Obbligatorietà o facoltà di agire in un unico processo?

Redazione scientifica
28 Settembre 2016

Lo strumento processuale attribuito dall'ordinamento alle parti, quale mera possibilità di agire insieme nello stesso processo in ragione della connessione delle domande proposte (art. 103 c.p.c.), non può essere interpretato come obbligo di agire contestualmente in un unico processo, alla luce dell'art. 111 Cost.

Il caso Tizio, legale rappresentante di una società, essendo rimasto coinvolto in un sinistro stradale che ha comportato danni all'autovettura di proprietà della società, propone due distinte azioni — l'una in proprio e l'altra quale legale rappresentante della società — volte al risarcimento del danno.

La domanda risarcitoria proposta in proprio si conclude con il parziale accoglimento della domanda in forza di sentenza poi passata in giudicato. Anche la domanda proposta in qualità di legale rappresentante della società viene accolta parzialmente dal Giudice di pace. Tizio, nella qualità, impugna la decisione per ottenere l'integrale accoglimento della domanda, ma l'appello viene rigettato dal Tribunale, il quale reputa che l'attore avrebbe dovuto proporre simultaneamente le due domande in un unico processo. Questi, in qualità di legale rappresentante della società, propone ricorso in Cassazione.

Abuso del processo Il Tribunale adito rileva d'ufficio un abuso del processo da parte di Tizio, considerato responsabile della duplicazione della domanda relativa ad un unico evento dannoso. Dal momento che il soggetto che aveva subito lesioni personali era anche il legale rappresentante della società, secondo il Tribunale avrebbe dovuto scegliere se agire contestualmente o separatamente nei confronti dello stesso danneggiante per le lesioni personali e per il risarcimento dei danni all'autovettura. Il fatto di aver scelto di agire disgiuntamente, continua il Tribunale, ha cagionato i medesimi effetti che la giurisprudenza sull'abuso del processo mira ad evitare: duplicazione di un giudizio, aggravamento della posizione debitoria del convenuto e la possibile diversità delle decisioni in ordine ad un unico evento dannoso. Il giudice di primo grado conclude affermando che la diversa soggettività giuridica tra danneggiato e proprietario dell'autovettura restava tale solo sul piano formale.

Non perfetta identità delle parti dei due giudizi Tizio, con i primi quattro motivi di censura, rileva l'erronea estensione del concetto di abuso del processo all'ipotesi di diversità soggettiva dei creditori che convengono con due differenti azioni riguardanti il medesimo sinistro stradale e la erronea estinzione effettuata attribuendo rilevanza alla categoria di “identità soggettiva sostanziale”.

La Suprema Corte esclude anzitutto l'identità della soggettività giuridica e ritiene esistenti due diversi soggetti creditori, affermando che “la sostanziale identità soggettiva nella persona di Tizio non è che la casuale coincidenza nella stessa persona di due soggetti giuridici”, che non assume alcun rilievo rispetto al caso di specie.

Obbligo o facoltà di agire congiuntamente? Ripercorrendo la giurisprudenza, a partire da Cass. civ., n. 23726/2007, la Corte conferma la non configurabilità dell'abuso processuale per il mancato esercizio della facoltà attribuita alle parti di agire nello stesso processo in ragione della connessione delle cause proposte (art. 103 c.p.c.), sottolineando come sia stato proprio il legislatore a regolamentare la separazione dei processi iniziati unitariamente per volontà delle parti (art. 103, comma 2, c.p.c.). Ritenendo abusivo il mancato esercizio di tale facoltà, conclude la Suprema Corte, «l'effetto sarebbe quello di un'interpretazione abrogativa che avrebbe diretta incidenza nelle scelte che sono ordinariamente rimesse all'esercizio della funzione legislativa».

Ciò posto, i giudici di legittimità confermano le osservazioni del giudice di merito, ossia che la duplicazione del processo comporta i medesimi effetti che la giurisprudenza sull'abuso del processo mira ad evitare, affermando che queste considerazioni potrebbero essere di suggerimento al legislatore per riconsiderare le scelte di fondo effettuate.

La Corte accoglie le censure sulla base del principio di diritto sotto riportato, cassa la sentenza impugnata e rimette gli atti al Tribunale.

«Nell'ipotesi che soggetti giuridici diversi subiscano danni derivanti da un unico fatto illecito, lo strumento processuale attribuito dall'ordinamento alle parti, quale mera possibilità di agire insieme nello stesso processo in ragione della connessione delle domande proposte (art. 103 c.p.c.), non può essere interpretato come obbligo di agire contestualmente in un unico processo, alla luce dell'art. 111 Cost. che imporrebbe tale interpretazione per perseguire la ragionevole durata del processo secondo una logica di economia processuale che favorisca l'uso più razionale ed economico possibile delle risorse giudiziarie - atteso che il mancato esercizio di tale facoltà e, quindi, la scelta della via ordinaria di promozione autonoma dell'azione in distinti processi, non integra abuso del processo, attraverso l'utilizzo degli strumenti processuali al di là e oltre i limiti della sua funzionalizzazione alle esigenze di tutela per cui l'ordinamento li appresta, ma il legittimo esercizio di una facoltà espressamente prevista dall'ordinamento».

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