Accordo di composizione della controversia (negoziazione assistita)

13 Ottobre 2023

La negoziazione assistita da avvocati, introdotto dal d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014 (come modificato e integrato dall'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 149/2022) è procedura di degiurisdizionalizzazione che opera preventivamente all'instaurazione del contenzioso in sede giudiziale.

Inquadramento

Il d.l. n. 132/2014, convertito con modificazioni nella l. n. 162/2014 (come successivamente modificato e integrato dall'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 149/2022), ha introdotto nell'ordinamento, disciplinandola nel secondo capo, altra misura di degiurisdizionalizzazione, oltre al trasferimento della controversia in arbitrato, ossia la procedura di negoziazione assistita da avvocati, che - a differenza del trasferimento in sede arbitrale - opera preventivamente all'instaurazione del contenzioso in sede giudiziale. L'istituto, unitamente a quello della mediazione, ricade nei sistemi di c.d. giustizia coesistenziale. Anche detta misura si inserisce nella prospettiva di favorire lo smaltimento dell'arretrato civile. Nondimeno, non si tratta di una novità in senso assoluto, atteso che nella prassi, già anteriormente alla novella, gli avvocati, prima di intraprendere una controversia in sede giudiziale, dai tempi del tutto incerti, sono soliti tentare di raggiungere una soluzione bonaria tra le parti.

In evidenza

Si evidenzia, all'uopo, che la stessa locuzione «negoziazione assistita» si riferisce a due concetti tra loro collegati, ma attinenti a stadi progressivi: - sul piano statico - essa identifica l'atto attraverso cui l'impegno delle parti viene consacrato, cioè la convenzione di negoziazione assistita; - sul piano dinamico - concerne il rapporto di durata che a tale atto consegue, cioè la procedura di negoziazione assistita, la quale può concludersi con la formalizzazione dell'accordo conciliativo ovvero con una dichiarazione di scienza che attesta il mancato esito favorevole.

In realtà si tratta di due aspetti fortemente intrecciati, che attengono rispettivamente alla fase genetica e alla fase attuativa della medesima negoziazione. Sul piano strutturale, la convenzione consiste in un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tra loro in essere.

Il suo perfezionamento può avvenire secondo tre modalità differenti:

  1. direttamente con lo scambio dei consensi legittimamente manifestato in via contestuale in un unico atto;
  2. all'esito dell'incontro tra invito-proposta, che sia completo di tutti gli elementi indispensabili relativi all'oggetto e al termine, ed adesione-accettazione, alla stregua dello schema negoziale delineato dall'art. 1326 c.c.;
  3. in ragione della fattispecie a formazione progressiva, che si origina dalla comunicazione del mero invito a trattare per la conclusione di una convenzione di negoziare assistita, privo degli elementi essenziali, quale mero atto pre-negoziale, cui segua l'adesione che innesta la trattativa e che, infine, si ultimi con la formale stipulazione della convenzione determinativa dell'oggetto e del termine.

Sicché dalla definizione che l'art. 2 del d.l. degiurisdizionalizzazione fornisce di detta convenzione possono trarsi i seguenti spunti in ordine alle sue peculiari caratteristiche:

  1. a tutti gli effetti, si ricade nella figura del contratto ex art. 1321 c.c.;
  2. sotto il profilo teleologico, si rientra nella fattispecie dei negozi sulla (o di) procedura, poiché tale accordo è funzionale a risolvere una lite e, per l'effetto, a prevenire un contenzioso giudiziale, cosicché presenta, per un verso, analogie con il contratto di diritto sostanziale e, per altro verso, con le regole del processo, in guisa del fine cui mira;
  3. la causa tipica della convenzione di negoziazione assistita, ovvero la sua funzione economico-sociale, si rinviene nella prospettiva di risolvere in via bonaria una lite in corso;
  4. detta cooperazione per il fine auspicato deve essere orientata ed ispirata dalla clausola di buona fede oggettiva o lealtà, intesa come correttezza sia in fase di stipulazione sia in fase attuativa, ai sensi degli artt. 1175,1337 e 1375 c.c., fonte di regole integrative in ordine al comportamento da assumere;
  5. ciascuna parte che aderisce alla convenzione è tenuta a cooperare per il raggiungimento della soluzione amichevole, sicché ogni parte ha un vero e proprio obbligo verso l'altra parte, qualificabile come mero obbligo di mezzi e non di risultato: quello di prodigarsi ovvero di rendersi disponibile per una composizione bonaria della controversia;
  6. la convenzione postula che, al momento della sua conclusione, sia già insorto un litigio tra le parti coinvolte, tant'é che la cooperazione per la risoluzione amichevole di una ben delimitata controversia ne rappresenta l'oggetto.

Quando la vicenda da definire interessi la posizione di più parti, tra loro legate da un vincolo idoneo ad integrare, in chiave prognostica giudiziale, l'istituto del litisconsorzio necessario, l'invito dovrà essere rivolto a tutti i litisconsorti e così la convenzione dovrà essere stipulata da ognuno di essi.

Assistenza obbligatoria

Ulteriore requisito prescritto dalla novella per la validità della convenzione di negoziazione, con finalità di cooperazione per la soluzione bonaria di una controversia in atto, è rappresentato dall'assistenza obbligatoria di [ uno o più ] avvocati. La convenzione conclusa direttamente dalle parti, senza l'assistenza degli avvocati, non può produrre gli effetti del contratto tipico regolato dalla novella. Si tratterebbe, infatti, di altra figura negoziale: quella della negoziazione direttamente perorata dalle parti. Sennonché, a tali fini, l'art. 2, comma 1, del d.l. n. 132/2014, convertito con modificazioni in l. n. 162/2014, stabilisce che la negoziazione sia assistita da avvocati mentre il quinto comma prevede che la relativa convenzione sia conclusa con l'assistenza di uno o più avvocati. La versione precedente alla novella del 2022, la quale ammetteva che la convenzione potesse essere assistita anche da un solo avvocato, comportava che, pur essendo per definizione più di una le parti, intese come autonomi centri di imputazione di interessi, coinvolte nella contesa, bastava che vi fosse un solo avvocato affinché la procedura di negoziazione assistita potesse essere avviata e perfezionata. Con la riforma si prevede, invece, che la convenzione debba essere assistita da avvocati, sicché è esclusa la sufficienza dell'assistenza di un solo legale. Non è certamente ammesso che un solo avvocato patrocini le posizioni di più parti tra loro in lite, poiché altrimenti si realizzerebbe una chiara situazione di conflitto di interessi, oltre che la violazione di palesi doveri deontologici forensi, così come nel processo davanti all'autorità giudiziaria attore e convenuto non possono essere difesi dallo stesso procuratore; ma, allo stesso tempo, non è ammesso che una parte sia assistita da avvocato e l'altra sia priva di assistenza.

ASSISTENZA DI UNO O PIÙ AVVOCATI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Secondo la precedente versione della norma, sarebbe stato ammesso che alla convenzione partecipasse almeno una parte - e segnatamente quella che ha dato impulso alla negoziazione - con l'assistenza di un avvocato e altre parti, eventualmente anche senza alcuna assistenza.

Qualora la parte che avesse avviato la procedura fosse stata assistita da un avvocato, l'altra avrebbe potuto aderirvi e partecipare direttamente.

Secondo altra impostazione, suffragata dalla novella del 2022, la norma deve essere letta nel senso che ciascuna parte può essere assistita da uno o più avvocati, ma è comunque indefettibile l'assistenza per ognuna di esse di almeno un avvocato.

È precluso il ricorso alla negoziazione assistita senza l'assistenza di almeno un avvocato per parte.

La prima soluzione sembrava più rispondente alla lettera della disposizione, anche in chiave di comparazione con altre norme. E per questo il testo è stato mutato. Così è stato risolto il contrasto tra le differenti locuzioni rispettivamente usate dall'art. 2, che si esprimeva in termini di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati, e dall'art. 6, in tema di convenzione di negoziazione assistita per la composizione di una crisi familiare, che si riferisce all'assistenza di almeno un avvocato per parte. Ancora, per esclusione, non sono ammessi all'assistenza nella negoziazione i praticanti avvocati, benché abilitati all'esercizio della professione, poiché la norma evoca espressamente gli avvocati iscritti all'albo. Di contro, i praticanti avvocati abilitati sono iscritti in apposito registro. Con riferimento all'ipotesi in cui fra le parti vi sia un'amministrazione pubblica, secondo il comma 1-bis, è fatto obbligo di affidare la convenzione di negoziazione assistita alla propria avvocatura, ove presente, con il chiaro intento di ridurre i costi. Sicché le amministrazioni dello Stato dovranno essere assistite dall'avvocatura dello Stato.

Termine di svolgimento della procedura

La convenzione deve precisare il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura.

Detto termine, in ogni caso, non può essere inferiore ad un mese e non può essere superiore a tre mesi; il termine finale può essere prorogato per ulteriori 30 giorni, su accordo delle parti.

Lo scopo della previsione del termine minimo e massimo è duplice:

  • garantire che la procedura sia effettivamente espletata e che non costituisca un mero espediente formale per eludere il divieto di agire in giudizio, quando la negoziazione assistita sia prescritta obbligatoriamente, ovvero per rappresentare una disponibilità apparente verso la controparte cui non corrisponda una disponibilità reale, quando la negoziazione assistita sia facoltativa;
  • impedire che l'istituto si presti ad usi dilatori o emulativi, a cura della parte che non ha interesse a definire la lite e che vuole ritardare i tempi del contenzioso giudiziale.

Il termine di durata deve essere previsto all'origine nella convenzione. Ciò non toglie che, qualora le parti abbiano stabilito un termine inferiore alla soglia massima, le proroghe che di comune accordo potranno essere previste non dovranno comportare uno sforamento del termine ultimativo di quattro mesi. Sicché in questo caso la proroga o le proroghe potranno superare il limite dei 30 giorni, purché sia osservato il tetto massimo finale di quattro mesi. Ove, al contrario, sia stato previsto un termine inferiore a quello minimo, si applica la regola in ordine all'inserzione automatica della clausola stabilita dalla legge, in sostituzione di quella difforme contemplata dal contratto, ai sensi dell'art. 1339 c.c.; per l'effetto, il termine sarà quello di un mese.

Resta da chiedersi quale sia il trattamento da riservare alla convenzione che non fissi alcun termine. Secondo l'orientamento più convincente, in applicazione del principio di conservazione del contratto ex art. 1424 c.c., quando sia carente alcuna determinazione della durata, deve intendersi operante il termine di durata minima di un mese, con la conseguenza che in questa evenienza il termine sarebbe comunque determinabile mediante criterio etero-integrativo. La fissazione di un termine massimo non vincola le parti a rimanere legate al tavolo della negoziazione sino al suo spirare e l'accordo conciliativo può essere raggiunto nelle more. Ma anche la conclusione negativa della negoziazione può essere formalizzata prima di tale scadenza, quando le parti prendano concordemente atto che la prosecuzione della trattativa non può portare comunque al risultato auspicato. Trattandosi di termine che opera fuori del processo, esso non soggiace alla sospensione nel periodo feriale.

Oggetto della negoziazione

La convenzione deve determinare la controversia sulla quale dovrà essere espletata la procedura di negoziazione assistita, con l'indicazione di massima degli elementi di fatto e di diritto su cui le pretese delle parti si fondano. Tale specificazione non deve essere così analitica da tradursi nella indicazione del petitum e della causa petendi di una possibile azione introduttiva di un processo giudiziale: la c.d. editio actionis rintracciabile nell'art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, c.p.c., a proposito degli elementi costituitivi della citazione. Nondimeno, deve essere chiaramente identificata la situazione giuridica soggettiva della quale si invoca la tutela: diritto di proprietà, diritto di credito, aspettativa e così via, con la precisazione delle circostanze di fatto che ne hanno generato, almeno in tesi, la lesione. Ad ogni modo, la convenzione non può estendersi sino a comprendere la cooperazione per la composizione amichevole di vicende che interessino diritti indisponibili.

Invece, all'esito della novella di cui al d.lgs. n. 149/2022, che ha introdotto l'art. 2-ter, la negoziazione assistita, purché non costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale, può vertere anche sui diritti che attengano alla materia del lavoro  ex art. 409 c.p.c. Tale istituto si aggiunge alle altre forme regolate di risoluzione alternativa del contenzioso lavoristico (conciliazioni e arbitrati). In tal caso ciascuna parte deve essere assistita da almeno un avvocato e può avvalersi anche dell'assistenza di consulenti del lavoro. L'accordo raggiunto non implica l'invalidità della transazione o della rinuncia ai sensi dell'art. 2113 c.c.

Forma della convenzione

Al contempo, è codificata, a pena di nullità, la forma scritta della convenzione di negoziazione assistita.

Sul punto, si osserva che l'opzione legislativa in ordine al vincolo formale di siffatto contratto preparatorio, per un verso, non favorisce il ricorso alla procedura e, per altro verso, ne rende l'espletamento più accidentato e strutturato, in distonia con il potenziale scopo che esso dovrebbe perseguire. Ma non basta. L'art. 2, comma 6, aggiunge che la convenzione deve riportare le sottoscrizioni sia delle parti assistite sia degli avvocati che hanno partecipato alla negoziazione assistita. In proposito, è conferito uno speciale potere agli avvocati negoziatori o assistenti nella negoziazione, quello di certificare l'autografia delle sottoscrizioni apposte dalle parti nella convenzione, sotto la propria responsabilità professionale.

Si tratta anche in questo caso, come in quelli regolati dall'art. 83, comma 3, c.p.c., di una c.d. vera o autentica minore, cioè di un potere di autentica limitato all'oggetto ed al fine per cui la sottoscrizione è rilasciata, che non equipara l'avvocato ad un pubblico ufficiale: non rientra dunque nelle facoltà degli avvocati assistenti rilasciare copie autentiche della convenzione.

Quando la convenzione si perfezioni mediante lo scambio di invito ed adesione, il requisito della forma scritta dovrà essere riferito ad entrambi gli atti unilaterali convergenti verso la conclusione del negozio di procedura.

Dovere di informazione

L'art. 2 si chiude con la previsione di un dovere deontologico ricadente sul ceto forense.

Precisamente, quando un cliente si rivolga ad un avvocato, conferendogli l'incarico di patrocinarlo in una lite, è specifico obbligo dell'avvocato stesso informarlo, già al momento del conferimento dell'incarico, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

 Evidentemente, la norma si riferisce alle ipotesi in cui il ricorso alla procedura di negoziazione assistita non sia obbligatorio, cioè previsto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, ma sia rimesso alla libera scelta delle parti: altrimenti non si tratterebbe di possibilità di ricorso, ma di necessità.

Nondimeno, anche quando la negoziazione assistita sia obbligatoria, l'avvocato dovrà informare il proprio cliente sulla natura della procedura da intraprendere prima di aprire un eventuale contenzioso giudiziale.

 La norma riprende il contenuto dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. sulla mediazione civile e commerciale, senza però determinare la forma prescritta per detta informazione, né le conseguenze della violazione dell'obbligo informativo. Si precisa, nondimeno, che fornire l'informazione sulla facoltà di avvalersi della negoziazione assistita costituisce un dovere deontologico. Dalla comparazione tra le due normative consegue che il cliente deve essere edotto sulla possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistita in modo chiaro, senza che sia necessario utilizzare la forma scritta.

In mancanza di informazioni sul punto, eventualmente rese anche in forma orale, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è comunque valido ed efficace, e non annullabile, ma l'avvocato, avendo violato un preciso dovere deontologico posto a suo carico, sarà passibile di sottoposizione a procedimento disciplinare.

Procedura conseguente alla stipulazione della convenzione

In ordine alle caratteristiche peculiari di tale accordo-convenzione, si evidenzia che la sua conclusione, con l'assistenza tecnica degli avvocati prestata in via immediata alle parti interessate, è diretta a rinvenire una composizione amichevole della lite in atto; la novella del 2022 esemplifica le modalità di svolgimento della procedura conseguente alla sottoscrizione della convenzione. In guisa della sua finalizzazione, può reputarsi che essa postuli degli incontri tra parti e avvocati assistenti, in cui ciascuna prospetti la propria posizione, formuli le proprie richieste, compia le proprie valutazioni, avanzi delle proposte, scambi delle deduzioni scritte mediante apposite memorie, produca dei documenti, richieda l'ascolto di informatori, suggerisca l'espletamento di una consulenza tecnica, chieda una riduzione della proposta avversaria. Al riguardo, non si ravvisano impedimenti insuperabili al compimento, su accordo delle parti, di attività istruttorie nel corso dell'esperimento della procedura, in quanto esse siano finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo fissato dalla convenzione di negoziazione assistita della conclusione di un accordo conciliativo.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, comma 2-bis, 4-bis e 4-ter (come introdotti dalla novella del 2022), la convenzione di negoziazione può precisare: a) la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia; b) la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste; c) la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche; d) la possibilità di svolgere gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza. All'esito della novella sono anche disciplinate le modalità di svolgimento della negoziazione in via telematica (ex art. 2-bis) e di assunzione delle dichiarazioni del terzo o della parte. Le dichiarazioni rese dai terzi in sede di negoziazione sono liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.c. Le dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte assumono il rango di confessione stragiudiziale exart. 2735 c.c. Il rifiuto ingiustificato di rendere l'interrogatorio in sede di negoziazione può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio, anche ai sensi dell'art. 96, commi 1, 2 e 3, c.p.c. Non è invece espressamente regolata la facoltà di avvalersi delle conoscenze tecniche di esperti, ma non per questo tale possibilità deve ritenersi preclusa.

Salvo diverso accordo, la convenzione di negoziazione assistita è conclusa mediante utilizzo del modello elaborato dal CNF.

Dunque, lo scopo che il ricorso alla procedura negoziata espressamente si prefigge giustifica l'utilizzo di mezzi non specificamente contemplati, ed il mancato accordo deve essere altresì certificato dagli avvocati designati, tra l'altro eventualmente mettendo a punto i profili sui quali può sussistere una convergenza tra loro e quelli sui quali permane una consistente - e comunque non sanata - divergenza di vedute, il che può facilitare lo sviluppo del contenzioso giudiziale su questioni più delimitate.

Ove, di contro, la soluzione amichevole sia raggiunta, le parti dovranno concludere un ulteriore accordo, anch'esso redatto per iscritto e sottoscritto da parti e avvocati, con relativa autografia apposta da questi ultimi, che formalizzi la soluzione della lite e ne attesti dettagliatamente le condizioni.

La prospettiva favorevole del conseguimento dello scopo che la procedura di negoziazione assistita si prefigge importerà quindi la conclusione di due contratti, in cui quello di negoziazione assistita è propedeutico alla convenzione conciliativa finale, che chiude definitivamente la controversia in corso.

Condizione di procedibilità

L'art. 3 del d.l. n. 132/2014 individua particolari controversie, a fronte delle quali è prescritto il previo esperimento della procedura di negoziazione assistita a pena di improcedibilità della corrispondente azione giudiziale.

Segnatamente, ai fini di selezionare le tipologie di cause in ordine alle quali la procedibilità della domanda giudiziale è condizionata dall'espletamento della procedura di negoziazione, il legislatore individua un criterio di determinazione per materia e uno per valore.

Dopodiché esclude dalle controversie che, in base al valore, rientrerebbero nel novero delle fattispecie sottoposte alla previa negoziazione assistita, per un verso, quelle che rientrano nelle materie per le quali già è prescritta la mediazione obbligatoria e, per altro verso, una certa tipologia di obbligazioni che soggiacciono ad altri preventivi sistemi di conciliazione.

Sotto il primo profilo, ricadono tra le controversie la cui azione giudiziale deve essere preceduta dall'esperimento della procedura di negoziazione assistita, a pena di improcedibilità della domanda, quelle in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti.

Con riguardo al criterio del valore, sono altresì comprese tra le controversie in cui la procedibilità dell'esercizio della corrispondente azione giudiziale è subordinata all'espletamento della procedura di negoziazione assistita quelle aventi ad oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, contrattuale o extracontrattuale, salvo che a titolo satisfattivo di un diritto indisponibile, di somme non eccedenti euro cinquantamila, e purché non si tratti del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti, diritto, questo, in ordine al quale prevale il criterio per materia di individuazione della condizione di procedibilità.

Sicché, nel campo delle obbligazioni contrattuali, la condizione non attiene alla pretesa di adempimento delle prestazioni eterogenee da quelle pecuniarie.  Quando poi - in presenza del medesimo diritto leso - si invochi la reintegrazione in forma specifica, e non il pagamento di una somma di denaro, la condizione di procedibilità non opera. Di contro, la prefigurazione esplicita dell'alternativa rappresentata dal risarcimento dei danni per equivalente entro la soglia indicata, in ipotesi di inadempimento o di fatto illecito, integra la condizione. Nondimeno, tra le domande giudiziali aventi ad oggetto il pagamento di somme che non eccedano la soglia pecuniaria indicata non sottostanno all'obbligo di previo avvio della procedura di negoziazione assistita, a pena di improcedibilità, le azioni che vertono in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. sulla mediazione civile, materie queste che già soggiacciono alla condizione di procedibilità della mediazione.

Il legislatore non si limita ad escludere il cumulo, rimettendo alla scelta degli interessati l'attivazione di uno dei sistemi rimediali prescritti obbligatoriamente, ma - quando essi convergano sulla stessa azione, a pena di improcedibilità - opta per la prevalenza della mediazione sulla negoziazione. Sicché il legislatore vuole evitare che in determinati settori la parte che intenda proporre l'azione giudiziale debba superare due ostacoli, reputati a priori eccessivi, quello della mediazione e quello della negoziazione assistita. Sotto questo aspetto il meccanismo di operatività della negoziazione assistita obbligatoria è residuale, quantomeno con riguardo alle cause aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, a qualsiasi titolo, sino ad euro cinquantamila.

L'art. 3, comma 7, esclude che la negoziazione assistita sia obbligatoria, quand'anche si ricada in una delle pretese ivi elencate, quando la parte può stare in giudizio personalmente.

Si tratta delle cause di competenza del giudice di pace, il cui valore non ecceda euro 1.100,00, ai sensi dell'art. 82, comma 1, c.p.c.

Modalità di espletamento

Con riferimento alle regole procedurali dettate per assolvere alla condizione di procedibilità, l'art. 3 citato prevede che, quando la lite abbia ad oggetto una delle vicende che rientrano nella previsione di specie, la parte che intenda agire in giudizio deve, tramite il suo avvocato, invitare la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita.

Ai sensi del successivo art. 4, comma 1, tale invito deve avere un contenuto minimo: da un lato, a pena di indeterminatezza del suo oggetto, deve identificare la controversia in concreto sulla quale verte l'invito; dall'altro, deve contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro 30 giorni dalla ricezione, o il suo rifiuto, può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96, commi 1, 2 e 3,  e 642, comma 1, c.p.c. Il difetto di tali elementi comporta la nullità dell'invito, sicché il giudice successivamente adito che verifichi dette omissioni, d'ufficio o su eccezione di parte, dovrà equiparare la fattispecie a quella in cui l'invito sia totalmente mancato: rectius dovrà rinviare l'udienza nel rispetto del termine di 4 mesi per consentire l'avvio e la conclusione della procedura, assegnando altresì alle parti il termine di 15 giorni, decorrenti dall'udienza tenuta, per la comunicazione dell'invito ad aderire alla negoziazione assistita.

Verifica in giudizio

In ordine all'incidenza della convenzione di negoziazione assistita obbligatoria sulla procedibilità della domanda giudiziale, il legislatore, riprendendo la disciplina già dettata sul punto con riguardo alla media-conciliazione obbligatoria, prevede che il mancato esperimento deve essere prontamente eccepito dal convenutoa pena di decadenza, o rilevato d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza di comparizione e trattazione.

Viceversa, quando il giudice rilevi che la procedura di negoziazione assistita è iniziata ma non è stata ultimata, e sempre che dal momento dell'avvio non siano decorsi più di 4 mesi, quale periodo massimo prevalutato dalla legge come sufficiente per il completamento, fissa l'udienza successiva dopo la scadenza del termine finale per il completamento della procedura (rectius 3 mesi oltre i possibili 30 giorni di proroga). Altrettanto avviene quando il giudice rilevi tempestivamente, su eccezione di parte o d'ufficio, che la procedura non è stata affatto esperita. Preliminarmente verificherà che si tratti di causa introdotta successivamente alla data di efficacia della previsione sulla condizione di procedibilità; quindi, dovrà accertarsi che si tratti di causa il cui oggetto ricada nell'elencazione dell'art. 3. Effettuate con esito positivo dette verifiche, anche in questa evenienza vi sarà un rinvio dell'udienza per il tempo necessario ad espletare la procedura, cioè per un tempo non inferiore a 4 mesi, ed il giudice assegnerà contestualmente alle parti il termine di 15 giorni, decorrenti dall'udienza, per la comunicazione dell'invito. Detto termine è formalmente assegnato a tutte le parti, ivi compreso il convenuto, essendo onere della parte più diligente attivarsi per effettuare la comunicazione. Naturalmente l'interesse prevalente, almeno sulla carta, fa capo all'attore, posto che la declaratoria definitiva di improcedibilità della domanda giudiziale avrà effetti pregiudizievoli prevalentemente sulla sua sfera giuridica. Tuttavia, non è escluso che l'interesse concreto preminente possa radicarsi in capo al convenuto, come accade quando questi abbia spiegato domanda riconvenzionale, che - nel caso di declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale principale - sarà anch'essa travolta da tale statuizione in rito, in guisa del collegamento funzionale che ricorre tra le due domande.

La condizione di procedibilità della domanda giudiziale è soddisfatta quando le parti abbiano regolarmente espletato, all'esito di adesione all'invito comunicato, la procedura di negoziazione assistita, ma - nonostante gli incontri svolti tra le parti ed i loro avvocati assistenti per ricercare una composizione amichevole della lite in atto -, entro il termine che le parti hanno previamente fissato nella convenzione ed eventualmente prorogato, all'interno della cornice edittale predeterminata dall'art. 2, comma 2, lett. a, l'accordo conciliativo non è stato raggiunto. Del mancato conseguimento dell'accordo, benché la convenzione sia stata conclusa e la procedura conseguente sia stata espletata, le parti danno atto in una apposita dichiarazione congiunta. Tale formalizzazione dell'esito negativo della procedura espletata serve a precostituirsi un documento probatorio circa l'assolvimento della condizione di procedibilità, valevole dinanzi al giudice anche in ordine alla verifica del completamento della procedura.

All'integrazione della condizione di procedibilità devono essere equiparate, per disposizione legislativa, le ipotesi:

a. in cui l'invito non sia seguito da risposta o sia seguito da rifiuto entro 30 giorni dalla sua ricezione;

b. in cui la convenzione sia stata stipulata e la procedura sia stata avviata ma non si sia conclusa nel termine massimo di 4 mesi.

In queste ipotesi il legislatore ricorre allo schema della fictio juris di avveramento della condizione di procedibilità, sul modello della finzione di avveramento della condizione sospensiva potestativa semplice, quale elemento accidentale del contratto, quando ciò sia dipeso da causa imputabile alla parte portatrice di un interesse avverso, ai sensi dell'art. 1359 c.c.

La condizione di procedibilità regolata dall'art. 3 non è assoluta ma doppiamente relativa: per un verso, perché il mancato espletamento della procedura o la sua mancata ultimazione, intanto avranno rilievo in giudizio, in quanto la controparte o il giudice ne eccepiscano o rilevino la carenza o l'omesso perfezionamento entro la prima udienza, superata la quale la causa sarà procedibile; per altro verso, perché, quand'anche l'eccezione o il rilievo d'ufficio siano tempestivi, comunque la lacuna è sanabile, con la conseguenza che, all'esito della sanatoria in corso di causa, il giudizio sarà procedibile.

Conseguenze del rifiuto all'invito o del silenzio

La novella regola specificamente le conseguenze del rifiuto o dell'inerzia protratta per il tempo previsto di 30 giorni avverso l'invito rivolto dalla parte che dà impulso alla negoziazione assistita. Sebbene l'integrazione di tali fatti consenta l'esercizio dell'azione giudiziale, poiché la condizione di procedibilità si considera avverata, la parte che assume tale contegno può subire degli effetti pregiudizievoli in ragione del suo rifiuto o della sua inerzia, quando essi si rivelino ex post del tutto ingiustificati.

Sotto il profilo della regolamentazione dei compensi di lite, il comportamento della parte destinataria dell'invito può rilevare sul presupposto che, all'esito dello svolgimento del giudizio, si appuri la sua soccombenza, totale o parziale. In questo caso, nella liquidazione dei compensi, che deve essere proporzionata all'importanza dell'opera prestata, può tenersi conto di tale atteggiamento, che ha reso necessario intraprendere un processo, a volte anche dispendioso sul piano dei tempi e dell'attività svolta, provvedendo alla graduazione, all'interno dello scaglione di pertinenza, secondo i parametri medi aumentati.

Inoltre, quando si accerti che la resistenza in giudizio a cura della parte che ha rifiutato l'adesione o non ha risposto all'invito sia del tutto temeraria, tali elementi potranno essere soppesati, sia ai fini della valutazione dell'elemento soggettivo della mala fede o colpa grave, ai sensi dell'art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., sia nella quantificazione della somma equitativamente determinata, eventualmente disposta, d'ufficio, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

In ultimo, la novella prevede che detta condotta può essere valutata anche ai sensi dell'art. 642, comma 1, c.p.c. Il richiamo, del tutto “criptico”, merita degli approfondimenti. È noto che l'art. 642, comma 1, c.p.c. individua dei documenti qualificati su cui si fonda il credito azionato, in presenza dei quali può essere concessa inaudita altera parte la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo richiesto già in fase monitoria e prima dell'eventuale instaurazione del contraddittorio differito per effetto di opposizione. In presenza di tali documenti, su istanza di parte, la clausola di provvisoria esecuzione deve essere rilasciata. Sicché già si può ravvisare una prima stonatura. E tanto perché l'art. 4, comma 1, non afferma che, nel caso di rifiuto o silenzio verso l'invito a negoziare, il credito a cui si riferisce la negoziazione, se azionato in via monitoria, deve essere munito della provvisoria esecuzione, a corredo del decreto ingiuntivo emesso. Diversamente, la norma in commento si esprime in termini di doppia discrezionalità («può» e non deve, «essere valutato» e non essere equiparato) nel peso da attribuire a detto elemento, anch'esso di rilevanza documentale, per il rilascio della clausola di provvisoria esecuzione. Il che significa che, in presenza di tale rifiuto di adesione o di inerzia, il decreto ingiuntivo che incorpora il credito fatto valere può essere accompagnato dalla disposizione della provvisoria esecuzione, sulla scorta di una valutazione ad hoc rimessa al giudice del monitorio. Sotto questo profilo, la fattispecie è più similare a quelle delineate dall'art. 642, comma 2, c.p.c., che rimettono alla discrezionalità del giudice la concessione della provvisoria esecuzione quando vi sia pericolo di grave pregiudizio nel ritardo ovvero quando ricorra documentazione proveniente dal debitore comprovante il diritto fatto valere.

In secondo luogo, occorre chiedersi in che termini detto contegno può incidere sulla valutazione del giudice. Innanzitutto, devono ricorrere aliunde le condizioni affinché il decreto ingiuntivo possa essere emesso, cioè deve essere prodotta una prova scritta da cui risulti che il diritto di credito fatto valere abbia solide basi documentali, sia liquido ed esigibile. Non è in sé prova scritta di tale credito il solo rifiuto o l'inerzia del debitore, a fronte dell'invito ad aderire alla negoziazione assistita rivolto dal creditore. Sicché sulla sola base dell'esito dell'invito, non solo non può essere data la clausola di provvisoria esecuzione, ma - a monte - non può essere pronunciato il provvedimento monitorio. Qualora sussista un'autonoma prova scritta sufficiente per il rilascio del decreto ingiuntivo, affinché operi la norma in commento, non deve esservi alcun documento qualificato di cui all'elencazione dell'art. 642, comma 1, c.p.c., posto che in tale evenienza il giudice concederebbe la provvisoria esecuzione, in adesione alla corrispondente istanza del ricorrente-ingiungente, sulla esclusiva base di tali documenti, non già della condotta assunta dal debitore in sede di negoziazione assistita. Invece, da un lato, deve esservi la prova scritta della sufficiente certezza, liquidità ed esigibilità del credito, idonea per l'emissione del provvedimento monitorio, dall'altro, non deve essere prodotto alcuno dei documenti indicati dall'art. 642, comma 1, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione. Quando si verifichi detta situazione, il giudice può valutare il rifiuto o il silenzio ai fini di ingiungere il pagamento senza dilazione, purché vi sia la corrispondente istanza del ricorrente. In realtà, in questo caso il documento da esaminare è l'invito, che deve rivestire indefettibilmente la forma scritta e che è imprescindibile, cui abbia fatto seguito eventualmente un rifiuto scritto, anch'esso dimostrabile in via documentale, ovvero un silenzio protratto nel tempo stabilito perché possa essere qualificato come definitivo. Si rammenta che in sé questa situazione non può essere equiparata ad un documento rafforzativo del credito, come un assegno, una cambiale, un atto pubblico, ecc. Pertanto, siffatta ponderazione si fonda sulla comparazione tra gli elementi offerti dal creditore, in ordine alle ragioni giustificative della sua pretesa, e la qualificazione in concreto dell'atteggiamento assunto dal debitore nella negoziazione assistita. Tale atteggiamento può essere letto, nella vicenda specifica, come significativo di una totale assenza di possibili argomentazioni avversative della pretesa. Pertanto, il rifiuto o il silenzio assumono pregio non in sé, ma in relazione al peso specifico degli elementi documentali offerti dal creditore istante, che - pur non essendo da soli sufficienti a permettere il rilascio della provvisoria esecuzione ab origine - denotino, tuttavia, una particolare forza contestualizzata della pretesa, tale da non lasciare presagire la ricorrenza di possibili spazi di contestazione capaci di scalfirla, né sull'an né sul quantum. Così quando il diritto di credito a fronte del quale si chiede l'emissione del decreto ingiuntivo dipenda da una controprestazione o da una condizione, e il ricorrente abbia offerto elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione, ai sensi dell'art. 633, comma 2, c.p.c., l'espresso diniego dell'adesione all'invito di concludere una convenzione di negoziazione assistita, senza alcuna motivazione o con una motivazione solo apparente, ovvero l'inerzia prolungata del debitore, costituiscono indici rivelatori della carenza di obiezioni da muovere verso quegli elementi sintomatici offerti, cosicché il giudice può essere indotto a concedere la provvisoria esecuzione. Un discorso a parte dovrà essere sviluppato quando, viceversa, il rifiuto sia fondato su ragioni apprezzabili, anche di natura subiettiva. La loro pertinenza dovrebbe indurre il giudice del monitorio a non rilasciare la clausola di provvisoria esecuzione. In questo senso, il giudice del monitorio apprezzerebbe anticipatamente, sebbene in via del tutto sommaria, le possibili ragioni fondanti di una potenziale opposizione.

La tesi secondo cui gli effetti lato sensu sanzionatori indicati dipendono dalle modalità di manifestazione del contegno reiettivo concretamente assunto dalla parte destinataria dell'invito trova un avallo anche sul piano della comparazione letterale. Ora, l'art. 3, comma 2, allude alla mancata adesione o al rifiuto mentre l'art. 4, primo comma, si riferisce, agli effetti indicati, alla mancata risposta o al rifiuto. Prendendo spunto da tali differenze lessicali, può dunque ritenersi che le conseguenze pregiudizievoli sul piano delle spese e della prova del monitorio discendono dal «rifiuto», evidentemente immotivato o fondato su motivazioni palesemente pretestuose, o dal silenzio, definito significativamente dal legislatore come «mancata risposta»; al contrario, quando vi sia una motivazione plausibile, anche subiettiva, della «mancata adesione», non vi sarà luogo ad applicare dette conseguenze.

In ordine ai possibili effetti del rifiuto o del silenzio, si ritiene che l'aggravio dei compensi di lite e la ponderazione, ai fini della responsabilità processuale aggravata e del rilascio della clausola di provvisoria esecuzione immediata del decreto ingiuntivo emesso, si estendano anche oltre i casi in cui sia direttamente la legge a prescrivere che la negoziazione assistita sia una condizione di procedibilità dell'azione in giudizio.

Procedimenti esclusi

Ad ogni modo, indipendentemente dalle materie che costituiscono l'oggetto del contendere, la condizione di procedibilità della negoziazione assistita non è esigibile ex lege per determinati procedimenti giudiziali. Innanzitutto, non si applica ai procedimenti per ingiunzione, né nella fase monitoria né nella fase di opposizione a cognizione piena, a differenza di quanto è prescritto in tema di mediazione obbligatoria, dove, all'esito dell'assunzione dei provvedimenti interlocutori sulle istanze di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., il giudice può disporre che si dia corso al procedimento di mediazione. Evidentemente, in questa fattispecie, il legislatore reputa del tutto inutile imporre la negoziazione assistita, poiché essa, a differenza della mediazione, è condotta direttamente dalle parti e dagli avvocati, senza l'intervento di un terzo, cosicché appare una artificiosa superfetazione rimettere alle stesse parti e ai loro stessi difensori di rinvenire una soluzione amichevole dopo avere ottenuto in giudizio, a contraddittorio integro, la concessione o la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.

La condizione di procedibilità è altrettanto inapplicabile ai procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite, ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., poiché anche tale strumento, sebbene di natura processuale e non stragiudiziale, mira a conseguire lo stesso effetto della negoziazione assistita, cioè la composizione della lite. Pretendere che l'attivazione dello strumento processuale precipuamente rivolto a comporre una lite debba essere necessariamente preceduta dall'esperimento della negoziazione assistita, quando sia controverso tra le parti il solo quantum debeatur, significherebbe imporre un effetto dilatorio del tutto contrario a quello che l'istituto della negoziazione si prefigge. Inoltre, vi sarebbe l'inopportuno cumulo di due mezzi che perseguono lo stesso fine.

I procedimenti di opposizione e incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata sono volti a garantire non già l'accertamento del diritto bensì l'attuazione di un diritto già accertato e valgono rispettivamente ad acclarare il diritto di procedere ad esecuzione forzata ovvero la regolarità formale di un atto esecutivo ovvero a risolvere un incidente verificatosi in corso di esecuzione. Sicché non ha senso porre una condizione di procedibilità a fronte degli effetti che questi strumenti tendono ad ottenere. Una diversa opzione sarebbe stata inutile e controproducente. Secondo gli stessi lavori preparatori e la relazione di accompagnamento, l'ammissione della condizione di procedibilità per i procedimenti di cognizione endoesecutivi avrebbe consentito al debitore esecutato di utilizzare tale strumento come un mero espediente per dilazionare i tempi di attuazione, a scapito delle legittime esigenze del creditore procedente.

Anche nei procedimenti in camera di consiglio la condizione di procedibilità non è operativa, non solo perché frequentemente le controversie trattate in forma camerale vertono su diritti indisponibili, ma anche perché tale forma di trattazione è generalmente celere, duttile e deformalizzata: essi si concludono con decreto motivato, prevedono la possibilità di assumere informazioni, le relative misure sono reclamabili, modificabili o revocabili. Per l'effetto, l'estensione della condizione di procedibilità anche a tali procedimenti avrebbe frustrato i principi di flessibilità e rapidità da cui essi sono connotati.

In ultimo, l'azione civile esercitata nel processo penale non è soggetta alla condizione di procedibilità poiché l'esigenza che essa si allinei all'andamento del processo penale e al suo esito rende incompatibile il previo esperimento della negoziazione assistita. Una rottura forzata di tale relazione avrebbe indebitamente e negativamente influito su una forma di esercizio dell'azione civile da reato di grande efficacia e forte valore simbolico.

Ancora, per espresso dettato normativo, la condizione di procedibilità ex lege non preclude la richiesta in giudizio, e la relativa concessione, dei provvedimenti urgenti e cautelari né la trascrizione della domanda giudiziale. Tra i procedimenti urgenti non cautelari si annoverano, non già i procedimenti possessori e nunciatori, ai quali il rito cautelare uniforme si applica solo nei limiti della compatibilità, che non ricadono però fra le materie in cui è prescritta la negoziazione obbligatoria, bensì quelli nei quali si invochi la liquidazione di una provvisionale del risarcimento del danno da sinistro stradale per la ricorrenza di uno stato di bisogno, ai sensi dell'art. 147, commi 1 e 2, del codice delle assicurazioni private. In questo caso, sarà possibile proporre la domanda giudiziale introduttiva del processo ordinario, posto che tale istanza può essere chiesta solo in corso di causa e non ante causam. Il giudice può delibare sull'istanza alla prima udienza e contestualmente disporre il rinvio per consentire l'espletamento della procedura di negoziazione assistita. Non rientra, per converso, tra i provvedimenti urgenti la provvisionale di cui all'ultimo comma dell'art. 147 citato, che prescinde dalla ricorrenza di uno stato di bisogno del danneggiato. Secondo altra ricostruzione i provvedimenti urgenti sarebbero quelli atipici ex art. 700 c.p.c. mentre quelli cautelari sarebbero solo quelli tipici.

In ultimo, la novella del 2022 ha esteso il beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche alla procedura di negoziazione assistita, secondo le disposizioni di cui agli artt. 11-bis e ss. Sicché l'avvocato che assiste la parte ammessa avrà diritto al compenso, con pagamento a carico dello Stato.

Riferimenti

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Caponi, Doing Business come scopo del processo civile?, II, in Degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato, AA.VV., Torino, 2015, 22;

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Proto Pisani, Premesse generali (e una proposta), I, in Degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato, AA.VV., Torino, 2015, 1;

Trisorio Liuzzi, La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, IV-1, in Degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato, AA.VV., Torino, 2015, 35.