Il diritto al compenso del CTU per i chiarimenti forniti al giudice

Giusi Ianni
28 Novembre 2016

La richiesta di chiarimenti al consulente tecnico d'uffici non giustifica il diritto dell'ausiliario ad un autonomo compenso.
Massima

La richiesta di chiarimenti al consulente tecnico d'ufficio, imposta dall'incompletezza iniziale degli accertamenti svolti, non giustifica il diritto dell'ausiliario ad un autonomo compenso.

Il caso

La G. S.r.l., proprietaria di un complesso immobiliare, affidava alla B. S.r.l., l'esecuzione di lavori di restauro, per i quali l'ing. M.M. era designato come direttore dei lavori, e l'arch. R.G. quale progettista. La committente, poiché riteneva che i lavori non fossero stati eseguiti a regola d'arte, presentando vizi e difetti, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Massa, la B. S.r.l. unitamente all'ing. M. al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti, eventualmente da compensarsi con le spettanze dei convenuti. L'arch. R., con separato atto di citazione, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Massa la G. s.r.l. per ottenere il pagamento del compenso per l'attività professionale svolta in favore della convenuta, oltre al risarcimento del danno all'immagine. La G. s.r.l. si costituiva in giudizio ed in via riconvenzionale chiedeva il risarcimento dei danni scaturenti da presunte inadempienze contrattuali dell'attore. Riuniti i due giudizi, veniva disposta una una consulenza tecnica d'ufficio per la risoluzione delle questioni di ordine tecnico oggetto di controversia. All'esito delle operazioni, in favore del nominato consulente era emesso decreto di liquidazione dell'importo di Euro 30.000,00 per onorari ed Euro 2.300,00 per spese, oltre accessori di legge. Avverso tale decreto di liquidazione proponevano autonomi ricorsi in opposizione la B. S.r.l. e l'arch. R., ex art. 170 D.P.R. n. 115/2002. Il giudice monocratico del Tribunale di Massa, in accoglimento dell'opposizione, dichiarava la nullità del decreto opposto per difetto di motivazione e rideterminava i compensi spettanti al CTU, rilevando, in particolare, l'erroneo ricorso al criterio delle vacazioni da parte del giudice che aveva effettuato la liquidazione (a fronte dell'esistenza di uno specifico criterio inidviduato, rispetto al caso di specie, nell'art. 12, D.M. 30 maggio 2002) e la mancata riduzione dell'onorario ai sensi dell'art. 52, D.P.R. 115/2002, essendo stata la consulenza depositata ben oltre il termine accordato in sede di conferimento dell'incarico. Il consulente D. proponeva ricorso per Cassazione avverso il predetto provvedimento, deducendo la legittimità dell'uso del criterio delle vacazioni - poiché si era in presenza, ad avviso del ricorrente, di un accertamento plurimo, non riconducibile strettamente ad un solo parametro di liquidazione - e invocando, altresì, il proprio diritto al compenso anche per un'ulteriore attività di indagine sollecitata dal giudice del merito in corso di causa.

Tutti i motivi di ricorso erano giudicati infondati dalla Suprema Corte.

La questione

La sentenza in commento, oltre a ribadire un principio ormai consolidato in materia di liquidazione del compenso al CTU – e, peraltro, già ricavabile dalla stessa lettera dell'art. 1 del DM 30 maggio 2002, si sofferma su un'ulteriore problematica spesso ricorrente nella pratica giudiziaria e cioè la sussistenza di un diritto al compenso del consulente tecnico chiamato a chiarimenti dal giudice, d'ufficio o su sollecitazione delle parti.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento, ribadisce il principio per cui, in materia di liquidazione del compenso al CTU, gli onorari a vacazione sono destinati a trovare applicazione rispetto alle sole attività che non siano riconducibili, neppure analogicamente, ad alcuna delle ipotesi specificamente contemplate dallo stesso Decreto e per le quali sia previsto un diverso metodo di determinazione dei compensi (cfr., tra le tante, Cass. n. 17685/2010 e Cass. n. 6019/2015).

I giudici Supremi si soffermano anche su una questione ricorrente nella pratica giudiziaria; e cioè la sussistenza o meno di un diritto al compenso in favore del consulente tecnico chiamato a chiarimenti dal giudice, d'ufficio o su sollecitazione delle parti. Trattasi di evenienza non infrequente anche a seguito della “procedimentalizzazione” del deposito della CTU operata dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, in forza della quale, in sede di conferimento dell'incarico, il giudice assegna alle parti un triplice termine: quello entro cui la relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite; quello entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione; quello, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse (art. 195 c.p.c.). Accade, infatti, spesso che la relazione “finale” del CTU non chiarisca i dubbi rappresentati dalle parti ovvero risenta, comunque, di un'incompletezza iniziale degli accertamenti svolti nella risposta ai quesiti posti dal giudice. Ebbene, secondo la Suprema Corte «i chiarimenti non costituiscono un'attività ulteriore ed estranea rispetto a quella, già espletata e remunerata, oggetto di consulenza, ma un'attività complementare, integrativa e necessaria, al cui compimento il CTU può essere tenuto qualora gli venga richiesto (il che normalmente accade quando la relazione depositata non possa dirsi esaustiva), e di conseguenza in relazione ad essi non spetta un compenso ulteriore rispetto a quello già percepito per la consulenza tecnica».

Osservazioni

Trattasi di conclusione certamente condivisibile, benché implicante la necessità di un distinguo sulle ragioni che hanno portato il giudice alla richiesta di chiarimenti al CTU. Se, infatti, la chiamata a chiarimenti sia dipesa da una inadeguatezza della relazione depositata dall'ausiliario (che non abbia dato compiuta risposta ai quesiti posti in sede di conferimento dell'incarico ovvero non abbia in modo soddisfacente preso posizione sulle controdeduzioni delle parti o dei rispettivi consulenti) nessun compenso aggiuntivo può riconoscersi al consulente, che con i chiarimenti non fa altro che colmare le lacune del proprio operato e portare a compimento l'incarico già ricevuto (e remunerato). Se, invece, la richiesta di chiarimenti sia sorta da un'esigenza di approfondimento nata dalle risposte (esaustive) date dal consulente ai quesiti originariamente posti, ci si trova di fronte ad un accertamento integrativo, che come tale dà diritto ad una ulteriore remunerazione dell'attività svolta.

Guida all'approfondimento
  • Quale precedente conforme alla pronuncia in commento – richiamata all'interno della stessa - si veda Cass., Sez. 3, sent., 2 marzo 2006 n. 4655
  • In dottrina si veda F. Lazzaro – M. Di Marzio, Le spese nel processo civile, Milano, 2010, 470.

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