Mauro Di Marzio
24 Aprile 2017

La professione di avvocato è tuttora disciplinata dal r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante norme sull'Ordinamento della professione di avvocato, nonché dal regolamento di attuazione r.d. 22 gennaio 1934, n. 37.
Inquadramento

La professione di avvocato è tuttora disciplinata dal r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante norme sull'Ordinamento della professione di avvocato, nonché dal regolamento di attuazione r.d. 22 gennaio 1934, n. 37.

Caratteri principali della professione sono i seguenti:

  • abilitazione a seguito di un esame preceduto da una pratica obbligatoria;
  • iscrizione obbligatoria nell'albo, quale condizione per l'esercizio della professione;
  • incompatibilità con l'esercizio di altre professioni, mestieri, impieghi retribuiti, rapporti di dipendenza e simili;
  • soggezione ad un sistema disciplinare interno;
  • remunerazione sulla base di appositi parametri (v. le tabelle dei nuovi parametri forensi, allegate al DM n. 55/2014) (v. Bussola Compensi degli avvocati).
Iscrizione all'albo

Per l'iscrizione nell'albo ordinario degli avvocati è necessario di regola superare l'esame di abilitazione all'esercizio della professione (artt. 17, comma 1, n. 6, e 20 r.d.l. 1578/1933, come modificati dall'art. 1 d. lgs. lgt. 7 settembre 1944, n. 215). Si tratta di esame e non di concorso, giacché non esiste — com'era invece previsto all'origine nella legge professionale forense — un numero precostituito di avvocati per ciascun albo.

L'accesso all'esame di avvocato – che, una volta superato, consente l'iscrizione all'albo e quindi l'esercizio della professione – è consentito solo dopo il compimento di un periodo di pratica la cui durata, in precedenza annuale, è stata portata a due anni dall'art. 2, l. 24 luglio 1985, n. 406. Tale previsione è compatibile con l'ordinamento comunitario, il quale non preclude agli stati membri di disciplinare l'accesso alla professione (Cass., Sez. Un., 22 novembre 2004, n. 21945).

L'iscrizione all'albo è condizione per l'esercizio della professione di avvocato.

Secondo l'art. 1 r.d.l. 1578/1933, infatti, «nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell'albo professionale» tenuto presso ciascun Consiglio dell'ordine. Secondo l'art. 12, comma 2, r.d.l. 1578/1933, poi, gli avvocati «non possono esercitare la professione se prima non hanno giurato» in una pubblica udienza del tribunale. Il Consiglio nazionale forense ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma che impone il giuramento (Consiglio nazionale forense, 22 ottobre 2010 n. 99).

L'iscrizione all'albo ha natura costitutiva (Cass. 23 settembre 2009 n. 20436 secondo cui è affetto da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d'ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, l'atto introduttivo del giudizio di impugnazione sottoscritto da un praticante, non ancora iscritto nell'albo professionale degli avvocati).

Vi sono due albi: quello ordinario al quale si iscrivono gli avvocati che abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione (art. 16 r.d.l. 1578/1933); quello speciale al quale si iscrivono gli avvocati ammessi al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori (art. 33 r.d.l. 1578/1933). Vi è inoltre un elenco speciale riservato agli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione e in qualsiasi modo presso gli enti di cui al comma 2 dell'art. 3 r.d.l. 1578/1933 (avvocati dello Stato, Province, Comuni ed altre amministrazioni o istituzioni pubbliche).

Ciascun avvocato iscritto nell'albo di un determinato Consiglio dell'ordine può cancellarsi ed iscriversi ad altro albo di altro Consiglio dell'ordine. Non devono però sussistere cause ostative alla cancellazione previste dall'art. 37 r.d.l. 1578/1933.

Esercizio della professione da parte di avvocati cittadini di uno stato membro dell'unione europea

L'art. 6, comma 1, d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 prevede l'iscrizione in una sezione speciale dell'albo dei cittadini degli stati membri dell'Unione europea in possesso di uno dei titoli di cui all'art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, che intendano esercitare permanentemente in Italia la professione di avvocato (avvocato stabilito).

Con l'iscrizione, l'avvocato stabilito può, inizialmente, avvalersi del titolo professionale di provenienza (es. abogado spagnolo), e deve agire in giudizio «di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato» (art. 8). Può invece di esercitare senza ulteriore ausilio l'attività stragiudiziale. Dopo aver esercitato in Italia per almeno tre anni può ottenere l'iscrizione nell'albo degli avvocati (avvocato integrato).

È inoltre possibile che l'avvocato cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea ottenga preventivamente il riconoscimento del proprio titolo in Italia.

Incompatibilità

A tutela della sua autonomia e indipendenza, la professione di avvocato è incompatibile con l'esercizio di altri mestieri od attività (art. 3 r.d.l. 1578/1933). Possono individuarsi tre gruppi di incompatibilità: a) quella concernente l'esercizio del commercio; b) quella concernente gli stabili impieghi retribuiti, anche se alle dipendenze dello Stato o altri enti pubblici; c) quella, eterogenea, concernente l'esercizio di specifiche attività: notaio, ministro di qualunque culto, giornalista professionista, direttore di banca, mediatore, agente di cambio, sensale, ricevitore del lotto, appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, esattore di pubblici tributi.

In tali situazioni la stessa iscrizione all'albo è esclusa: non è cioè consentita un'iscrizione ai soli fini del conseguimento del titolo di avvocato, disgiunta dall'abilitazione all'esercizio professionale (Cass., sez. un., 8 marzo 1988, n. 2336).

Con riguardo alle attività commerciali, l'incompatibilità ricorre non soltanto nel caso dell'esercizio in forma diretta di una qualsiasi impresa commerciale (Cass. 21 maggio 1994, n. 5010), ma anche quando essa è riferibile sia pur indirettamente al professionista, come nel caso dell'assunzione della carica di amministratore delegato di una società commerciale (Cass., sez. un., 5 gennaio 2007, n. 37), quantunque a capitale interamente pubblico (Cass. sez. un., 24 marzo 1977, n. 1143), ovvero inattiva (Cass. sez. un., 28 febbraio 2011, n. 4773). Le medesime regole devono ritenersi applicabili in caso di assunzione della carica di amministratore unico nonché di presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, sempre che ciò importi l'esercizio di poteri gestori. Eguali conclusioni trovano applicazione nel caso dell'assunzione della qualità di socio accomandatario di società in accomandita (Cass., sez. un., 26 giugno 2003, n. 10162.

Anche il rapporto che lega un'azienda sanitaria al suo direttore genera incompatibilità poiché l'art. 3 citato è volto a garantire l'autonomo ed indipendente svolgimento del mandato professionale, sicché non rileva la natura subordinata od autonoma del rapporto, bensì la sua relativa stabilità e la sua remunerazione in misura predeterminata in ragione della continuità del rapporto professionale (Cass. sez. un., 24 giugno 2009, n. 14810).

E poi incompatibile con l'esercizio della professione di avvocato ogni attività lavorativa comportante un vincolo di subordinazione (Cass., sez. un., 12 novembre 1997, n. 11151).

La disciplina dell'incompatibilità è sottoposta ad alcune deroghe, le quali riguardano da un lato i professori e gli assistenti delle Università e degli altri istituti superiori ed i professori degli istituti secondari della Repubblica, dall'altro gli avvocati iscritti nell'elenco speciale di cui si è in precedenza fatto cenno. Per quanto riguarda le attività di insegnamento, la giurisprudenza del Consiglio nazionale forense era orientata in senso restrittivo, dal momento che le deroghe alla previsione di incompatibilità hanno natura eccezionale e costituiscono un numerus clausus (Consiglio nazionale forense 17 dicembre 2009, n. 157).

In senso diverso, le Sezioni Unite hanno escluso l'incompatibilità nel caso dell'esercizio dell'attività di insegnamento nelle scuole elementari.

In evidenza

La norma dell'art. 3, quarto comma, lettera a) del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 - in base alla quale la previsione generale dell'incompatibilità tra lo svolgimento della professione di avvocato e la sussistenza di un impiego pubblico non si applica ai professori universitari e ai docenti delle scuole secondarie - va letta nel senso che, sussistendone i requisiti, l'incompatibilità è esclusa anche per i docenti della scuola elementare; costoro, infatti, godono della medesima libertà di insegnamento stabilita per gli altri docenti e devono essere in possesso della laurea, sicché la loro esclusione dall'eccezione prevista dalla legge si risolverebbe in una discriminazione in contrasto col principio costituzionale di uguaglianza (Cass., Sez. Un., 8 novembre 2010, n. 22623).

Avvocato e procuratore. Ministero e assistenza

Con l'espressione « ministero di un procuratore legalmente esercente » l'art. 82 c.p.c. si riferisce oggi essenzialmente all'avvocato (non più, come subito si vedrà, alla soppressa figura del procuratore legale) dotato dell'abilitazione all'esercizio della professione ed attualmente iscritto all'apposito albo, in conformità all'ordinamento della professione come disciplinato — fintanto che non verrà varata la riforma dell'ordinamento forense, di cui molto si è discusso negli ultimi anni — anzitutto dal r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito con modificazioni in legge 27 gennaio 1934, n. 36.

La qualità di « procuratore legalmente esercente », in caso di contestazione, deve essere oggetto di prova dalla parte interessata, nei cui confronti la contestazione è diretta (Cass. 26 luglio 1985, n. 4357).

L'art. 5 della legge professionale forense, appena citata, stabiliva che: « I procuratori legali possono esercitare la professione davanti a tutti gli uffici giudiziari del distretto in cui è compreso l'ordine circondariale presso il quale sono iscritti nonché davanti al tribunale amministrativo regionale competente nel distretto medesimo ». Tale disposizione, unitamente all'art. 87 c.p.c., ove è stabilito che: « La parte può farsi assistere da uno o più avvocati », fondava la distinzione tra le funzioni, cui si è già accennato in apertura del capitolo, di rappresentanza, propria del procuratore, e quelle di assistenza, spettanti all'avvocato: funzioni normalmente riunite nella medesima persona del difensore o dei difensori, ma nondimeno concettualmente distinte, giacché dirette le une ad assicurare la rappresentanza della parte in giudizio, le altre a garantirne la difesa tecnica e professionale. Come è stato detto: « Il ministero del procuratore consisteva nel potere di compiere e ricevere nell'interesse della parte tutti gli atti del processo ai sensi dell'art. 84 c.p.c.; l'assistenza dell'avvocato consisteva, invece, nel mero svolgimento degli argomenti difensivi a favore della parte nel tentativo di determinare il convincimento del giudice. In dottrina si era soliti dire che mentre l'attività del procuratore riguardava la forma degli atti, quella dell'avvocato concerneva il loro contenuto » (Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc., 2006, 814).

L'abolizione della distinzione professionale tra gli avvocati e i procuratori legali non ha determinato il superamento della tradizionale bipartizione tra le funzioni di procuratore e di avvocato — normativamente individuate nel codice di rito con le rispettive locuzioni di « ministero di difensore » e di « assistenza di difensore » — con la conseguente necessità della procura, ex art. 83, 1° co., c.p.c., per il conferimento del ministero di difensore (Cass. 14 ottobre 2000, n. 13729), procura invece non necessaria per il conferimento dell'incarico di assistenza. La procura, infatti, « conferisce al difensore i poteri di rappresentanza processuale espressamente evocati nell'art. 84, mentre non occorre per l'espletamento di quello di assistenza, che gli "avvocati" (in senso letterale) svolgono in nome proprio ed a favore della parte, al pari dei consulenti tecnici designati dalle parti, come testualmente si evince dalla ben diversa impostazione (rispetto al cit. primo comma art. 83) dell'art. 87 c.p.c. » (così Cass. 12 maggio 1999, n. 4718, che ha cassato la sentenza con cui una corte d'appello aveva dichiarato la nullità di un atto di impugnazione per mancanza di procura poiché essa conteneva l'espressione « nomino difensori », indicativa secondo quel giudice esclusivamente all'incarico della difesa). Ulteriore rilevante applicazione della distinzione è quella secondo cui nei giudizi davanti alla Corte di cassazione l'attività dei difensori consiste nella sola « assistenza » di avvocato, non estendendosi alla rappresentanza processuale della parte (Cass. 2 febbraio 2000, n. 1141), onde non spettano al difensore le competenze procuratorie (Cass. 8 settembre 2006, n. 19295).

Dalla distinzione tra le attività di procuratore e di avvocato discendeva una limitazione territoriale, giudicata costituzionalmente compatibile (Corte cost. 30 marzo 1977, n. 54, Giust. civ., 1977, III, 149), delle funzioni procuratorie, ove pure cumulate nella stessa persona dell'avvocato (Cass. 17 luglio 1992, n. 8691; Cass. 23 giugno 1989, n. 3027), le quali potevano essere svolte esclusivamente intra districtum, ossia nell'ambito territoriale della corte d'appello entro cui il legale era iscritto. Ed in proposito si era formato un indirizzo giurisprudenziale assai rigoroso il quale, in caso di violazione della limitazione territoriale, riteneva che il procuratore esercente extra districtum fosse radicalmente privo di ius postulandi, con conseguente inesistenza giuridica (e quindi non sanabilità) degli atti da lui compiuti (Cass. 21 marzo 1994, n. 2691; Cass. 25 novembre 1993, n. 11657). La figura del procuratore legale, con la collegata limitazione territoriale delle funzioni procuratorie, è però venuta meno — in armonia con l'esigenza di conformare l'ordinamento interno al principio di libera circolazione dei professionisti riconosciuto dall'Unione Europea — per effetto dell'abrogazione del citato art. 5, unitamente al successivo art. 6, ad opera dell'art. 6 della legge 24 febbraio 1997, n. 27.

In evidenza

Perciò, attualmente, pur rimanendo in essere la distinzione concettuale tra attività procuratoria e attività defensionale, l'avvocato può esercitare il patrocinio sotto entrambi gli aspetti indifferentemente su tutto il territorio nazionale, e con efficacia retroattiva. In tal senso la S.C. ripete che, avendo l'art. 6 della legge 24 febbraio 1997, n. 27 abrogato l'art. 5 poc'anzi menzionato, che ammetteva il procuratore legale ad esercitare la professione solo entro il distretto, ed avendo l'art. 8 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 attribuito efficacia retroattiva a tale abrogazione, estendendone gli effetti a tutti i processi in corso alla data di entrata in vigore della disposizione abrogativa, il difensore munito di procura può svolgere in ogni caso il suo patrocinio senza limitazioni territoriali (Cass. 14 ottobre 2001, 12133; Cass. 9 luglio 2002, n. 9977; Cass. 25 marzo 2002, n. 4213; Cass. 26 luglio 2002, n. 11038; Cass. 29 agosto 2003, n. 12675)..

Il praticante avvocato

Accanto all'avvocato, è « procuratore legalmente esercente », ai sensi dell'art. 82 c.p.c., anche il praticante avvocato, nei limiti in cui gli è consentito di esercitare il patrocinio. La figura è contemplata dall'art. 8 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito con modificazioni in legge 22 gennaio 1934, n. 36, il quale stabilisce che:

a) i laureati in giurisprudenza in possesso degli ulteriori requisiti previsti dall'art. 17 (cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell'Unione europea; godimento dell'esercizio dei diritti civili; condotta specchiatissima ed illibata), sono iscritti, a domanda e previa certificazione dell'avvocato di cui frequentano lo studio, nel registro speciale tenuto dal consiglio dell'ordine degli avvocati presso il tribunale nel cui circondario hanno la residenza, e sono sottoposti al potere disciplinare del consiglio stesso;

b) i praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione, sono ammessi per un periodo non superiore a sei anni ad esercitare il patrocinio, entro il distretto nel quale è compreso l'ordine circondariale che ha la tenuta del registro (Sulla conformità a Costituzione della limitazione territoriale dell'esercizio del patrocinio da parte del praticante avvocato v. Corte cost. 7 maggio 2002, n. 163), nelle cause di competenza del giudice di pace ed in quelle di competenza del tribunale in composizione monocratica (sull'esercizio dell'attività stragiudiziale v. Cass., Sez. Un., 28 novembre 2001, n. 15148), limitatamente, quanto agli affari civili, alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, alle azioni possessorie, salvo il disposto dell'art. 704 c.p.c., e alle denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell'art. 688, 2° co., c.p.c., alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie, e, quanto agli affari penali, alle cause per i reati previsti dall'art. 550 c.p.p.. I praticanti avvocati possono inoltre esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero.

La disposizione è stata nel suo complesso giudicata costituzionalmente compatibile in riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, e 33, comma 5, Cost., nella parte in cui consente di ammettere i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica professionale ed hanno frequentato per un anno lo studio di un avvocato, ad esercitare per non più di sei anni davanti agli uffici giudiziari indicati (Corte cost. 21 gennaio 1999, n. 5). Tuttavia, il Giudice delle leggi, più di recente, ha dichiarato l'incostituzionalità della disposizione, ivi prevista, nella parte in cui stabiliva che i praticanti avvocati potessero essere nominati difensori d'ufficio (Corte cost. 17 marzo 2010, n. 106). La decisione più antica non si pone in contrasto con quella più recente, la quale non esclude che i praticanti avvocati abilitati possano patrocinare cause di propri clienti, in materia sia civile sia penale, ma soltanto sulla base di incarichi fiduciari conferiti direttamente dall'assistito.

Gli atti posti in essere in violazione dei limiti menzionati dal praticante avvocato il quale deve operare sotto il controllo di un avvocato (Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2005, n. 1727), sono affetti da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d'ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, data la stretta attinenza alla costituzione del rapporto processuale (Cass. 23 settembre 2009, n. 20436; Cass. 19 febbraio 2007, n. 3740). E, se il praticante avvocato ha svolto attività non di spettanza sua, bensì propria dell'avvocato, nessun compenso gli spetta. Difatti, per il disposto dell'art. 2231 c.c., l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dando luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente (art. 1418, comma 1, c.c.), priva il contratto di qualsiasi effetto: di guisa che, nel caso di esercizio della professione forense in difetto dell'iscrizione all'albo professionale al momento in cui il contratto di patrocinio è stato stipulato e sono state poste in essere le relative attività, il professionista non ha diritto al compenso (Cass. 19 febbraio 2007, n. 3740).

Secondo una pronuncia della S.C. (Cass., Sez. Un., 30 giugno 2008, n. 17761) si può rimanere praticanti avvocati a vita. Si è stabilito, cioè, che l'art. 8 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, una volta decorso il sessennio di cui si è detto, l'iscritto non può più esercitare il patrocinio, ma non per questo deve subire la cancellazione dal registro, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli, potendo, quindi, mantenere l'iscrizione per coltivare l'interesse a proseguire la pratica forense in un rapporto di giuridica dipendenza con un professionista già abilitato: insomma — come già in precedenza era stato affermato — il venir meno del riconosciuto ius postulandi non comporta anche il venir meno dello status stesso di praticante e dell'interesse del soggetto a continuare ad essere iscritto nel registro speciale ai fini dello svolgimento della pratica con esclusione del patrocinio stesso (Cass., Sez. Un., 26 maggio 2006, n. 12543).

In evidenza

All'iscrizione nel registro dei praticanti la giurisprudenza ha costantemente riconosciuto carattere costitutivo, con l'ulteriore conseguenza che il decorso del termine previsto, ossia del menzionato sessennio, non fa cessare automaticamente l'abilitazione del iscritto al patrocinio, occorrendo, invece, a tal fine, un provvedimento formale del consiglio dell'ordine degli avvocati che, accertata la scadenza del periodo, disponga la cancellazione dell'iscrizione (Cass., Sez. Un., 28 gennaio 1998, n. 845; Cass. 8 maggio 1992, n. 5449).

In applicazione di tale principio si è in passato ritenuto che non potesse essere dichiarata la nullità della citazione introduttiva sottoscritta da un praticante procuratore rimasto iscritto nel registro speciale nonostante il decorso del tempo previsto (Cass. 24 gennaio 1973, n. 244). La soluzione non appare persuasiva, né sembra armonizzarsi con il già citato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'attività del praticante avvocato svolta al di fuori dei limiti consentiti dall'ordinamento è colpita da nullità assoluta.

L'avvocato cassazionista

L'art. 82 c.p.c. richiede per in giudizio dinanzi alla Corte di cassazione il patrocinio « di un avvocato iscritto nell'apposito albo », il quale è contemplato dall'art. 33 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito con modificazioni in legge 27 gennaio 1934, n. 36.

L'iscrizione all'albo, in effetti, è richiesta non soltanto nel giudizio di cassazione ma per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori nel loro complesso, ed in particolare, oltre che alla Corte costituzionale, dinanzi « al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti in sede giurisdizionale, al Tribunale supremo militare, al Tribunale superiore delle acque pubbliche ed alla Commissione centrale per le imposte dirette », secondo quanto prescrive l'art. 4 del citato r.d.l..

Un'eccezione alla regola che precede è data per i procedimenti disciplinari a carico di avvocati, i quali possono difendersi personalmente in cassazione, in sede di impugnazione dei provvedimenti del Consiglio Nazionale Forense, pur non essendo iscritti all'albo dei cassazionisti (Cass., Sez. Un., 7 maggio 2002, n. 6490; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2010, n. 23288). Ciò però non nell'ipotesi in cui la sanzione disciplinare sia consistita nella sospensione dall'esercizio della professione forense, nel qual caso viene a mancare il requisito indispensabile dello ius postulandi, la cui carenza è rilevabile d'ufficio (Cass., Sez. Un., 8 agosto 2001, n. 10956; Cass., Sez. Un., 12 giugno 1998, n. 557). Anche nello stesso procedimento a monte davanti al C.N.F., il professionista può essere assistito da un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori solo se munito di mandato speciale, per tale intendendosi la procura conferita specificatamente per quel grado del procedimento: conseguono, quali corollari di siffatta enunciazione di principio, la impossibilità di sanatoria del difetto di procura al difensore per effetto di successiva ratifica dell'operato del difensore medesimo da parte del rappresentato e la assoluta irrilevanza della procura rilasciata nell'ambito del procedimento dinanzi al Consiglio dell'ordine (Cons. Nazionale Forense 29 maggio 2006. n. 33, Rass. forense, 2007, 704; v. pure Cons. Nazionale Forense 27 dicembre 2005, n. 165, Rass. forense, 2007, 254).

Gli avvocati iscritti nell'elenco speciale

L'art. 3 r.d.l. 7 novembre 1933, n. 1578, convertito con modificazioni in legge 27 gennaio 1934, n. 36, dopo aver stabilito alcune incompatibilità tra la professione di avvocato e lo svolgimento di diverse attività lavorative presso enti pubblici, aggiunge al terzo comma che dette incompatibilità sono escluse, oltre che per gli insegnamenti universitari e nelle scuole superiori, per: « Gli avvocati ed i procuratori degli uffici legali organicamente istituiti come tali presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari inerenti all'ufficio a cui sono addetti. Essi sono iscritti in un elenco speciale annesso all'albo ».

La possibile inclusione di una società per azioni nel numero degli enti pubblici previsti dalla norma va valutata in concreto, caso per caso: in particolare la natura pubblica del soggetto va riconosciuta allorché la società, le cui azioni siano possedute esclusivamente o prevalentemente dall'ente pubblico, costituisca lo strumento per la gestione di un servizio pubblico e quindi faccia parte di una nozione allargata di pubblica amministrazione (Cass. 3 maggio 2005, n. 9096).

Dalla disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza della S.C., si desume che, per l'iscrizione al detto elenco speciale, è necessario il concorso di due presupposti: a) deve esistere, nell'ambito dell'ente pubblico, un ufficio legale che costituisca un'unità organica autonoma; b) colui che chiede l'iscrizione (dipendente dell'ente ed in possesso del titolo di avvocato) deve far parte dell'ufficio legale ed essere incaricato di svolgervi tale attività professionale, limitatamente alle cause ed agli affari propri dell'ente (Cass. 18 aprile 2002, n. 5559; Cass. 14 marzo 2002, n. 3733). La validità degli atti posti in essere dall'avvocato, una volta che egli sia stato iscritto nell'elenco speciale, non è tuttavia pregiudicata dall'insussistenza dei requisiti a tal fine necessari, la quale può assumere rilievo soltanto sul piano disciplinare (Cass., Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5035).

Con riguardo alla destinazione del dipendente-avvocato a svolgere l'attività professionale presso l'ufficio legale, la quale si realizza mediante il suo inquadramento in detto ufficio, è stato chiarito che deve avvenire a titolo non precario e non deve essere cioè del tutto priva di stabilità, sebbene non debba necessariamente trattarsi di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 29 marzo 2007, n. 7731): non è perciò configurabile siffatto inquadramento quando la destinazione all'ufficio legale dell'ente pubblico sia liberamente revocabile, essendo invece necessario, ai fini della iscrizione, che la cessazione di tale destinazione sia consentita solo sulla base di circostanze e/o di criteri prestabiliti (Cass., Sez. Un., 6 luglio 2005, n. 14213; Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28049).

Lo ius postulandi degli avvocati iscritti nell'elenco speciale è limitato alle cause dell'ente presso il quale prestano la loro opera, sicché essi devono in caso di contestazione fornire la prova della prestazione della propria opera a favore dell'ente per il quale agiscono (Cass., Sez. Un., 18 maggio 2000, n. 363): dal suddetto vincolo di stretta interpretazione discende non solo che tali avvocati non possono esercitare il patrocinio in favore di altri privati clienti, ma anche che non è consentito ritenere « propri » dell'ente pubblico datore di lavoro del professionista le cause di un soggetto diverso, dotato di distinta personalità, quantunque il primo ente abbia previsto la possibilità di utilizzazione del proprio ufficio legale da parte del secondo, ovvero detenga una partecipazione sociale totalitaria della società per azioni difesa dal legale dell'ente medesimo (Cass. 8 settembre 2004, n. 18090). Ed inoltre, potendo gli avvocati iscritti nell'albo speciale esercitare il patrocinio esclusivamente in favore dell'ente presso il quale prestano la loro opera, la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell'ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall'art. 301 c.p.c., con conseguente interruzione dei processi in cui gli stessi siano costituiti (Cass. 17 maggio 2007, n. 11521; Cass. 23 luglio 2008, n. 20361), indipendentemente dalla cancellazione dall'albo (Cass. 8 ottobre 2007, n. 21048).

Quantunque inserito in una struttura costituita come avvocatura dell'ente, il professionista iscritto nell'elenco speciale conserva nondimeno la sua individualità, sicché gli atti da notificarsi al procuratore costituito sono invalidamente notificati all'ente, elettivamente domiciliato presso l'avvocatura, se la notificazione è genericamente effettuata presso di essa senza l'indicazione nominativa del difensore (Cass. 18 aprile 2007, n. 9298).

Società fra avvocati

Il divieto di costituire società tra professionisti, un tempo dettato dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815 (al fine di evitare che le attività professionali di maggiore rilevanza per l'interesse pubblico venissero esercitate da soggetti non in possesso dei necessari requisiti di preparazione e di moralità), ma ancor prima desumibile dalla regola generale stabilità dall'art. 2232 c.c., che impone al prestatore d'opera di eseguire personalmente l'incarico assunto, già abrogato dall'art. 24 della legge 7 agosto 1997, n. 226, dopo qualche apertura da parte della giurisprudenza (Si allude a Cass. 23 maggio 1997, secondo cui lo studio professionale associato costituisce autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici), è definitivamente caduto, con riguardo agli avvocati, per effetto del d.lgs 2 febbraio 2001, n. 96, recante « Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale ».

La legge stabilisce, tra l'altro, che:

  1. l'attività può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti denominata società tra avvocati, la quale non è soggetta a fallimento ed è iscritta in una sezione speciale dell'albo degli avvocati, applicandosi alla stessa in quanto compatibili le norme, legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato (art. 16);
  2. la società tra avvocati ha per oggetto esclusivo l'esercizio in comune della professione dei propri soci (art. 17);
  3. i soci della società tra avvocati devono essere in possesso del titolo di avvocato (art. 21);
  4. l'incarico professionale conferito alla società tra avvocati può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta e la società deve informare il cliente, prima della conclusione del contratto, che l'incarico professionale potrà essere eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta; il cliente ha tuttavia diritto di chiedere che l'esecuzione dell'incarico sia affidata ad uno o più soci da lui scelti (art. 24);
  5. i compensi derivanti dall'attività professionale dei soci costituiscono crediti della società (art. 25);
  6. il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico, mentre la società risponde con il suo patrimonio (art. 26).

Successivamente il D.L. 4 luglio 2006 n.223 conv. nella L. 4 agosto 2006 n. 248, ha disciplinato le associazioni e le società interdisciplinari, aventi cioè ad oggetto il contestuale esercizio di più professioni.

Riferimenti

Di Marzio, La procura alle liti. Poteri, obblighi e responsabilità dell'avvocato, Milano, 2011.

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