La domanda riconvenzionale nel rito locatizio

Mauro Di Marzio
29 Agosto 2017

La proposizione della domanda riconvenzionale nel rito locatizio presenta talune particolarità che solo in parte riflettono la disciplina del rito del lavoro, applicabile alle controversie in materia di locazioni. In particolare sorgono questioni peculiari con riguardo al procedimento per convalida ed all'eventuale proposizione della riconvenzionale da parte dell'intimato. Nell'articolo si esaminano i diversi aspetti del problema, tenendo conto della giurisprudenza e della dottrina sulla questione.
La proposizione della riconvenzionale e l'istanza di spostamento dell'udienza

Ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c. il rito locatizio è tendenzialmente assoggettato al rito del lavoro, eccezion fatta per talune norme che in questa sede non rilevano: ciò che occorre rammentare è che tra le norme richiamate in detta disposizione vi è l'art. 418 c.p.c., che disciplina la proposizione della domanda riconvenzionale secondo il rito lavoristico.

Vale al riguardo rammentare che, con la memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c., norma anch'essa applicabile al rito locatizio per il tramite del rinvio contenuto nell'art. 447-bis c.p.c., il convenuto deve a pena di decadenza spiegare le eventuali domanda riconvenzionali, nonché — come ha osservato la dottrina — le eventuali domande di accertamento incidentale dirette a conseguire sulla questione pregiudiziale un accertamento pieno con efficacia di giudicato, ex art. 34 c.p.c. (Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005, 114). La disposizione prevista dall'art. 416, comma 2, c.p.c. va letta in collegamento con il successivo art. 418 c.p.c., il quale, sotto la rubrica: «Notificazione della domanda riconvenzionale », stabilisce al comma 1 che: «Il convenuto che abbia proposto una domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell'art. 416 deve, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice, che a modifica del decreto di cui al secondo comma dell'art. 415, pronunci, non oltre cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza».

Ne discende, con riguardo al rito locatizio, che è inammissibile la domanda riconvenzionale la cui formulazione non è accompagnata dalla richiesta di spostamento dell'udienza, ai sensi degli artt. 416 e 418 c.p.c. (Trib. Monza 15 gennaio 2003; con riguardo al rito del lavoro in senso proprio, tra le molte, v. Cass. 16 novembre 2007, n. 23815; Cass. 17 maggio 2005, n. 10335; Cass. 24 febbraio 2003, n. 2777; Cass. 21 luglio 2001, n. 9965; Cass. 12 agosto 1993, n. 8652; Cass., Sez. Un., 4 dicembre 1991, n. 13025). La decadenza — merita altresì sottolineare — è senz'altro «rilevabile, attenendo alla regolarità della instaurazione del contraddittorio, anche d'ufficio e in sede di legittimità» (Cass. 21 luglio 2001, n. 9965).

Né la decadenza, con conseguente inammissibilità della domanda, rimane sanata per il fatto che l'attore non abbia formulato la relativa eccezione, difendendosi nel merito, ovvero perché il giudice abbia d'ufficio posticipato l'udienza di discussione come avrebbe dovuto fare se l'istanza di cui all'art. 418 c.p.c. fosse stata proposta (v. le cit. Cass. 16 novembre 2007, n. 23815; Cass. 17 maggio 2005, n. 10335; Cass. 24 febbraio 2003, n. 2777; ed in precedenza Cass. 21 luglio 2001, n. 9965; Cass. 2 dicembre 1992, n. 12857; Cass. 19 marzo 1985, n. 2027). È pertanto da ritenersi inammissibile in quanto tardiva in un giudizio di locazione, la domanda proposta con memoria aggiunta dal locatore, il quale formuli solo in corso di causa un'istanza risarcitoria nei confronti del conduttore (Cass. 20 agosto 2003, n. 12214).

Appare dunque distonico rispetto a tale orientamento ampiamente ribadito il principio secondo cui l'inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., domanda riconvenzionale, del disposto di cui al comma 1 dell'art. 418 c.p.c., il quale impone, a pena di decadenza dalla domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza, non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l'attore ricorrente compaia all'udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c. ovvero alla nuova udienza di cui all'art. 418 c.p.c. eventualmente fissata d'ufficio dal giudice, senza eccepire l'irritualità degli atti successivi alla riconvenzione ed accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale (Cass. 1° agosto 2007, n.16955, secondo cui osta ad una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., alla realizzazione della funzione dell'atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell'art. 157, comma 2, c.p.c., sarebbe legittimata a far valere il vizio, essendo appunto quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l'istanza di fissazione dell'udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale).

Il menzionato congegno, tuttavia, trova applicazione con riguardo alla domanda riconvenzionale, ma non alla eccezione riconvenzionale, la quale, attesa tale sua qualità, soggiace alla previsione di cui all'art. 416 c.p.c. — e deve perciò essere formulata a pena di decadenza nella memoria difensiva — ma non a quella di cui all'art. 418 c.p.c., sicché non richiede l'istanza di spostamento dell'udienza (Cass. 4 novembre 2000, n. 14432; Cass. 21 luglio 2001, n. 9965). Anche di recente è stato dunque ribadito, con specifico riguardo al rito locatizio, che la domanda riconvenzionale formulata con la memoria ex art. 416 c.p.c. senza richiesta, ex art. 418 c.p.c., di spostamento dell'udienza è inammissibile, ma non preclude la valutazione, da parte del giudice, del fatto integratore della stessa che assuma valore di eccezione, quale fatto impeditivo, estintivo o modificativo del fatto costitutivo della pretesa dell'attore, ai fini della decisione sulla domanda principale, risultando rispettata la relativa preclusione fissata dall'art. 416 c.p.c. (Cass. 26 maggio 2014, n. 11679).

Ed inoltre, l'istanza di spostamento dell'udienza prescritta per la riconvenzionale, non sarebbe invece richiesta — secondo l'opinione espressa in un'occasione dai giudici di legittimità — nelle ulteriori diverse ipotesi in cui sia consentito inserire, nel processo soggetto al rito del lavoro, domande nuove rispetto a quelle originariamente proposte. In tal senso la S.C. ha escluso che l'onere previsto dall'art. 418 c.p.c. sia estensibile all'ipotesi di domanda in via di regresso proposta da un convenuto nei confronti di altro convenuto. Nel rito del lavoro, l'onere di chiedere al giudice l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza, posto dall'art. 418 c.p.c., a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, non rispondendo in maniera specifica ed infungibile ad un'esigenza di carattere generale (tant'è che non è previsto incombente analogo nel rito ordinario), costituisce previsione a carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica; tale onere deve pertanto ritenersi sussistente solo nell'ipotesi di domanda riconvenzionale in senso tecnico (ossia di domanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore) e non in tutte le ipotesi di proposizione di qualsivoglia domanda diversa da quella dell'originario attore nei confronti dell'originario convenuto, tant'è che, anche nel rito del lavoro, in ipotesi di chiamata in causa di terzo, non è previsto a pena di decadenza l'onere per il chiamante di richiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza (Cass. 21 agosto 2003, n. 12300).

Con riguardo alla prevista notifica all'attore del decreto che fissa la nuova udienza di discussione (art. 418, comma 3, c.p.c.), si deve rammentare che l'eventuale omissione o vizio della notificazione deve essere sollevato dall'attore, non potendo essere rilevato d'ufficio dal giudice. È stato al riguardo osservato che nel caso in cui l'attore, nei cui confronti sia stata proposta domanda riconvenzionale, compaia all'udienza fissata ai sensi dell'art. 418 c.p.c., senza proporvi alcuna eccezione in ordine alla ritualità degli atti successivi alla riconvenzione — e, in particolare, all'effettiva esecuzione della notificazione prevista dall'art. 418 — e svolgendovi le attività processuali previste come proprie della medesima udienza, anche in relazione alla domanda riconvenzionale, non sussiste alcuna nullità dichiarabile da parte del giudice, sia per difetto di eccezione sollevata al riguardo dall'unica parte legittimata a norma dell'art. 157, comma 2, sia per il conseguimento, ai sensi dell'art. 156, comma 3, dello scopo di garanzia dei previsti adempimenti formali. Infatti la proporzione della domanda riconvenzionale, intervenendo nell'ambito di un rapporto processuale già operante, si perfeziona mediante la sola editio actionis, all'atto della costituzione del convenuto, mentre la notificazione della stessa domanda, prevista dall'art. 418 come adempimento dell'ufficio, ha natura di mero strumento predisposto nell'interesse dell'attore e diretto a consentirgli l'osservanza del regime di preclusioni che governa il rito speciale (Cass. 19 aprile 1995, n. 4347).

Altra peculiare fattispecie sulla quale occorre soffermarsi si ha nel caso della causa locatizia introdotta con citazione, ai sensi dell'art. 163 c.p.c., anziché con ricorso. È cosa nota, al riguardo, che l'errore nella scelta del rito non si ripercuote sulla validità della domanda proposta, ma impone esclusivamente la pronuncia dell'ordinanza di trasformazione del rito di cui all'art. 426 c.p.c.. Occorre quindi domandarsi, se il convenuto, nel proporre la riconvenzionale a fronte di una domanda principale introdotta con citazione, debba richiedere lo spostamento dell'udienza: il che è evidentemente da escludere, dal momento che il processo rimane disciplinato dalle regole proprie del rito prescelto fin tanto che l'ordinanza di trasformazione del rito non venga pronunciata.

La reconventio reconventionis

A fronte della domanda riconvenzionale — va poi rammentato — l'attore viene a trovarsi nella posizione di convenuto, sicché egli può a sua volta avanzare domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto (reconventio reconventionis), purché tempestivamente nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di costituzione del convenuto, e purché tale domanda dipenda dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione di domanda riconvenzionale ritualmente proposta, ai sensi dell'art. 36 c.p.c..

Ha in proposito ricordato la SC che il legislatore del 1973 ha disegnato un coerente sistema processuale che, ispirandosi ai principi — propugnati dalla dottrina processuale di inizio secolo — di concentrazione, immediatezza ed oralità, ed utilizzando gran parte delle esperienze positive del modello processuale del lavoro del 1928, trova il suo punto di forza, cruciale per la funzionalità dell'intero rito, nel sistema di preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., attinenti in primo luogo alle allegazioni da una parte, e alle contestazioni in fatto dall'altra, sistema che trova la piena legittimazione costituzionale nel suo carattere di reciprocità (Corte cost. 14 gennaio 1977, n. 13; Corte cost. 12 aprile 1978 n. 40; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002, n. 761). Fondamento essenziale di tale modello processuale è che l'attore avanzi le domande che intende azionare in causa ed esponga i relativi fatti costitutivi nel ricorso introduttivo del giudizio, e che il convenuto proponga tutte le eccezioni in diritto, le contestazioni in fatto e le domande riconvenzionali nell'atto di costituzione. Ciò vale, appunto, per le pretese che il ricorrente intenda azionare e per quelle che ne costituiscono il precedente logico-giuridico necessario (Cass. 1° dicembre 2000, n. 15345; Cass. 19 agosto 1998, n. 8200), ma non comporta l'obbligo di azionare con il ricorso introduttivo del giudizio tutte le pretese che possano derivare da un rapporto dedotto in giudizio, essendo riservata alla parte la tutela, anche selettiva, dei propri diritti (art. 24 Cost.)... Ove poi il convenuto abbia proposto ritualmente una domanda riconvenzionale, ai sensi dell'art. 416, 2° co., c.p.c., il ricorrente assume la posizione processuale di convenuto rispetto a tale domanda. In tal caso, il ricorrente può a sua volta avanzare domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto (reconventio reconventionis), sia nel rito ordinario (Cass. 13 maggio 1993, n. 5460; Cass. 3 dicembre 1991, n. 12922), sia nel rito del lavoro (Cass. 9 ottobre 2000, n. 13445), negli stessi limiti nei quali l'art. 36 c.p.c. consente la proposizione della domanda riconvenzionale, e cioè che la reconventio reconventionis dipenda dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione (o di consentita domanda riconvenzionale del convenuto), nonché nei limiti di reciprocità degli artt. 414 e 416 c.p.c., e cioè tempestivamente nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di costituzione del convenuto (così Cass. 29 luglio 2002, n. 11180).

Quanto all'identificazione del primo atto difensivo, occorre dire che l'attore, nel caso considerato, può svolgere la sua attività difensiva — e dunque deve svolgerla, se non intende rinunciarvi — con una memoria, integrativa dell'atto introduttivo, da depositare dieci giorni prima dell'udienza nuovamente stabilita (Cass. 2 maggio 1981, n. 2672, la quale ha tratto argomento dalla nota Corte cost.14 gennaio 1977, n. 13).

La domanda riconvenzionale nel procedimento per convalida

L'intimato ha, nella fase speciale del procedimento per convalida, il solo onere di comparire ed opporsi alla convalida, pena la chiusura del procedimento con l'ordinanza di cui all'art. 663 c.p.c.: tanto si desume in modo netto, ormai, dalla formulazione dell'avviso di cui all'art. 660, comma 3, c.p.c.. Non incorrendo in alcuna decadenza è, quindi, da ammettere che l'intimato possa spiegare domanda riconvenzionale con la memoria integrativa depositata nel termine perentorio fissato dal giudice in applicazione degli artt. 667 e 426 c.p.c..

Nello stesso senso è la dottrina (Saletti, Legge 26 novembre 1990, n. 353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile). Commento all'art. 73 (Mutamento di rito), in NLCC, 1992, 293).

Bisogna tuttavia osservare che la S.C., in un'occasione, ha affermato che nel procedimento di sfratto, la domanda riconvenzionale dovrebbe essere spiegata nell'atto di opposizione alla convalida, che costituisce il primo atto difensivo che introduce il giudizio di cognizione e pone fine a quello sommario di sfratto (Cass. 16 luglio 2003, n. 11148, la quale richiama Cass. 29 giugno 1981, n. 4241). In effetti, più che esaminare specificamente il punto, la pronuncia fa sbrigativamente proprio il punto di vista del giudice di merito, che è difforme dall'opinione del tutto prevalente in dottrina (Trisorio Liuzzi, Procedimenti in materia di locazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 501; D'Ascola, Artt. 657-669, in Consolo C. e Luiso F.P. (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 1997, 1894; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001, 365; Masoni, I procedimenti locatizi, Padova, 2004, 508: nondimeno, l'errore, consistente nel ritenere che l'intimato debba fare la riconvenzionale già nella fase speciale, è stato ribadito in motivazione da Cass. 28 giugno 2010, n. 15399). Del resto, non mancano decisioni che riconoscono espressamente la proponibilità della riconvenzionale entro e non oltre il termine assegnato per il deposito delle memorie integrative (Cass. 22 maggio 1997, n. 4568, riguardante un caso in cui il conduttore intimato aveva chiesto la determinazione dell'indennità di avviamento). La questione è stata esaminata dalla S.C. in una pronuncia in cui l'ammissibilità della riconvenzionale è stata correttamente desunta, essenzialmente, dalla circostanza che l'intimato non incorre, in fase speciale, in alcuna decadenza (Cass. 30 giugno 2005, n. 13963) Ed il principio — giudicato «essenzialmente consolidato nella giurisprudenza di legittimità» (Carrato, La domanda riconvenzionale nel procedimento per convalida di sfratto, in Immobili&Diritto, 2009, 53) — secondo cui nel procedimento per convalida la domanda riconvenzionale del convenuto non deve essere necessariamente proposta con la comparsa di risposta prevista dall'art. 660, comma 5, c.p.c., ma può essere formulata anche nella memoria integrativa presentata nel termine perentorio fissato con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c., richiamato dall'art. 667 c.p.c., è stato anche in seguito ribadito (Cass. 23 gennaio 2009, n. 1698).

Può porsi ancora l'ulteriore interrogativo se il termine ultimo per la proposizione della domanda riconvenzionale da parte dell'intimato rimanga stabilito al momento del deposito della memoria integrativa anche nel caso che egli si sia già ritualmente costituito in fase speciale a mezzo di un difensore e con il deposito della comparsa di costituzione e risposta. Potrebbe ipotizzarsi, cioè, che la regola secondo cui l'intimato non incorre in decadenze destinate a ripercuotersi nella successiva fase ordinaria fintanto che sia in corso quella speciale debba trovare applicazione soltanto quando l'intimato abbia scelto di comparire ed opporsi personalmente alla convalida e non, invece, quando abbia scelto la massima strategia difensiva, costituendosi attraverso un difensore e con comparsa. Una simile soluzione, però, non sembrerebbe condivisibile, risolvendosi in una sanzione non espressamente prevista dal codice di rito in danno di quella parte che abbia esercitato, invece, una facoltà che l'ordinamento le riconosce. La disciplina del procedimento per convalida, insomma, consente all'intimato tanto di comparire ed opporsi personalmente, quanto di costituirsi formalmente ai fini dell'opposizione, ma non gli impone affatto, ove opti per questa seconda strada, di spiegare in quella sede la domanda riconvenzionale. E non pare che l'interprete possa addossargli una decadenza che non deriva dalla legge.

Neanche sembra del tutto corretto ritenere, come pure è stato autorevolmente sostenuto, che la domanda riconvenzionale eventualmente proposta nella comparsa di costituzione depositata già nella fase speciale del procedimento per convalida dovrebbe essere necessariamente riproposta nella memoria integrativa, dovendo altrimenti considerarsi rinunciata, trattandosi di riconvenzionale da considerarsi finalizzata unicamente agli effetti del procedimento per convalida (cioè, al rigetto della richiesta di ordinanza ex art. 665 c.p.c.) (Lazzaro, Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, in Lazzaro, Gurrieri e D'Avino, L'esordio del nuovo processo civile, Milano, 1997, 708).

Ed infatti, le parti possono, ma non sono tenute a depositare le memorie integrative di cui al combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c. e che, in mancanza di esse, rimangono ferme le domande, eccezioni e conclusioni già precedentemente spiegate. Sicché non sembra potersi dubitare che la riconvenzionale proposta in comparsa di costituzione da un intimato il quale non depositi poi memoria integrativa rimanga comunque ritualmente introdotta in giudizio e, come tale, debba essere decisa.

Diverso, invece, è il caso che l'intimato proponga la domanda riconvenzionale nella comparsa di costituzione e, successivamente, depositi una memoria integrativa che quella domanda riconvenzionale già proposta non contenga: in questo caso, escluso ogni automatismo, la rinuncia alla riconvenzionale potrà essere eventualmente desunta dallo scrutinio dell'effettiva volontà della parte di dismetterla.

Riconvenzionale e differimento dell'udienza di discussione nel procedimento per convalida

Una volta ammesso che l'intimato possa spiegare domanda riconvenzionale e possa farlo nella memoria integrativa, sembra doversi distinguere tra l'ipotesi in cui la domanda riconvenzionale sia stata per la prima volta proposta con la memoria integrativa da quella in cui essa sia stata già spiegata al momento della comparizione ed opposizione. Nel primo caso, dovrà puntualmente applicarsi l'art. 418 c.p.c. e, dunque, l'intimato avrà l'onere, a pena di decadenza, di chiedere lo spostamento dell'udienza di discussione già fissata.

Sul punto, occorre però ricordare, si sono manifestati, nella giurisprudenza di merito, opinioni contrastanti. Mentre v'è giurisprudenza pronunciatasi nel senso del testo — Trib. Monza 15 gennaio 2003, Rass. loc. cond, 2003, 449 —, secondo una pronuncia, una volta disposta la trasformazione del rito, se con la memoria integrativa il convenuto avanzi domanda riconvenzionale, il differimento dell'udienza di discussione si rende necessario solo quando sia stato assegnato dal giudice un termine esiguo tale da comprimere i diritti difensivi dell'attore, impossibilitato ad organizzare un'adeguata difesa (Trib. Modena 4 dicembre 2001, Rass. loc. cond., 2002, 131).

L'assunto non convince, giacché l'art. 667 c.p.c. rinvia al rito speciale, ossia, essenzialmente, a quello di cui all'art. 447-bis c.p.c., nonché, per il caso di cessazione del rapporto di locazione d'opera, al vero e proprio rito del lavoro di cui agli artt. 409 ss. c.p.c.. In entrambi i casi, dunque, viene in questione l'applicazione dell'art. 418 c.p.c., richiamato dall'art. 447-bis c.p.c.. Sicché, trovando applicazione il citato art. 418 c.p.c., lo spostamento dell'udienza è di regola obbligato. Del resto, come emerge, tra le altre, da una pronuncia di cui si dirà — Cass. 24 febbraio 2003, n. 2777 —, la giurisprudenza formatasi con riguardo al rito del lavoro non dubita dell'applicabilità dell'art. 418 c.p.c. anche quando, per effetto del passaggio dal rito ordinario al rito speciale, la riconvenzionale venga spiegata con la memoria integrativa.

Di contro, sembra che l'adempimento di cui all'art. 418 c.p.c. possa essere omesso — e che, comunque, l'udienza non debba essere inutilmente posticipata — quando la domanda riconvenzionale sia stata introdotta già in fase speciale: l'art. 418 c.p.c., infatti, serve a dare ingresso all'udienza di discussione dopo che si sia pienamente formato il contraddittorio sul tema della decisione, sicché la sua applicazione sarebbe superflua quando l'intimante abbia già avuto nozione della riconvenzionale e sia già stato posto in condizione di difendersi.

Anche la S.C. si è pronunciata nel senso che, qualora il conduttore intimato proponga domanda riconvenzionale nella fase sommaria del procedimento per convalida di licenza o di sfratto, e quindi prima della trasformazione del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c., non occorre che egli chieda a pena di decadenza la fissazione di una nuova udienza di discussione, come stabilito dall'art. 418 c.p.c. (Cass. 24 febbraio 2003, n. 2777). L'impostazione appare altresì accolta dalla giurisprudenza di merito (Trib. Bari 16 giugno 2004, Giur. merito, 2004, 2429).

La posizione dell'intimante a fronte della riconvenzionale

Non nuocerà rammentare che, ove l'intimato abbia proposto la domanda riconvenzionale nella memoria integrativa, l'intimante avrà facoltà di replicarvi mediante memoria da depositarsi 10 giorni prima dell'udienza di discussione fissata ai sensi dell'art. 418 c.p.c.. Vale richiamare, in proposito, il dictum del giudice delle leggi — confermato da Corte cost. 12 aprile 1978, n. 36; Corte cost. 10 maggio 1978, n. 64 — secondo cui anche nel rito del lavoro, così come nel processo ordinario, per il simmetrico rovesciamento della posizione delle parti che si verifica in seguito alla proposizione di domanda riconvenzionale, la disciplina dell'attività difensiva dell'attore, nei riguardi della riconvenzionale, in mancanza di una specifica completa regolamentazione, si ricava, per via di analogia (e nei limiti, ovviamente, delle specifiche modalità che la fattispecie impone), dalla disciplina relativa all'attività processuale del convenuto rispetto alla domanda principale. Con specifico riguardo al rito del lavoro, ciò equivale a dire che l'attore nei cui confronti sia proposta domanda riconvenzionale ha in sostanza gli stessi poteri e, correlativamente, incorre (quanto al loro esercizio) nelle stesse preclusioni, che l'art. 416 prevede per il convenuto, con l'unica differenza, sul piano formale, che il termine di riferimento è, per il convenuto in riconvenzione, non già l'udienza fissata ex art. 415, bensì la nuova udienza, la cui fissazione deve essere richiesta contestualmente alla proposizione della riconvenzionale, in base al peculiare meccanismo apprestato dall'art. 418. Pertanto non è fondata, nei confronti dello stesso art. 418, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sull'erroneo presupposto della non equiparabilità di tali posizioni (Corte cost. 4 gennaio 1977, n. 13).

Sulla base di quanto precede, le eccezioni e le difese avverso la domanda riconvenzionale rivolta contro il locatore intimante debbono essere dall'attore proposte, a pena di decadenza, con memoria depositata nelle forme e nel termine (di almeno dieci giorni prima dell'udienza) di cui all'art. 416 c.p.c., da computarsi rispetto alla data della nuova udienza di discussione fissata, ai sensi dell'art. 418 c.p.c., a seguito della proposizione di detta domanda, valendo anche per l'attore riconvenuto i limiti all'esercizio delle attività assertive e probatorie posti dall'art. 420, 1° e 5° comma, c.p.c. (Cass. 2 maggio 1981, n. 2672). Non vi sarà viceversa spazio per la menzionata memoria nel caso che la riconvenzionale sia già stata spiegata nella fase speciale, nella quale ipotesi le repliche dell'intimante andranno a confluire nella sua memoria integrativa.

Infine, la proposizione della domanda riconvenzionale da parte dell'intimato abiliterà l'intimante a proporre, a propria volta, secondo quanto si è già visto la reconventio reconventionis.

Riconvenzionale soggetta al procedimento di cognizione ordinaria ed individuazione del rito applicabile

Occorre infine ricordare, in tema di riconvenzionale spiegata dall'intimato nella fase ordinaria del giudizio per convalida, che essa può influire sul rito applicabile quando si tratti, come normalmente accade, del rito locativo di cui all'art. 447-bis c.p.c.. In proposito si è osservato che se la domanda riconvenzionale è soggetta al rito ordinario, questo prevale sul rito speciale delle locazioni e quindi, in applicazione del quinto comma dell'art. 40 novellato, deve essere disposto il mutamento del rito ai sensi dell'art. 427 c.p.c. (Consolo, Luiso e Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 563).

In giurisprudenza la soluzione risulta accolta da una pronuncia di merito secondo cui, ove nel corso di un giudizio per convalida di sfratto, instaurato il giudizio di merito, venga proposta una domanda riconvenzionale, se l'oggetto di tale domanda introduce una questione pregiudiziale di merito da trattare con il rito ordinario, a norma dell'art. 40, 3° comma, c.p.c., la causa va unitariamente trattata con detto rito, prevalendo l'applicazione del rito speciale nelle sole cause di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c. (Trib. Bari 16 giugno 2004). La medesima soluzione è stata applicata nel caso di riconvenzionale di usucapione (Pret. Vibo Valentia 4 dicembre 1996, inedita).

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