Calendario del processo
27 Gennaio 2017
Inquadramento
La norma dunque stabilisce che, non in ogni momento della causa, ma, specificatamente, quando il giudice provvede sulle richieste istruttorie, e dunque con l'ordinanza istruttoria di cui all'art. 183, comma 7, c.p.c., sentite le parti (si ritiene invitandole a formare proposte di calendario nelle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. ovvero instaurando il contraddittorio sul punto all'udienza fissata all'esito dei termini assegnati per il deposito delle suddette memorie) e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l'indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati, ivi compreso l'incombente relativo alla precisazione delle conclusioni ex art. 189 c.p.c.. È dunque possibile trarre alcune conseguenze da tali precisazioni, e cioè, anzitutto, che il calendario in tanto è necessitato in quanto debba provvedersi alla istruzione della causa, e, in secondo luogo, che la calendarizzazione delle udienze, se necessitata, non deve tuttavia essere limitata alle sole udienze istruttorie ma deve anche includere l'udienza di precisazione delle conclusioni (precisazione espressa questa contenuta nel I comma dell'art. 81-bis disp. att. c.p.c. a fronte di specifica novellazione intervenuta sul punto). Il riferimento a tale tipologia di udienze, e soprattutto a quelle della fase istruttoria, induce a ritenere che l'incombente non debba essere applicato ai procedimenti sommari o con istruzione deformalizzata, sebbene nella giurisprudenza di merito siano ravvisabili pronunce in senso contrastante (Trib. Varese, ord., 18 novembre 2009; contra, per la compatibilità del calendario del processo con il procedimento sommario, Trib. Mondovì, ord. 5 novembre 2009). L'art. 81 bis disp. att. c.p.c. è stato introdotto con l'art. 52, legge di riforma 69/2009 (la modifica si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009 come previsto dall'art. 58, comma 1, legge cit.); ha avuto una modifica nell'ultima parte del I comma con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (G.U. n. 216 del 16 settembre 2011), entrato in vigore il 16 settembre 2001, data di entrata in vigore della legge di conversione, ed ha infine visto l'introduzione di un nuovo secondo comma da parte dell' art. 1-ter d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. con mod. in l. 148/2011 del 14 settembre 2011..
Funzione del calendario del processo
Funzione del calendario del processo è quella di prefigurare alle parti il percorso procedimentale in cui si viene a snodare il giudizio in cui sono coinvolte, consentendo loro di conoscere la durata del processo (e dunque fornendo indicazioni in termini di prevedibilità dell'andamento della causa), non solo in un 'ottica di organizzazione del servizio giustizia e di trasparenza nei confronti dei cittadini che ne sono gli utenti (in relazione al principio costituzione di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.), ma anche e soprattutto di garanzia della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. Il calendario del processo, dunque, persegue l'obiettivo di attuare, sotto il profilo specifico della pianificazione delle udienze, il principio costituzionale del giusto processo, appunto inteso come processo avente ragionevole durata (la Corte Europea dei diritti dell'uomo -cfr. in particolare le pronunce sul ricorso n. 62361/00, proposto da Pizzati c. Italia e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z. c. Italia- ai cui principi il giudice nazionale deve uniformarsi nella determinazione della durata ragionevole del procedimento, ha in linea di massima stimato tale durata in anni tre per quanto riguarda il giudizio di primo grado ed in anni due per quanto riguarda il giudizio di secondo grado; altresì Cass., 3 aprile 2008, n. 8521; tale elaborazione giurisprudenziale, come è noto, è stata recepita dalla cd. legge Pinto 24 marzo 2001, n. 89 e succ. mod. introdotte con la legge di stabilità 2016, sulla quale di recente si è pronunciata la Corte cost., sent., 19 febbraio 2016, n. 36). Potere o dovere del giudice di calendarizzare il processo
La questione maggiormente dibattuta tra i commentatori (soprattutto in seguito alla novellazione del 2011, per cui il II comma dell'art. 81 bis disp. att. configura, nel caso di mancato rispetto dei termini inseriti nel calendario, una espressa violazione disciplinare ed una incidenza anche nelle valutazioni di professionalità e per incarichi direttivi) è quella di stabilire se il calendario del processo è obbligatorio, cioè se il giudice debba redigerlo sempre e comunque oppure se possa esercitare sotto tale profilo un proprio potere discrezionale. Sotto tale profilo è stato inoltre rilevato da alcuni commentatori che la lettera del II comma dell'art. 81 disp. att. c.p.c. ricollega letteralmente l'eventuale illecito disciplinare al mancato rispetto dei termini fissati nel calendario, ma che, a maggior ragione, debba essere configurato in caso di integrale omissione della predisposizione del calendario; indubbiamente, tuttavia, un siffatto illecito disciplinare si presenta non chiaramente definito e non tipizzato nella fattispecie, anzitutto perché espresso in termini possibilistici («può costituire violazione disciplinare»), ed inoltre perché, come si è già detto, non menziona l'ipotesi della omessa adozione del calendario, non contiene alcun riferimento in ordine al grado di gravità del mancato rispetto dei termini del calendario né ad eventuali cause di giustificazione (per es. in riferimento, comunque, alla possibilità di proroga dei termini calendarizzati). Ebbene, se, prima della introduzione del citato II comma, si considerava l'art. 81-bis cit. come una specificazione del generale potere di direzione del processo già attribuito al giudice dall'art. 175 c.p.c., ora si propende per una qualificazione dello stesso quale fonte normativa di un potere-dovere da parte del giudice di calendarizzare il processo in corso. Il concetto è ben esplicitato dagli invero scarni precedenti giurisprudenziali. Secondo Trib. Catanzaro, ord. 3 giugno 2010, l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. deve essere applicato secondo un principio di ragionevolezza, pena la sua esposizione a censure di legittimità costituzionale, sicché esso – da un lato – non deve comportare, contrariamente alle finalità che hanno animato il legislatore, un appesantimento dell'attività giurisdizionale ed un rallentamento del processo, mentre – dal'altro lato – nel darvi attuazione occorre tener conto della situazione contingente. Dove, pertanto, nel concreto contesto dell'Ufficio giudiziario, il calendario del processo rappresenterebbe un inutile ed irragionevole appesantimento dell'attività di programmazione del ruolo, lo stesso va apprestato limitatamente all'attività istruttoria già ammessa, ed ipotizzando che essa si compia effettivamente all'udienza fissata. Anche la Corte costituzionale si è pronunciata con l'ordinanza 18 luglio 2013, n. 216, sulla questione di legittimità costituzionale del citato art. 81-bis disp. att. c.p.c., sollevata dal Tribunale ordinario di Varese, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il giudice “fissa” il calendario del processo, così sancendone l'obbligatorietà in ogni caso. Evidenziava in particolare il Tribunale remittente che l'obbligo di provvedere sempre e comunque alla formazione del calendario potrebbe produrre effetti pregiudizievoli per il processo sub judice e per gli altri chiamati nella medesima udienza. La Corte Costituzionale, ricordando il proprio orientamento secondo cui «il legislatore dispone di ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis: sentenza n. 304 del 2011), con il solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 117/2012; n. 52/2010; e n. 237/2007)», ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale, ma ha colto l'occasione per fornire importanti precisazioni in ordine alla struttura ed alla ratio dell'istituto in esame. Infatti, dopo aver premesso che l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. «rappresenta una diretta emanazione dell'art. 175 c.p.c., che affida al giudice istruttore la direzione del procedimento, attribuendogli tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento di esso. In particolare, egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali», la Corte afferma espressamente: «Il legislatore, rendendo esplicito e disciplinando con maggior dettaglio il potere-dovere del giudice di formare il calendario del processo (quando provvede sulle richieste istruttorie e, quindi, non in relazione ad ogni causa e ad ogni momento di essa), ha inteso perseguire l'esigenza di rendere conoscibili alle parti (sia pure in modo non rigido) i tempi del processo stesso, la necessità di evitare (per quanto possibile) inutili rinvii e ancora la possibilità di realizzare il principio di ragionevole durata del processo, richiamato in modo espresso nel testo normativo. In sostanza, come è stato autorevolmente osservato, si tratta di uno strumento che consente un'organizzazione programmata del processo, attraverso un governo dei tempi delle fasi di necessaria articolazione della procedura, che ne riduca la durata, introducendo elementi di prevedibilità concreta del momento nel quale la causa arriverà a decisione».
Riferimenti
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