Spese (nell'arbitrato)

29 Dicembre 2016

In materia di spese, successivamente alla riforma dell'arbitrato attuata con d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, intervengono diverse decisioni della S.C. in merito ai rapporti tra diritto al compenso e validità ed efficacia del lodo, valore della controversia e liquidazione del compenso nonché in ordine all'interesse ad impugnare il lodo, con riferimento al capo inerente le spese, alla legittimazione a chiedere il compenso da parte del consulente tecnico d'ufficio e del segretario oltre che alla legittimazione individuale alla riscossione del compenso, nel caso di liquidazione di esso in forma complessa in favore del collegio arbitrale.
Inquadramento

In materia di spese, successivamente alla riforma dell'arbitrato attuata con d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, intervengono diverse decisioni della S.C. in merito ai rapporti tra diritto al compenso e validità ed efficacia del lodo, valore della controversia e liquidazione del compenso nonché in ordine all'interesse ad impugnare il lodo, con riferimento al capo inerente le spese, alla legittimazione a chiedere il compenso da parte del consulente tecnico d'ufficio e del segretario oltre che alla legittimazione individuale alla riscossione del compenso, nel caso di liquidazione di esso in forma complessa in favore del collegio arbitrale.

In evidenza

La disposizione in forza della quale gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili, pur dettata a tutela degli arbitri e fondata sui doveri di collaborazione scaturenti dal rapporto di mandato, non è ricollegabile ad una mera richiesta degli arbitri stessi, essendo necessaria – come ben evidenzia il termine “subordinare” usato dal legislatore – una specifica manifestazione della volontà di condizionare la prosecuzione del procedimento al versamento delle somme dovute a titolo di anticipazione delle spese e, comunque, non anche degli onorari.

Nel 2015 la S.C., in particolare, si pronuncia per la prima volta in merito all'interpretazione della previsione di cui all'art. 816-septies c.p.c., e con ordinanza interlocutoria dell'8 marzo 2016 si sollecita la rimessione alle S.U. della questione di massima di particolare importanza inerente la natura del procedimento ex art. 814 c.p.c. innanzi al presidente del tribunale e del conseguente reclamo innanzi alla Corte d'Appello e, quindi, della ricorribilità per cassazione dei relativi provvedimenti.

Versamento anticipato delle spese e prosecuzione del procedimento

Cass. sez. I, sentenza n. 17956 dell'11 settembre 2015, si pronuncia per la prima volta in merito all'interpretazione della previsione di cui all'art. 816-septies c.p.c., per la quale gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili. La disposizione di cui innanzi, in particolare, pur dettata a tutela degli arbitri e fondata sui doveri di collaborazione scaturenti dal rapporto di mandato, non è ricollegabile ad una mera richiesta degli arbitri stessi, essendo necessaria – come ben evidenzia il termine “subordinare” usato dal legislatore – una specifica manifestazione della volontà di condizionare la prosecuzione del procedimento al versamento delle somme dovute a titolo di anticipazione delle spese.

Con la decisione in oggetto la S.C. chiarisce altresì che il riferimento alle “spese prevedibili”, di cui all'art. 816-septies c.p.c., comunque non riguarda anche gli onorari, non essendo consentito agli arbitri procedere alla liquidazione del proprio compenso, come emerge dall'art. 814 c.p.c. che evidenzia la distinzione fra spese e onorari e dall'omessa indicazione, di tale distinzione, nel citato art. 816-septies.

Valore della controversia e liquidazione del compenso

Il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo. Non sussistono, pertanto, i presupposti della sospensione, ex art. 295 o 337 c.p.c., del procedimento instaurato dall'arbitro per ottenere il residuo compenso, già liquidato, in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del lodo, la cui eventuale nullità può giustificare solo un'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 813-bisc.p.c. (Cfr., Cass. civ., sez. VI-I, ord., n. 24072 del 24 ottobre 2010).

La S.C., con il principio di cui innanzi, si pone in linea di continuità con il proprio orientamento già maturato con riferimento al procedimento ex art. 814 c.p.c. In esso, difatti, non può essere accertato il diritto degli arbitri al compenso per l'avvenuta pronuncia di un lodo avente i requisiti di cui all'art. 823 c.p.c., né può procedersi all'accertamento incidentale delle cause di nullità o di inesistenza presenti nella decisione, le quali devono essere invece oggetto del giudizio di impugnazione del lodo previsto dalla legge. Qualora, poi, tale giudizio si concluda con l'accertamento definitivo che un lodo con tali caratteri è mancato e con la declaratoria della sua inesistenza giuridica, ne rimane automaticamente travolto e caducato il provvedimento determinativo del quantum del compenso arbitrale emesso dal presidente del tribunale, con effetto de iure, come conseguenza obiettiva e necessaria del rapporto di dipendenza con il titolo in forza del quale la liquidazione è avvenuta, restando, di converso, irrilevante la mancata impugnazione del provvedimento presidenziale.

Argomentando nei termini di cui innanzi Cass., sez. I, sentenza n. 10221 del 28 aprile 2010, chiarisce che il principio secondo cui il diritto dell'arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico, non venendo meno allorquando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 c.p.c., trova un limite nell'avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dall'art. 823 c.p.c.. Esso resta pertanto inapplicabile in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto, come avviene ove emesso a seguito di arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale, ovvero in ogni altra fattispecie in cui le parti abbiano predisposto speciali tipologie di conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia. In ciascuno di questi casi, difatti, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell'elemento che caratterizza l'arbitrato rituale, ossia l'attitudine a divenire "sentenza" a seguito del deposito del lodo, ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali non si connota come spesa, ma come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.

Liquidazione delle spese ed interesse ad impugnare il lodo

La liquidazione delle spese e del compenso effettuata direttamente dagli arbitri ha valore di una mera proposta contrattuale, che diviene vincolante solo se accettata da tutti i contendenti, sicché la parte che non ha accettato tale proposta non ha interesse ad impugnare il capo del lodo arbitrale riguardante la liquidazione delle spese legali e degli onorari del giudizio, nonché degli onorari degli arbitri, del compenso del segretario e delle spese di funzionamento collegio (Cfr., Cass. sez. I, sentenza n. 20371 del 26 settembre 2014).

Liquidazione in forma complessa e riscossione individuale

Ciascuno dei componenti di un collegio di arbitri rituali può agire individualmente per la riscossione coattiva del compenso a lui spettante, e ciò tanto nell'ipotesi in cui tale compenso sia stato liquidato unitariamente a tutti gli arbitri, quanto nell'ipotesi in cui sia stato liquidato individualmente a ciascuno di essi (Cfr., Cass. sez. I, sentenza n. 10676 del 24 aprile 2008).

Liquidazione diretta, provvedimento presidenziale, reclamo e ricorso per cassazione

In tema di determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l'incarico, è inammissibile, anche nel regime previsto dall'art. 814 c.p.c. nella nuova formulazione introdotta dall'art. 21 del d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso l'ordinanza resa dalla Corte di appello in sede di reclamo contro il provvedimento del competente presidente del tribunale e relativa alla quantificazione del compenso. Il provvedimento di cui innanzi è difatti adottato nell'ambito di una attività non giurisdizionale contenziosa ma sostanzialmente privatistica e, dunque, priva di natura decisoria ed attitudine al giudicato.

Con il principio di diritto di cui innanzi la S.C., con sentenza n. 3069 emessa da sez. I l'8 febbraio 2013, segue l'orientamento delle S.U., sentenza n. 15586 del 3 luglio 2009, formatosi con riferimento a fattispecie antecedente l'entrata in vigore della detta riforma del 2006 nonché, anche esso, al “reviremant” delle S.U. del 2013 circa la natura giurisdizionale e sostitutiva di quella del giudice ordinario propria degli arbitri rituali e, quindi, del lodo e del relativo procedimento (il riferimento è a Cass. S.U., ordinanza n. 24153 del 25 ottobre 2013). In assenza di espressa rinunzia da parte degli aventi diritto, il contratto di arbitrato, che non contenga la relativa quantificazione del compenso e delle spese, è automaticamente integrato, in base all'art. 814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribunale, il quale, una volta investito (con ricorso proponibile anche disgiuntamente da ciascun componente del collegio arbitrale) in alternativa all'arbitratore, svolge una funzione giurisdizionale non contenziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica. Ne consegue, per le dette S.U. del 2009, che il provvedimento di cui innanzi è privo della vocazione al giudicato e, dunque, insuscettibile di impugnazione con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.. Tale natura del procedimento, inoltre, esclude l'ipotizzabilità di una soccombenza ed osta, pertanto, all'applicazione del relativo principio ed all'adozione delle conseguenziali determinazioni in tema di spese.

Rimessa nuovamente alle S.U. la questione di diritto di cui innanzi le stesse hanno confermato l'orientamento già esplicitato, in assenza di «forti ed apprezzabili ragioni giustificative» per discostarsene. Cass. Sez.Un., sent., n. 13620 del 31 luglio 2012, difatti, ha confermato l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso provvedimento del competente presidente del tribunale, relativo alla determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri, ex art. 814, comma 2, c.p.c., chiarendo che, pur non esistendo nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis, essa costituisce, tuttavia, un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente nell'ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un'interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomofilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative. Quanto detto, sempre per le S.U., rileva maggiormente in tema di norme processuali, per le quali l'esigenza di un adeguato grado di certezza si manifesta con maggiore evidenza, anche alla luce dell'art. 360-bis, comma 1, n. 1, c.p.c. (nella specie, non applicabile ratione temporis), ove siano compatibili con la lettera della legge due diverse interpretazioni, deve preferirsi quella sulla cui base si sia formata una sufficiente stabilità di applicazione nella giurisprudenza della S.C.

L'orientamento di cui innanzi è dalla S.C. ribadito, a fortiori, con riferimento all'arbitrato irrituale, dal momento che la decisione che conclude il procedimento è sfornita pure dell'attitudine a divenire “sentenza” ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali si connota come debito ex mandato, per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione (Cfr., Cass., sez. I, sentenza n. 23086 del 10 ottobre 2013), ancorché, nel 2016, oggetto di ulteriore rimessione alle S.U.

Con ordinanza interlocutoria n. 4517 dell'8 marzo 2016, difatti, Sez. I, ha rimesso al Primo Presidente della S.C., ritenendola di massima di particolare importanza, la questione inerente la natura del procedimento ex art. 814 c.p.c. innanzi al presidente del tribunale e del conseguente reclamo innanzi alla Corte d'appello e, quindi, della ricorribilità per cassazione, ritenendo oggi sussistentiforti ed apprezzabili ragioni giustificative per discostarsi dal precedente orientamento delle S.U. del 2009, anche in ragione del “revirement” delle S.U. del 2013 circa la natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale.

Le conseguenti Cass. civ., Sez. Un., n. 25045 del 7 dicembre 2016, in contrasto con i propri precedenti in merito, ammettono la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione avente ad oggetto l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ex art. 814 c.c.p.,in materia di spese ed onorari degli arbitri, anche in ragione della natura giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo procedimento arbitrale, oltre che della decisorietà e definitività del provvedimento in esame.

La Suprema Corte, in particolare, muove dalla giurisdizionalizzazione dell'arbitrato rituale per riconsiderare il proprio precedente orientamento, evidentemente ritenendo considerandola “forte ed apprezzabile ragione giustificativa”, oltre che argomento tale da riconoscere natura giurisdizionale all'ordinanza emessa in sede di riesame del provvedimento del presidente del Tribunale in materia di spese e di onorari degli arbitri rituali, alla quale riconosce altresì efficacia di giudicato.

La competenza funzionale presidenziale

In tema di liquidazione di compensi agli arbitri, la competenza attribuita dall'art. 814 comma 2, c.p.c. al presidente del tribunale quale organo monocratico è di natura funzionale, anche se dette funzioni possono essere esercitate, nei casi e nei modi determinati dalla legge, dal presidente di sezione o dal giudice che sostituisce il presidente. Pertanto, interpretando l'art. 104 dell'ordinamento giudiziario nell'ambito del cosiddetto

Muovendo dall'assunto di cui innanzi, Cass. sez. II, sentenza n. 13289 del 7 giugno 2007, ricava che interpretando l'art. 104 dell'ordinamento giudiziario nell'ambito del cosiddetto "diritto tabellare", poiché in ossequio ai principi di imparzialità, di indipendenza, del giudice naturale, dell'efficiente organizzazione degli uffici e di ragionevole durata del processo, le circolari del C.S.M. affermano la necessità di identificare le modalità della sostituzione secondo criteri oggettivi e predeterminati, risulta legittima la delega di funzioni presidenziali ove adottata in esecuzione di prescrizioni tabellari o comunque di provvedimenti generali, mentre non è consentita la delega disposta in via estemporanea a seguito di provvedimento presidenziale non ancorato ad una preventiva previsione di carattere generale. Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento emesso in sostituzione del presidente da un magistrato munito di delega rilasciata ad hoc, unicamente per la decisione del ricorso e solo quattro giorni dopo il deposito dello stesso.

Legittimazione del consulente tecnico d'ufficio e del segretario

In materia di arbitrato rituale, il consulente tecnico d'ufficio ha titolo per chiedere il pagamento del proprio compenso esclusivamente agli arbitri – a cui spetta, ex art. 814 c.p.c., il diritto ad ottenere il rimborso dalle parti – dovendosi escludere una responsabilità solidale di queste ultime poiché, a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario, la figura del consulente nell'arbitrato rituale, che pure ha natura giurisdizionale, non ha carattere pubblicistico, quale ausiliario del giudice, con qualifica di pubblico ufficiale, che esegue la sua prestazione per un superiore interesse di giustizia, ma una matrice privatistica, essendo le parti legate agli arbitri da un rapporto di mandato. In forza dell'art. 1719 c.c., difatti, il mandante ha l'obbligo di somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni contratte in proprio nome, tra le quali anche quella nei confronti del consulente.

Con l'orientamento di cui innanzi la S.C., con sentenza della sez. I, n. 6736, del 21 marzo 2014, sviluppa le argomentazioni poste alla base della ritenuta carenza di legittimazione a proporre domanda di liquidazione del compenso, ai sensi dell'articolo 814, comma 2, c.p.c., di coloro che nel giudizio arbitrale non hanno espletato funzioni di arbitri ma solo quella di segretari. Le mansioni di mera assistenza svolte da costoro, sebbene rilevanti ai fini della determinazione delle spese rimborsabili, non consentono difatti anche la partecipazione dei medesimi allo speciale procedimento previsto dalla citata disposizione, che espressamente riserva ai soli arbitri la facoltà di ricorrere al presidente del tribunale, nel caso in cui le parti non abbiano accettato la liquidazione del compenso da questi stessi determinata (Cfr., Cass. sez. I, sentenza n. 15820 del 12 giugno 2008).

Orientamenti a confronto

RICORRIBILITA' PER CASSAZIONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Il procedimento di cui all'art. 814 c.p.c., compreso quello attivato su reclamo innanzi alla Corte di appello, non culmina in provvedimento ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost.

Cass.S.U., sentenza n. 15586 del 3 luglio 2009, Rv. 608906; Cass. S.U., sentenza n. 13629 del 31 luglio 2012, Rv. 623343; Cass. sez. I, sentenza n. 3069 dell'8 febbraio 2013, Rv. 625200;

Rimessa alle S.U. la questione di massima di particolare importanza avene ad oggetto la ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost. del provvedimento emesso in sede di reclamo del provvedimento presidenziale in seno al procedimento di cui all'art. 814 c.p.c.

Cass. sez. I, ordinanza n. 4517 dell'8 marzo 2016;

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario