Arbitrato rituale

17 Novembre 2023

Il d.lgs. n. 149/2022 (c.d. Riforma Cartabia), in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina dettata dagli artt. 806-840 c.p.c., in precedenza ridisegnata integralmente dal d.lgs. n. 40/2006, e che si è soliti riferire all'arbitrato rituale.   

Inquadramento

L‘arbitrato è un procedimento alternativo di risoluzione delle controversie al quale le parti possono ricorrere mediante convenzione arbitrale (clausola compromissoria o compromesso).

Il d.lgs. 149/2022 (c.d. Riforma Cartabia), in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina dettata dagli artt. 806-840 c.p.c., in precedenza ridisegnata integralmente dal d.lgs. 40/2006, e che si è soliti riferire all'arbitrato rituale.   

L'ambito delle controversie per le quali è ammesso il ricorso all'arbitrato in deroga alla giurisdizione del giudice dello Stato è oggi definito con una norma di carattere generale (art. 806 c.p.c.) che consente di ritenere le condizioni da essa poste applicabili tanto per l'arbitrato rituale, quanto per l'arbitrato irrituale (o libero).

Tuttavia, la differenza tra l'arbitrato rituale e quello irrituale - aventi entrambi natura privata -  non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che, attraverso l'osservanza delle regole del procedimento arbitrale, si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro uno strumento di risoluzione negoziale, direttamente riconducibile alla volontà delle parti stesse (Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2015, n. 24558Cass. civ., sez. I, 31 ottobre 2013, n. 24552).

Solo l'arbitrato rituale si atteggia a strumento pienamente alternativo (e sostituivo) della giurisdizione ordinaria, in maniera sempre più chiara nel susseguirsi delle riforme di cui è stato oggetto. Infatti, la domanda di arbitrato è totalmente equiparata a quella introduttiva del processo ordinario e lo stesso lodo assume efficacia di sentenza (ex art. 824 bis c.p.c.) indipendentemente dal suo deposito ex art. 825 c.p.c. che, come detto, sarà necessario solo per consentire al lodo di acquisire efficacia esecutiva (oltre all'idoneità all'iscrizione di ipoteca e alla trascrizione).

Allo stesso tempo l'arbitrato rituale va distinto dalle altre figure negoziali, in particolare l'arbitraggio, ove le parti conferiscono al terzo arbitratore l'incarico di determinare uno degli elementi del negozio in formazione, senza alcun potere decisorio su questioni controverse (Cass. civ., sez. I, 29 aprile 1983, n. 2949, che peraltro consente il cumulo delle funzioni di arbitratore ed arbitro rituale) e la perizia contrattuale, che si ha allorché le parti conferiscano al terzo l'incarico di svolgere, precipuamente in base alla sua capacità tecnica, constatazioni o accertamenti, impegnandosi ad accettare la deliberazione del terzo. (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2018, n. 28511;).È la valutazione tecnica a connotare tale secondo istituto, tant'è che la giurisprudenza di legittimità ha optato per una sua astratta riconducibilità all'arbitrato irrituale, da cui rimane distinto nella misura in cui le parti conferiscono ad un terzo la risoluzione di una controversia tecnica e non giuridica (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2007, n. 10705).

Legittimità costituzionale del rimedio arbitrale

L'arbitrato, quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo rispetto alla giurisdizione civile ordinaria, attraverso cui le parti rimettono concordemente la decisione della lite al giudizio di un terzo privato, piuttosto che al giudice dello Stato, ha posto dubbi di legittimità costituzionale in relazione alla riserva dell'attività giurisdizionale ai giudici dello Stato prevista dall'art. 102 Cost. 

Le predette perplessità sono state superate osservando come sia comunque l'organo giurisdizionale statuale a conferire al lodo emanato dal privato l'imperatività e la piena efficacia esecutiva di sentenza (Corte cost., 12 febbraio 1963, n. 3).

Nei limiti in cui l'ordinamento attribuisce rilevanza all'autonomia privata, i fondamentali principi espressi dall'art. 24 Cost. non vengono compressi, atteso che ogni soggetto giuridico può ben svolgere la propria autonomia per la soluzione delle controversie di suo interesse e «ricorrere ad un mezzo, come quello dell'arbitrato, che è legittimato da un regolamento del diritto di azione, valido nel limite in cui su questo diritto la volontà singola opera efficacemente» (Corte cost., 14 luglio 1977, n. 127).

Stante l'asserita ammissibilità di deroghe alla giurisdizione statuale nel solo caso in cui siano le parti a manifestare la volontà di scelta di forme alternative di giudizio, è fuor di dubbio che norme eteronome rispetto alla volontà delle parti, istitutive di arbitrati obbligatori, violino l'art. 24 Cost., che impone di consentire a tutti l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti, il divieto di istituzione di giudici speciali di cui all'art. 102, comma 2, Cost. ed il principio di «inderogabilità del giudice naturale» sancito dall'art. 25, comma 1, Cost.

In tale prospettiva la citata pronuncia della Corte costituzionale n. 127/1977 ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 24 e 102 Cost., l'art. 25 r.d. n. 1127/1939, nella misura in cui erano devolute necessariamente a collegio arbitrale le controversie relative ai diritti spettanti all'inventore-lavoratore dipendente.

Analogamente, Corte costituzionale n. 488/1991, ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 21, comma 2-3, 40 e 50, comma 2, r.d.l. 1923/3267, in quanto prevedevano un arbitrato obbligatorio per la determinazione dell'indennizzo in caso di occupazione di terreni per sistemazione idraulica-forestale, ribadendo più in generale l'incostituzionalità degli arbitrati obbligatori.

In evidenza

È costituzionalmente illegittimo l'art. 16 della l. 741/1981 che ha sostituito l'art. 47 del d.P.R. n. 1063/1962, impugnato, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che la competenza arbitrale non può essere derogata con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti, bensì solo con una clausola inserita nel bando o nell'invito di gara, ovvero nel contratto in caso di trattativa privata, in quanto tale norma, rendendo di fatto obbligatoria la competenza arbitrale nelle controversie nascenti dai contratti di appalto di opere pubbliche, viola il principio costituzionale, secondo cui solo a fronte della concorde e specifica volontà delle parti sono consentite deroghe alla regola della statualità della giurisdizione (C. cost., 2 maggio 1996, n. 152).

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 24, comma 125, comma 1 e 102, comma 1, della Costituzione, l'art. 13 del r.d.l. n. 1345/1930, convertito nella l. 80/1931, in quanto prevede un arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative alla costruzione o all'esercizio dell'acquedotto del Monferrato e all'applicazione dello stesso decreto-legge. Dato, infatti, per certo che trattasi di arbitrato rituale ed obbligatorio, è necessario richiamare il costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale che ha ravvisato nella libera scelta delle parti il fondamento di qualsiasi arbitrato, con l'ulteriore precisazione che l'arbitrato può ritenersi effettivamente non obbligatorio solo quando sia consentito a ciascuna delle parti in contesa, con decisione anche unilaterale, di adire il giudice ordinario, mentre la norma censurata preclude alle parti la possibilità di adire il giudice statuale, essendo, inoltre, irrilevanti i profili relativi sia al regime del lodo sia alla composizione del collegio, atteso che la garanzia costituzionale attiene alla libertà di scelta dello strumento dell'arbitrato e non già a peculiari modalità di svolgimento dello stesso (Corte cost., 8 giugno 2005, n. 221).

Appaiono invece compatibili con il dettato costituzionale gli arbitrati semplicemente predisposti da leggi o regolamenti che ne facciano salvo il fondamento volontaristico, subordinandone la concreta esperibilità ad un'espressa dichiarazione di volontà di entrambi i contendenti ovvero riconoscendo a ciascuna parte la possibilità di declinare la competenza arbitrale all'insorgere della controversa (Cass. civ., sez. I, 1 luglio 2004, n. 12031).

Quanto, infine, a figure anomale o ibride, ha destato interesse l'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) previsto dall'art. 128 bis TUB, che per esigenze di tutela del cliente/consumatore non è fondato sul libero consenso di entrambe le parti ma prevede l'obbligatoria adesione della banca o dell'intermediario finanziario in risposta all'impulso di controparte. Per tale ragione l'ABF non è considerato alternativo e non preclude in alcun modo il ricorso alla giurisdizione ordinaria, e la stessa decisione assunta non assume alcun valore cogente per le parti, svolgendo «solo una funzione destinata ad incidere sulla immagine e sulla reputazione dell'intermediario, in particolare se non ottemperante, secondo connotazioni che possono riecheggiare gli interventi di organi amministrativi in autotutela» (Corte cost., 21 luglio 2011, n. 218).

Natura giuridica dell'arbitrato rituale

Sulla natura giuridica dell'arbitrato rituale si è discusso molto in dottrina e giurisprudenza, attraverso posizioni nettamente contrapposte, nel tentativo di conciliare il fondamento negoziale della scelta dell'arbitrato come mezzo di risoluzione delle liti con il carattere di giudizio della decisione arbitrale e la idoneità di essa ad acquisire efficacia di sentenza esecutiva. I due poli dell'elaborazione puntavano sulla natura «privatistica» del lodo ovvero sul suo carattere «giurisdizionalizzato».

Tappa decisiva è rappresentata dalla l. 25/1994 che ha svincolato l'efficacia del lodo dalla concessione dell'exequatur, prevedendo come il lodo che ne risultava privo era (ed è) comunque equiparabile a pronunzia giudiziale idonea al giudicato, anche se non munita di efficacia esecutiva e non suscettibile di trascrizione e di iscrizione per ipoteca giudiziale.

La giurisprudenza, dopo avere per lungo tempo affermato che con l'arbitrato rituale si demanda agli arbitri l'esercizio di un potere decisorio sostitutivo rispetto a quello del giudice ordinario (Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2000, n. 2184), destinato ad avere sbocco in una pronuncia alla quale l'ordinamento attribuisce efficacia corrispondente a quella di una sentenza del giudice statale (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 1999, n. 833) con la sentenza n. 527/2000 le Sezioni Unite della Cassazione hanno aderito all'impostazione dottrinale schiettamente negoziale dell'arbitrato, affermando che l'arbitrato è «ontologicamente alternativo» alla giurisdizione statale ed il giudizio degli arbitri «che non esercitano funzioni giurisdizionali né  sono giudici», non solo è antitetico a quello giurisdizionale ma ne costituirebbe «la negazione»: l'accordo arbitrale sarebbe quindi un patto di radicale rinuncia alla tutela giurisdizionale.

Questo orientamento è apparso ben presto dissonante dalla successiva pronuncia della Corte Cost. n. 376/2001, che proprio partendo dall'idea secondo cui il giudizio arbitrale è potenzialmente fungibile con quello del giudice statuale, ha ritenuto gli arbitri rituali legittimati a rimettere alla stessa le questioni di legittimità costituzionale insorte nel giudizio (principio oggi affermato dall'art. 819-bis c.p.c.).

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha a lungo confermato tale impostazione, superata solo in seguito ad un nuovo intervenuto il legislatore che, con la riforma del 2006, ha introdotto l'art. 824-bis in cui si precisa che il lodo rituale ha, dalla data della sua ultima sottoscrizione, «gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria».

Il tenore di tale disposizione non ha del tutto attenuato il dibattito in ordine alla c.d. natura dell'arbitrato, anche se pare meglio aderire all'opinione (maggioritariamente condivisa in dottrina) secondo cui l'arbitrato rituale ha natura oggettivamente giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario giurisdizionale, mentre l'arbitrato libero aderisce alla fattispecie contemplata dall'art. 1349 c.c., essendo il patto compromissorio per arbitrato irrituale un atto di disposizione del diritto che l'arbitro è chiamato a completare, nell'ottica del superamento della controversia e della formazione di un nuovo rapporto giuridico.

Anche la Suprema Corte, superando l'orientamento espresso nel 2000 ed in sintonia con la Consulta, ha (ri)affermato la natura giurisdizionale, considerando l'arbitrato come sostitutivo della giustizia pubblica e idoneo al raggiungimento di un «risultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale» (Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153Cass. civ., 12 novembre 2015, n. 23176Cass. civ., 25 ottobre 2016, n. 21523Cass. civ., 29 agosto 2018, n. 21336; Cass. civ., sez. un., 26 ottobre 2020, n. 23418; Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153).

NATURA DELL'ARBITRATO RITUALE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., l'art. 819-ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui esclude l'applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'art. 50 c.p.c., così determinando, in caso di pronuncia del giudice ordinario di diniego della propria competenza a favore di quella dell'arbitro (o anche nell'ipotesi inversa), l'impossibilità di far salvi gli effetti sostanziali e processuali dell'originaria domanda proposta dall'attore davanti al giudice ordinario (oppure all'arbitro, nel caso opposto).

Gli artt. 24 e 111 Cost. attribuiscono all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare, attraverso il giudizio, la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ed impongono che la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi si ispiri al principio secondo cui l'individuazione del giudice munito di giurisdizione non deve sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa. Tali principi vanno applicati anche ai rapporti tra arbitri e giudici, perché la possibilità che le parti affidino la risoluzione delle loro controversie a privati invece che a giudici è la conseguenza di specifiche previsioni dell'ordinamento.

Corte cost., 19 luglio 2013, n. 223

L'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. 25/ 1994, e dal d.lgs.40/2006, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione.

Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153

Nel giudizio arbitrale, la questione concernente l'esistenza o la validità della convenzione giustificativa della potestas iudicandi degli arbitri ha natura pregiudiziale di rito, in quanto funzionale all'accertamento di un error in procedendo che vizia una decisione giurisdizionale, quale è il lodo.

Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2016, n. 23463

Particolare attenzione merita la pronuncia della Consulta che nell'estendere l'applicabilità della translatio iudicii ai rapporti tra giudici ordinari e arbitri ha chiaramente evidenziato la pari dignità tra il giudizio arbitrale e quello statuale. A tale sito si perviene proprio perché l'arbitrato è un giudizio potenzialmente fungibile con quello degli organi giurisdizionali, in quanto finalizzato all'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione della controversia mediante una decisione (lodo) che ha l'efficacia propria delle sentenze.

Infine, il carattere e l'efficacia giurisdizionale dell'arbitrato rituale sembra essere ulteriormente confermata dal legislatore del 2022 che ha introdotto l'art. 816-bis.1 c.p.c. rubricato “domanda di arbitrato”. La norma nel prevedere che “la domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall'articolo 819-quater” – vale a dire, in ipotesi di tempestiva riassunzione della causa entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato sulla eccezione di compromesso – piuttosto che focalizzare la propria attenzione sull'atto introduttivo del procedimento arbitrale e sulla sostanziale parificazione degli effetti tra domanda arbitrale e giudiziale (in concreto acquisita da tempo), si pone a servizio delle esigenze di definitiva affermazione della translatio tra arbitrato e giudizio ordinario.

La disponibilità del diritto

Nella formulazione dell'art. 806 c.p.c. s'individua come unico presupposto dell'arbitrato la disponibilità del diritto, prevedendo che le parti possano far decidere ad arbitri le controversie tra loro insorte che non riguardino diritti indisponibili, ad eccezione delle ipotesi in cui sussista di un divieto espresso di legge.

Il precedente riferimento normativo era alle controversie che possono formare oggetto di transazione si era dimostrato fuorviante e la modifica è stata salutata con favore.

La disponibilità va riferita al diritto azionato e non alle questioni che possono porsi nell'iter logico-giuridico che conduce alla decisione, tranne il caso in cui si tratti di questioni che per legge devono essere decise con efficacia di giudicato. Nella misura in cui l'arbitrato trae origine dalla volontà delle parti, quest'ultima deve presupporre la piena disponibilità del diritto oggetto del giudizio, fermo restando che la novella del 2006 ha previsto, ex art. 819 c.p.c., che nel corso dell'arbitrato possano essere risolte incidenter tantum anche questioni non compromettibili ex lege e dunque estranee al parametro di disponibilità del diritto fissato ex art. 806 c.p.c.

Ne consegue che la disponibilità va riferita sempre al diritto azionato e non alle questioni che si pongono nel percorso logico-giuridico della decisione, con la conseguenza che diventa irrilevante, per gli arbitri, affrontare questioni relative ai diritti indisponili, salvo che la questione non debba essere decise con autorità di giudicato per legge.

Il campo dell'indisponibilità - in cui è, invece, escluso il ricorso alla tutela arbitrale, atteso che per i diritti non disponibili la tutela giurisdizionale è uno strumento e garanzia irrinunciabile -  viene contenuto entro i ristretti limiti in cui l'interesse generale è talmente forte che già sul piano sostanziale sia previsto che il potere di disporre del diritto non faccia capo al solo titolare di, ferma restando la compromettibilità delle pretese patrimoniali nascenti da diritti indisponibili o dalla loro violazione (Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 1969, n. 3505) pur se la violazione del diritto indisponibile integri gli estremi di un reato (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 1988, n. 664).

Analogamente, il richiamo alla disponibilità del diritto, effettuato in via indiretta e non più tramite la transazione, consente di superare in senso positivo il problema dell'arbitrabilità di una controversia, relativa ad un contratto illecito, ben potendo il lodo dichiarare la nullità del contratto ovvero disporre la rimozione degli effetti dallo stesso prodotti contra legem.

L'indisponibilità del diritto non va confusa con l'inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico controverso, che non impedisce di compromettere la controversia in arbitri  (Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2004, n. 3975), rappresentando soltanto un limite per l'attività di giudizio posta in essere dagli arbitri, da censurare eventualmente attraverso l'impugnazione per violazione di norme di diritto del lodo che risulti contrario a norme imperative, ex art. 829, comma 3, c.p.c. Ad esempio, vengono ritenute arbitrabili anche le controversie associative, purché non riguardanti interessi protetti da norme inderogabili  (Cass. civ., sez. I, 30 dicembre 2011 , n. 30519) così come le impugnazioni di delibere condominiali, dato che l'art. 1137, comma 2, c.c. non prevede alcuna riserva assoluta di competenza per il giudice ordinario (Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 2020, n. 28508)

Anche la nullità di un contratto per violazione di norme imperative implicherà la nullità del relativo patto compromissorio solo quando le controversie che ne formano oggetto siano tali da comportare in concreto la disposizione di un diritto indisponibile (Cass. civ., sez. I, 19 maggio 1989, n. 2406).

Controversa l'ipotesi delle competenze funzionali dell'autorità giudiziaria ovvero dell'intervento del PM nelle materie che non riguardano diritti indisponibili: il riferimento è alle azioni di nullità di marchi e brevetti nonché alla denuncia al tribunale di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. Secondo una parte della dottrina, la previsione dell'intervento obbligatorio del PM, pur non sottraendo di per sé alle parti il potere di disporre del diritto, può eventualmente giustificare l'introduzione di un limite legislativo all'arbitrabilità di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

Riferimenti

Andrioli, L'arbitrato obbligatorio e la Costituzione, in Giur. cost., 1977, I, 1143;

Bove, La giustizia privata, Padova, 2023;

Carpi, a cura di, Arbitrato, Bologna, 2007;

Cavallini, L'arbitrato rituale, Milano, 2009;

Danovi, L'arbitrato. Una giurisdizione su misura, Milano, 2020;

Fazzalari, Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile), in Dig. civ., I, Torino, 1987; La La China, L'arbitrato. Il sistema e l'esperienza, Milano, 2011;

Luiso, L'oggetto del processo arbitrale, in Riv. arbitrato, 1996, 669;

Motto, La compromettibilità in arbitrato secondo l'ordinamento italiano, Milano 2018;

Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, II ed., Padova, 2012;

Ricci, Dalla «transigibilità» alla «disponibilità» del diritto. I nuovi orizzonti dell'arbitrato, in Riv. arbitrato, 2006, 265;

Satta, Contributo alla dottrina dell'arbitrato, Milano, 1931;

Salvaneschi-Graziosi, L'Arbitrato, Milano, 2020;

Verde, Lineamenti di diritto dell'arbitrato, Torino, 2015;

Zucconi Galli Fonseca, Lezioni di diritto dell'arbitrato, Bologna, 2021.

Sommario