ad uno dei coniugi, è possibile interrogare un teste circa l'esistenza di un relazione extraconiugale?

Le soluzioni giuridiche

Ai sensi dell'art. 244 c.p.c., nella formulazione vigente a seguito della riforma operata dalla l. 26 novembre 1990, n. 353, la prova per testimoni nel processo civile deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata. La prova per testi, quindi, può avere ad oggetto solo fatti obiettivi e non apprezzamenti o valutazioni richiedenti conoscenze tecniche o nozioni di esperienza non rientranti nel notorio (cfr, Cass. civ., Sez. Lav., 8 marzo 2010, n. 5548). Il fatto da provare, inoltre, deve essere non solo dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa (cfr. Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18453). La ratio della disposizione dell'art. 244 c.p.c., è, infatti, quella di consentire all'avversario di formulare i capitoli di prova contraria indicando i propri testimoni e di dare modo al giudice di valutare se la prova richiesta sia concludente e pertinente. Specie in relazione a tale ultimo scopo, la norma in questione deve considerarsi di carattere cogente, sicché la sua inosservanza, da parte di chi propone la prova, determina l'inammissibilità del mezzo istruttorio che, ove erroneamente ammesso ed espletato, non potrà essere tenuto in considerazione dal giudice ai fini della decisione (cfr. Cass. civ., Sez. 1, 31 gennaio 2007, n. 2201).

Tali principi di carattere generale appaiono di applicazione particolarmente problematica nel giudizio di separazione personale, con riguardo alla prova dei fatti dedotti a sostegno della richiesta di addebito della separazione e, in particolare, alla prova del tradimento di uno dei coniugi in costanza di matrimonio. La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che in tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (cfr. Cass. civ, sez. VI - 1, ord., 14 agosto 2015, n. 16859).

Come dare prova, tuttavia, del tradimento dell'altra parte nel giudizio di separazione, se la prova per testi può vertere solo attorno a fatti e non può avere ad oggetto valutazioni personali del testimone? In una pronuncia antecedente a quella in commento (Trib. Milano, ord, 30 novembre 2015, est. Buffone) lo stesso Tribunale di Milano aveva escluso in maniera piuttosto netta la possibilità di provare a mezzo di testimoni l'esistenza di una relazione extraconiugale di una delle parti ai fini dell'addebito della separazione, quale circostanza in sé considerata; ciò in quanto, ad avviso di quel giudice, la nozione di “relazione extraconiugale” assorbe, in sé, almeno tre connotazioni specifiche: 1) una nozione socio-culturale, nel senso di rivelare un fatto deprecabile, in quanto si fa riferimento ad un approccio sentimentale che interviene fuori dal matrimonio e in violazione del dovere di fedeltà; 2) una nozione giuridica, in quanto si richiama una relazione di fatto, denotata da stabilità e continuità; 3) una connotazione antropologica, perché si fa riferimento ad un vincolo affettivo, la “relazione”, in cui c'è lo scambio del sentimento e degli interessi. Trattandosi, quindi, di nozione implicante una valutazione da parte del soggetto a cui viene deferita la prova, si è escluso che essa possa formare oggetto di prova per testimoni. Nella pronuncia in commento, lo stesso Tribunale di Milano, riprendendo il medesimo iter argomentativo, esclude, in quanto generica e valutativa, la prova diretta ad interrogare il testimone sull'esistenza di una “relazione extra-coniugale” di una delle parti con un altro soggetto, ritenendo, di contro, astrattamente ammissibile una prova formulata in maniera tale da tendere alla dimostrazione di fatti specifici da cui ricavare l'esistenza della relazione extra-coniugale (il testimone potrebbe, ad esempio, riferire di aver visto il coniuge parte in causa ed altra persona assieme, in un determinato luogo e momento, mentre si scambiavano un bacio o si abbracciavano).

Osservazioni

La linea interpretativa accolta dal Tribunale di Milano appare certamente conforme al disposto dell'art. 244 c.p.c. e all'interpretazione rigorosa della norma che la giurisprudenza di legittimità propugna, specie nel contesto di una materia particolarmente delicata quale è il giudizio di separazione tra coniugi e la prova della rilevanza del comportamento di uno di essi ai fini del determinarsi della crisi coniugale. Non può ignorarsi, tuttavia, che proprio la peculiarità e la delicatezza della materia aveva portato in passato la stessa giurisprudenza di legittimità ad evidenziare come nel giudizio di separazione personale non potesse pretendersi una prova rigorosa delle cause che avevano determinato l'impossibilita della prosecuzione della convivenza, posto che le stesse ben raramente potevano rinvenirsi in singoli, specifici e ben definiti fatti o episodi, occorrendo, invece, a tal fine, il più delle volte valutare il contegno, il comportamento e la condotta dei coniugi nei loro reciproci e quotidiani rapporti: da qui la conclusione secondo cui in tali giudizi la valutazione di specificità o di genericità della prova testimoniale su quei fatti doveva essere necessariamente condotta con criteri diversi e più ampi di quelli normalmente utilizzati per la prova delle domande e delle eccezioni, purché le prove fossero articolate in modo tale da non vertere su circostanze del tutto vaghe ed astratte (Cass. civ., sez. 1, 25 giugno 1981, n. 4127).

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