Arbitrato internazionale

Aniello Merone
07 Giugno 2016

L'arbitrato internazionale presenta le medesime questioni che emergono in relazione all'arbitrato interno; tuttavia, diversi fattori — quali la cittadinanza, la residenza o il domicilio delle parti persone fisiche e/o giuridiche, il luogo in cui ha «sede» l'arbitrato o la sede legale o amministrativa dell'istituzione eventualmente chiamata ad amministrare la procedura, il luogo di esecuzione delle prestazioni previste nel contratto o il luogo in cui si è prodotto l'evento dannoso, la legge applicabile al merito della controversia o alla procedura arbitrale - potranno concretare il contatto dell'arbitrato internazionale con una pluralità di ordinamenti. Tale possibilità si presenta con frequenza nella risoluzione delle controversie relative ai rapporti del commercio internazionale. Si ricorre alla locuzione arbitrato commerciale internazionale per distinguere l'arbitrato tra soggetti privati, o tra soggetti privati da un lato e Stati esteri, organizzazioni internazionali o entità statali agenti iure privatorum dall'altro, dall'arbitrato internazionale in senso stretto. Quest'ultimo, invece, ha ad oggetto controversie in cui le parti sono esclusivamente Stati o altri soggetti di diritto internazio¬nale, è regolato dal diritto internazionale pubblico e pone problemi specifici e senz'altro diversi.
Inquadramento

L'arbitrato internazionale presenta le medesime questioni che emergono in relazione all'arbitrato interno; tuttavia, diversi fattori - quali la cittadinanza, la residenza o il domicilio delle parti persone fisiche e/o giuridiche, il luogo in cui ha «sede» l'arbitrato o la sede legale o amministrativa dell'istituzione eventualmente chiamata ad amministrare la procedura, il luogo di esecuzione delle prestazioni previste nel contratto o il luogo in cui si è prodotto l'evento dannoso, la legge applicabile al merito della controversia o alla procedura arbitrale - potranno concretare il contatto dell'arbitrato internazionale

con una pluralità di ordinamenti.

Tale possibilità si presenta con frequenza nella risoluzione delle controversie relative ai rapporti del commercio internazionale. Si ricorre alla locuzione

arbitrato commerciale internazionale per

distinguere l'arbitrato tra soggetti privati, o tra soggetti privati da un lato e Stati esteri, organizzazioni internazionali o entità statali agenti

iure privatorum

dall'altro, dall'arbitrato internazionale in senso stretto. Quest'ultimo, invece, ha ad oggetto controversie in cui le parti sono esclusivamente Stati o altri soggetti di diritto internazionale, è regolato dal diritto internazionale pubblico e pone problemi specifici e senz'altro diversi

.

Le diverse discipline nazionali dell'arbitrato, possono prevedere una disciplina differenziata per l'arbitrato interno e per l'arbitrato internazionale

(c.d.

sistemi dualisti

, quali Francia, Svizzera, Grecia, Irlanda, nonché Italia dal 1994 e

fino alla novella del 2006) ovvero possono decidere di dettare una disciplina unica applicabile a qualunque procedimento arbitrale (c.d.

sistemi monisti

, quali Inghilterra, Germania, Paesi Bassi e Italia dal 2006).

Ulteriore

distinzione - da non confondere con quella tra arbitrato interno ed arbitrato internazionale - è quella tra

arbitrato nazionale

(o domestico) ed

arbitrato estero

che si radica su una valutazione evidentemente soggettiva nella misura in cui un arbitrato (sia esso domestico o internazionale) sarà considerato nazionale da uno Stato quando risulti radicato nell'ordinamento (il che avviene, tendenzialmente, quando la sede dell'arbitrato è in tale Stato), mentre sarà considerato estero da tutti gli altri Stati.

Le fonti dell'arbitrato internazionale

Il potenziale collegamento dell'arbitrato internazionale con una pluralità di ordinamenti pone all'operatore giuridico il problema preliminare dell'individuazione e del coordinamento delle fonti che lo disciplinano. Tale problema si pone sin dal momento in cui le parti stipulano una convenzione arbitrale e può trovare soluzioni diverse a seconda che venga affrontato dagli arbitri ovvero dai giudici statali, quest'ultimi (e non i primi) vincolati all'applicazione delle norme di diritto internazionale privato e processuale del proprio ordinamento.

L'espressione fonti dell'arbitrato dev'essere, innanzitutto riferita, all'individuazione del

fondamento del potere arbitrale.

Secondo una parte della dottrina,

il potere arbitrale avrebbe natura giurisdizionale statale e, di conseguenza, troverebbe il suo necessario fondamento in un

ordinamento statale,

individuato prevalentemente in quello della sede

(lex

arbitri

o

lex loci arbitri

) o in quello dello Stato secondo la legge del quale si svolge l'arbitrato stesso. Secondo tale concezione, che poggia sull'idea del

monopolio statuale

della giurisdizione e

sul potere di governo

esclusivo che lo Stato esercita sulle attività che si svolgono sul proprio territorio, le fonti dell'arbitrato sarebbero quelle vigenti nell'ordinamento statale di riferimento (convenzioni internazionali, norme interne in materia d'arbitrato, usi del commercio) e dovrebbero essere applicate sia dall'arbitro sia dal giudice statale.

Centrale è il ruolo della sede, attraverso cui è possibile attribuire

nazionalità all'arbitrato, a

meno che la stessa non sia determinata dalla legge applicata (c.d. teoria della delocalizzazione).

In questo senso, si pongono, ad esempio, gli artt. V(1) e VI della Convenzione di New York (disposizioni riprese da numerose discipline nazionali, come ad es. l'

art. 840 c.p.c.

), che prevedono come causa di rifiuto del riconoscimento del lodo il suo annullamento nel Paese d'origine, identificato con quello della sede o con quello sotto la cui legge l'arbitrato si è svolto

.

Secondo altra parte della dottrina, l'arbitrato internazionale sarebbe attività giurisdizionale espressione di un ordinamento diverso da quelli statali, identificato con l

'ordinamento internazionale,

o con un ordinamento specchio della realtà sociale degli operatori del commercio internazionale e che trova compiuta estrinsecazione nella

lex

mercatoria

, quale diritto di formazione spontanea, decentralizzato e autonomo rispetto ai diritti statali

.

Alla luce di questa diversa concezione, è in tale ordinamento terzo che andranno ricercate le fonti di riferimento (convenzioni, consuetudini e principi generali del diritto e, con specifico riferimento alla

lex

mercatoria,

da usi commerciali, prassi contrattuali e prassi arbitrale) che s'impongono agli arbitri e ai giudici.

La dottrina prevalente contesta a tale impostazione, da un lato, l'impossibilità di riconoscere il carattere originario della lex mercatoria rispetto agli ordinamenti statali

,

poiché sono quest'ultimi a cui è rimessa la scelta di ammettere il ricorso ad essa ovvero di privarla di qualsiasi rilevanza (si veda Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 1982, n. 722); dall'altro lato, l'impossibilità di considerare i privati come soggetti dell'ordinamento internazionale - riferibile (come l'omonimo diritto) alle relazioni tra Stati ed altri soggetti indipendenti - e, conseguentemente, di ricondurre ad esso le convenzioni arbitrali da cui origina il procedimento arbitrale.

Infine, un'

ulteriore posizione

dottrinale ritiene che gli arbitri esercitino un potere di matrice esclusivamente contrattuale, essendo il loro potere di decisione interamente fondato sulla volontà delle parti che glielo conferiscono. Di conseguenza, per l'arbitrato l'esigenza di identificare un ordinamento di riferimento

è da intendersi in

senso funzionale, vale a dire nell'eventualità in cui sia adito il giudice statale per contestare la validità della convenzione arbitrale, per chiederne la cooperazione nel corso del procedimento ovvero in sede d'impugnazione o esecuzione del lodo.

Seguendo tale impostazione il problema delle fonti trova diversa articolazione a seconda che a porselo sia l'arbitro, per il quale l'unica fonte è la convenzione arbitrale ed al quale non s'impone alcuna legge statale, o il giudice, che non può che applicare il diritto vigente nel proprio ordinamento.

Le convenzioni internazionali

Affianco alle legislazioni statali, ulteriore fonte della disciplina dell'arbitrato internazionale è rappresentata dalle

convenzioni internazionali

. Tale normativa ha un carattere di specialità rispetto alle norme interne e nell'ordinamento italiano assume una posizione di

primazia

, vale a dire che non è suscettibile di deroga da parte di norme interne successive e incompatibili, in quanto fonte interposta tra le norme interne e l'

art. 117, comma

1, Cost.

che impone il rispetto degli obblighi internazionali (

C

.

Cost. 24

ottobre

2007, nn. 348

e

349

).

Per quanto concerne le convenzioni aventi ad oggetto specificamente l'arbitrato e le controversie relative al commercio internazionale, è opportuno ricordare, per l'importanza storica ed il contributo offerto allo sviluppo dell'arbitrato, il Protocollo di Ginevra

del 24 settembre 1923 sulle clausole arbitrali

e la

Convenzione di Ginevra del 26 settembre 1927 sull'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere,

oggi sostanzialmente disapplicate poiché rilevanti solo nei rapporti tra Stati contraenti che non siano anche parte della Convenzione di New York

del 10 giugno 1958 sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere (

ratificata dall'Italia e resa esecutiva con

l. 62/1968

, in vigore dal 1 maggio 1969

).

La Convenzione di New York, in vigore fra oltre 140 Stati, impone agli Stati contraenti di dare effetto alle convenzioni arbitrali, oltre che riconoscimento ed esecuzione ai lodi stranieri (ovvero non emanati sotto la propria legislazione), attribuendo alle decisioni arbitrali un regime di circolazione molto più efficace e di gran lunga più favorevole dei provvedimenti emessi in sede giurisdizionale (se si eccettua la disciplina comunitaria del Regolamento 44/2001/CE, il quale, comunque dispiega i suoi effetti al solo spazio giudico dell'Unione Europea).

Inoltre, le norme dettate dalla Convenzione e la prassi applicativa che ne è conseguita hanno offerto soluzioni che fungono molto spesso da modello per la modifica e/o l'interpretazione delle disposizioni dettate in seno alle legislazioni statali, con l'effetto pratico di favorire una

sostanziale equiparazione dell'arbitrato estero all'arbitrato nazionale.

Altra convenzione internazionale di grande importanza è la

Convenzione europea sull'arbitrato commerciale internazionale

, sottoscritta a Ginevra il 21 aprile 1961 e tesa a favorire l'uniformità delle normative interne in tema di arbitrato internazionale. L'intento della normativa era ovviare ai problemi che coinvolgevano il commercio tra paesi europei ad economia di mercato e paesi del blocco socialista europeo, con la piena adesione di questi ultimi (sola eccezione l'Albania).

La Convenzione di Ginevra si segnala per avere, per prima, fatto espresso riferimento: da un lato, al ruolo delle Istituzioni permanenti che amministrano arbitrati, segnalando (e auspicando) la possibilità di un ricorso ai loro Regolamenti arbitrali per identificare delle regole di svolgimento del processo arbitrale, là dove le parti non abbiano stabilito nulla in proposito; dall'altro lato, al ruolo delle Camere di Commercio, che la Convenzione individua come organismi imparziali adatti a svolgere un'azione di sostegno dell'arbitrato e dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in genere.

Punti di forza della Convenzione Ginevra sono, da un lato, l'aver previsto una locuzione di «commerciale» e «internazionale» da interpretare nel modo più ampio possibile, così da coprire qualunque controversia che in qualche modo abbia un elemento di estraneità; dall'altro, l'aver fatto espressamente salvi gli accordi multilaterali

o

bilaterali conclusi dagli Stati contraenti.

Ciò che difetta è una disposizione analoga all'art. VII della Convenzione di New York, che, oltre a far salvi i trattati multilaterali e bilaterali, conclusi dagli Stati contraenti «nella materia del riconoscimento e dell'esecuzione delle sentenze arbitrali», sancisce la

prevalenza delle disposizioni, nazionali o internazionali, più favorevoli al riconoscimento, anche se l

a possibilità che lodi annullati nello Stato della sede siano riconosciuti altrove è chiaramente ammessa dalla Convenzione di Ginevra qualora la causa dell'annullamento sia diversa da quelle elencate nell'art.

IX.

Con riferimento alle

convenzioni

bilaterali, il trattato bilaterale più noto è rappresentato dagli

Accordi di Algeri del 19 gennaio 1981

tra gli USA e l'Iran, in forza dei quali fu istituito un tribunale arbitrale

ad hoc,

con sede all'Aja presso la Corte Permanente di Arbitrato, per la soluzione delle controversie commerciali tra i due Stati o tra i cittadini e gli enti di uno Stato e l'altro Stato.

Le leggi statati e la legge modello UNCITRAL

La disciplina dell'arbitrato internazionale deve essere, inoltre, ricercata nelle leggi statali che disciplinano il fenomeno arbitrale, che troveranno applicazione in assenza delle convenzioni internazionali

o relativamente ad

aspetti da queste non regolati.

Un numero crescente di legislazione nazionali ha tratto diretta (ed in taluni casi piena) ispirazione dalla

Legge Modello UNCITRAL

, adottata il 21 giugno 1985 e modificata il 7 luglio 2006, con l'introduzione di un nuovo capitolo (IV) dedicato alle misure cautelari.

Alla legge modello si affiancano anche delle «rules of arbitration», introdotte nel 1976 e recentemente modificate nel 2010 che le parti possono adottare quale regolamento arbitrale cui rimettere la disciplina del procedimento

La scelta di ricorrere ad una legge modello in luogo dell'elaborazione di una convenzione è dettata dall'esigenza di disporre di uno strumento elastico che consentisse un avvicinamento progressivo delle discipline nazionali, al fine di facilitare il più possibile l'armonizzazione. Soprattutto il testo del 1985 ha svolto, insieme alla Convenzione di New York, un ruolo determinante per l'

armonizzazione delle discipline nazionali in materia

di arbitrato internazionale, esercitando una grande influenza, tanto sugli Stati (tra cui Australia, Austria, Canada, Giappone, Iran, etc…) quanto sugli organismi arbitrali internazionali nell'ottica di una revisione dei relativi regolamenti.

La legge modello UNCITRAL propone una nozione ampia di arbitrato internazionale utilizzando una combinazione di criteri, tra di loro alternativi:

a)

se le parti dell'accordo arbitrale, al momento della sua conclusione, operano ― vale a dire, esercitano la propria attività economica

(place of business)

― in Stati diversi;

b)

se la sede dell'arbitrato, come determinata nell'accordo arbitrale o in applicazione dello stesso, ovvero una parte sostanziale del rapporto contrattuale oggetto della controversia, si trova in uno Stato diverso da quello in cui le parti esercitano la propria attività economica;

c)

la controversia presenta i nessi di collegamento più stretti con un paese diverso da quello in cui le parti esercitano le proprie attività economiche;

d)

se le parti hanno espressamente convenuto che la materia del contendere sia relativa a più di un paese.

Altri aspetti qualificanti della legge modello UNCITRAL, espressioni di un chiaro favor arbitrale, sono il riconoscimento dell'autonomia della convenzione arbitrale, della competenza degli arbitri a giudicare della propria competenza e di una grande libertà delle parti nell'individuazione delle norme che regolano il procedimento; la richiesta neutralità e qualificazione del collegio arbitrale e l'attribuzione al medesimo di ampi poteri discrezionali per la condotta del procedimento e la decisione di merito, in assenza d'indicazioni provenienti dalle parti; la riduzione dei mezzi di impugnazione al solo annullamento e l'indicazione tassativa dei motivi di ricorso, sostanzialmente coincidenti con quelli in base ai quali può essere negato il riconoscimento, a loro volta modellati sull'art. V della Convenzione di New York.

La legge modello UNCITRAL esercita la propria funzione anche con riferimento alla disciplina dell'arbitrato interno, nella misura in cui la disciplina nazionale che ad essa si ispira, non proponga distinzioni tra arbitrato interno e internazionale ovvero consenta alle parti di farvi ricorso per la disciplina dell'arbitrato domestico (c.d.

sistemi monisti

)

.

Gli Stati che optano per un approccio monista, ovviamente, non ignorano la distinzione tra arbitrato interno o internazionale ma non attribuiscono ad essa rilievo al di fuori dell'ambito di applicazione delle convenzioni internazionali di cui essi siano parte. In alcuni casi, pur in assenza di una disciplina ad hoc, contemplano un numero limitato di regole applicabili al solo arbitrato internazionale, in deroga alla disciplina prevista per l'arbitrato interno (ad es. in Belgio ed in Svezia).

Nei sistemi dualisti, invece, la scelta di predisporre una disciplina speciale

per l'arbitrato internazionale

comporta

l'esigenza di definire i

criteri in ragione dei quali desumere il carattere di internazionalità

di un arbitrato.

In

Svizzera, dove

la disciplina dell'arbitrato internazionale è contenuta nel

cap.

12 della

Loi fédérale sur le droit international privé del 1987

,

l'internazionalità dell'arbitrato è stabilita, ex art. 176, 1 co., LDIP, in funzione del mero domicilio fuori dal territorio elvetico di almeno una delle parti al momento della conclusione della convenzione arbitrale

.

Criterio soggettivo che, di fatto,

può condurre a qualificare come internazionali arbitrati concernenti controversie che non presentano alcun carattere d'internazionalità, con conseguenze paradossali, in particolare per quanto riguarda l'arbitrabilità della controversia

In Francia, la cui disciplina dell'arbitrato internazionale ha una matrice giurisprudenziale, in seguito codificata ed oggi contenuta negli artt. 1504-1524 del Code de procédure civile, come modificato nel 2011, che

poggia

su una

concezione «delocalizzata» dell'arbitrato internazionale

, non radicato in un ordinamento giuridico statale ma aperto alla possibilità per gli arbitri di applicare le regole materiali che appaiono più adatte agli specifici bisogni del commercio internazionale rispetto al caso singolo.

L'art. 1504 fr. c.p.c. adotta un

criterio oggettivo

, nella misura in cui considera internazionale la convenzione arbitrale che si riferisce ad una controversia che «concerne gli interessi del commercio internazionale» (criterio già applicato dalla Cassazione francese prima della codificazione del 1981: v. ex multis Cour de Cass. 18 maggio 1971

);

ciò significa che non rilevano il domicilio o la nazionalità delle parti, la legge

applicabile al contratto

o la sede dell'arbitrato

, bensì esclusivamente il carattere internazionale dell'operazione economica. L'incertezza a cui espone la discrezionalità di una siffatta valutazione è stata, di fatto, compensata dall'ampiezza dei criteri di definizione dell'internazionalità adottati dalla giurisprudenza francese.

La clausola di esclusione dell'arbitrato

Fermo restando l'ampio riconoscimento che trova il fenomeno arbitrale, giova evidenziare come numerose convenzioni, in particolare quelle adottate nell'ambito della

cooperazione giudiziaria europea, tendono a prevedere una

clausola di esclusione dell'arbitrato

dall'ambito di applicazione delle norme convenzionali.

Tale clausola era già presente nella

Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel

la Convenzione di Lugano del 1988, entrambe

sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze straniere

, e vien oggi riproposta in molti regolamenti adottati in ambito comunitario, in primis il

Regolamento n.

1215

/20

12

concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale

, nonché il

Regolamento n. 805/2004

istitutivo dei titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati

e il

Regolamen

to n. 861/2007

concernente un procedimento europeo per le controversie di modesta entità

.

E' opportuno sottolineare come la giurisprudenza della Corte di Giustizia abbia progressivamente esteso la portata applicativa di tale clausola di esclusione dell'arbitrato già nel testo vigente con la

Conv. Bruxelles. La CGCE

ha ritenuto che l'esclusione debba riferirsi, non solo ai procedimenti arbitrali, ma anche ai

procedimenti giudiziari aventi ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e della validità della convenzione arbitrale

(

CGCE 25

luglio

1991, C-190/89

,

Marc Rich

c.

Italiana Impianti) ovvero ai procedimenti relativi alle

domande di annullamento

del lodo, con l'unica eccezione delle misure cautelari richieste in pendenza d'arbitrato (ove la Corte ritiene applicabile l'art. 24 Conv. Bruxelles, vedi

CGCE 17

novembre

1998, C-391/95

,

Van

Uden Maritime BV

c.

Deca-Line e altri

).

Più di recente, la CGCE ha affermato l'incompatibilità con l'allora Reg. n.

44/2001

(oggi Reg. 1215/2012) di una

anti-suit injunction,

con cui

uno Stato membro ingiunga ad una parte di non iniziare un procedimento in altro Stato membro, a favore dell'accordo arbitrale

(CGCE 10 febbraio 2009,

causa C

-185/07,

Allianz Spa c. West Tankers Inc.

).

Nota, infine, è la posizione della CGCE sull'impossibilità per gli arbitri di proporre un

rinvio pregiudiziale

ex

art. 234 Trattato

CE (CGCE 23 marzo 1982, C-102/81,

Nordsee c. Reederei Mond;

CGCE 1

giugno

1999

,

Eco Swiss China Time Ltd c. Benetton Int. NV,

C-126/97

)

.

L'arbitrato internazionale in materia d'investimenti

Fenomeno fortemente caratterizzato emerso negli anni all'attenzione della dottrina è il c.d.

arbitrato in materia di investimenti, vale a dire

tra soggetti che effettuano investimenti in paesi stranieri e gli Stati ospiti o le loro emanazioni. Tale arbitrato poggia su una rete di migliaia di trattati bilaterali o multilaterali, ma può essere complessivamente posto sotto l'egida dell'

International Center for the Settlement of Investment Disputes (ICSID)

, previsto dalla

Convenzione di Washington

del 18 maggio 1965

per il regolamento delle controversie relative agli investimenti fra Stati e soggetti di altri Stati

(ratificata dall'Italia e resa esecutiva con l. 1093/1970).

L'ICSID amministra le procedure arbitrali ad esso demandate seguendo la procedura disciplinata dalla Convenzione di Washington ed emette lodi che si caratterizzano tanto per la stabilità, potendo essere impugnati solo dinanzi ad un Comitato

ad hoc

formato caso per caso ai sensi della Convezione ICSID, quanto per l'efficacia esecutiva, potendo prescindere negli Stati parte della Convenzione da qualsivoglia exequatur.

Il ricorso a tale tipologia d'arbitrato è stato per anni del tutto marginale, acquisendo rilievo solo a partire dagli anni novanta, anche grazie ad un orientamento giurisprudenziale, della stessa Corte ICSID, secondo cui le clausole di accettazione dell'arbitralo ICSID nei trattati bilaterali di protezione degli investimenti consentirebbero all'investitore di adire la procedura arbitrale indipendentemente dalla presenza di un compromesso

ad hoc

o di una clausola compromissoria nel contratto d'investimento (vedi lodo ICSID del 27 giugno 1990,

AAPL v. Sri Lanka, Yearbook

Commercial Arbitration

,

1992, p. 106).

In altre parole, l'arbitrato

ICSID

ha fondamento volontario, ma l'accordo tra le parti può realizzarsi anche mediante accettazione successiva, da parte del privato, della proposta dello Stato desunta dalle clausole di arbitrato dei BIT.

Come detto, tra

le

fonti riferibili all'arbitrato in materia di investimenti occorre annoverare, affianco alla Convenzione, anche i

trattati bilaterali di protezione degli investimenti

(c.d.

BIT), che

contengano l'accettazione della competenza dell'ICSID o di altri tribunali arbitrali. I

BIT

fondano la competenza ICSID solo quando a stipularli sono due Stati contraenti della Convenzione di Washington e sia prevista l'opzione per l'investitore a favore dell'arbitrato ICSID. Al di fuori di tale ipotesi, il trattato bilaterale può prevedere che, nelle controversie tra Stati e privati, l'investitore possa ricorrere al Segretariato ICSID per svolgere un arbitrato conformemente alle

Additional Facility Rules

dell'ICSID, ed in tal caso l'arbitrato sull'investimento, non essendo sottoposto alla disciplina della Conv. ICSID, potrà essere considerato un arbitrato internazionale commerciale e ricadere nell'ambito di applicazione della Convenzione di NY, ai fini del riconoscimento del relativo lodo.

I BIT possono prevedere la possibilità di deferire la controversia agli arbitri in ordine a due tipologie di controversie:

a) i c.d.

«treaty claims»,

ossia le controversie fondate su violazioni di disposizioni sostanziali previste dai trattati internazionali (ad es., divieto di espropriazione, l'obbligo di garantire protezione e sicurezza);

b) i c.d.

«contract claims»

, ossia controversie che hanno origine dai contratti conclusi tra l'investitore e lo Stato ospite e che presuppongono l'inclusione nel BIT di disposizioni, c.d.

«umbrella clauses»,

che prevedono l'obbligo dello Stato di rispettare gli impegni specifici assunti con la stipula del contratto d'investimento.

Quanto al

coordinamento delle

norme convenzionali in materia di investimenti,

la Conv. ICSID esclude l'applicazione della Convenzione di New York ed è a sua volta derogata dai trattati bilaterali per le questioni da questi disciplinate; la Convenzione di New York, invece, trova applicazione per gli arbitrati sugli investimenti non ICSID, inclusi gli arbitrati ad hoc cui si perviene in applicazione dei BIT.

Riferimenti

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, Commentario breve al diritto dell'arbitrato nazionale ed internazionale, Padova 2010;

BERNARDINI

, La revisione del Regolamento di arbitrato dell'UNCITRAL, in Dir. comm. inter.,

2010, 683 ss.;

BERGAMINI

,

Treaty Claims v. Contract Claims di fronte ai tribunali ICSID

,

in

Riv. arbitrato

,

2005, p. 175 ss.

;

FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, Traité del'arbitrage commercial international, Paris, 1996;

Gaillard,

Aspects philosophiques du droit de l'arbitrage international, Leiden

2008;

MINOLI,

L'Italia e l'arbitrato commerciale internazionale,

in

Quaderni dell'Associazione fra gli studiosi del processo civile

, XXIX,

Atti del VIII Convegno nazionale,

Milano, 1971, p. 33 ss; PICARDI, Manuale del processo civile, Milano 2013;

POUDRET-BESSON

, Droit compare de l'arbitrage international, Bruxelles 2002.

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