Reclamo avverso il provvedimento di sospensione dell’esecuzione (624 c.p.c.)

16 Giugno 2017

L'art. 624, comma 2, c.p.c. prevede che «contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all'art. 512, secondo comma». È dunque prevista la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento che si pronuncia sulla sospensione dell'esecuzione.
Inquadramento

L'art. 624, comma 2, c.p.c. prevede che «contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimentodi cui all'art. 512, secondo comma».

È dunque prevista la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento che si pronuncia sulla sospensione dell'esecuzione.

Viene in rilievo, a riguardo, una norma dal contenuto piuttosto laconico, contenente, quanto al rito applicabile al reclamo, un rinvio alla disciplina generale rinvenibile all'interno della disciplina sul rito cautelare uniforme; una disposizione, tuttavia, che lascia una serie di quesiti aperti - in buona parte risolti dalla giurisprudenza di legittimità e da quella di merito, nonché dalla dottrina espressasi sul punto - in ordine all'ambito applicativo dell'istituto del reclamo dalla stessa previsto.

E così, dopo alcune iniziali riserve si è ritenuto che la reclamabilità sia prevista tanto con riguardo al provvedimento sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo reso ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., quanto con riguardo al provvedimento sulla sospensione della procedura esecutiva reso dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c..

Tutt'ora dibattuta, quanto meno con riguardo ad alcuni specifici profili, resta la questione concernente la reclamabilità dei provvedimenti cautelari resi ai sensi dell'art. 617 c.p.c..

Se, poi, non è in alcun modo dubbio che la previsione circa la reclamabilità del provvedimento reso sulla sospensione si riferisca tanto al provvedimento che ha concesso la sospensione, quanto al provvedimento che abbia negato il provvedimento sospensivo, è anche vero che nella pratica il rimedio costituito dal reclamo risulta impraticabile allorché a seguito del provvedimento che ha negato la sospensione dell'esecuzione il giudice dell'esecuzione abbia reso un provvedimento definitorio della procedura esecutiva.

Nessun dubbio, invece, sul fatto che la previsione della reclamabilità debba ritenersi circoscritta alle ipotesi di sospensione espressamente previste dall'art. 624 c.p.c.: non, dunque, alle ipotesi di sospensione disposta ai sensi dell'art. 623 c.p.c. e neppure, ovviamente, alle ipotesi di estinzione della procedura esecutiva.

Ecco, allora, che un istituto proprio del rito cautelare uniforme, all'apparenza del tutto privo di profili problematici, assume, venendo calato nel contesto della procedura esecutiva, contorni e connotati tutti da indagare.

Ma andiamo con ordine ed esaminiamo l'istituto in questione prendendo le mosse dalle disposizioni vigenti.

In evidenza

E' possibile proporre reclamo, nelle forme previste dall'art. 669-terdecies c.p.c., avverso i provvedimenti resi sulla sospensione dell'esecuzione

Il procedimento

Prendiamo le mosse, dunque, proprio dal procedimento da seguire in sede di proposizione del reclamo.

Come si accennava poc'anzi, il secondo comma dell'art. 624 c.p.c., nel prevedere la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento che dispone sulla sospensione dell'esecuzione, reca un rinvio all'art. 669-terdececies c.p.c..

Tale ultima disposizione prevede che «contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore».

Viene dunque confermato, seppure ve ne fosse stato bisogno, che è reclamabile tanto il provvedimento che si sia pronunciato per l'accoglimento dell'istanza di sospensione, quanto quello che si sia pronunciato per il suo rigetto.

Viene, inoltre, prevista la necessità di introdurre il reclamo entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia del provvedimento sulla sospensione o dalla comunicazione dello stesso: sarà cura della parte reclamante, pertanto, depositare il proprio atto di reclamo nel termine perentorio previsto dalla norma.

Il reclamo si propone, stando a quanto può evincersi dalla lettera del secondo comma dell'art. 669-terdecies, allo stesso ufficio al quale appartiene il giudice dell'esecuzione che ha emesso il provvedimento sulla sospensione e, su tale reclamo, si pronuncia un collegio del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.

A fronte della proposizione del reclamo, viene fissata dal collegio, mediante decreto, la camera di consiglio per la comparizione delle parti: tale decreto contiene l'indicazione della data della camera di consiglio e l'assegnazione di un termine alla parte reclamante per la notifica del reclamo e del decreto di fissazione della camera di consiglio alle altre parti.

Tale decreto non viene comunicato alla parte che ha introdotto il reclamo.

Discusso è se la parte reclamante possa richiedere l'assegnazione di un nuovo termine per la notifica del reclamo, laddove non abbia provveduto alla notifica dello stesso nel termine sancito nel decreto di fissazione emesso dal collegio.

Una prima soluzione sarebbe quella di ritenere preclusa l'assegnazione di un tale termine: se è vero, infatti, che il termine per la notifica del reclamo previsto nel suddetto decreto non viene espressamente previsto come perentorio dalla norma, è altresì vero che, stando all'art. 154 c.p.c., il termine ordinatorio può essere abbreviato o prorogato anteriormente alla sua scadenza, mentre una volta spirato parrebbe esclusa una tale possibilità, salvo che ricorrano motivi per una rimessione in termini della parte.

Diversa sembra, invero, la soluzione allo stato indicata dalla Suprema Corte, la quale a più riprese ha avuto modo di ribadire, trattando di procedimenti soggetti al rito camerale, la sicura possibilità di assegnare un nuovo termine (questo sì, perentorio) alla parte che non abbia provveduto alla tempestiva notifica del reclamo e del decreto, pur in assenza di qualsiasi allegazione o prova circa una non imputabilità alla parte del mancato rispetto del termine assegnato (vedasi Cass., Sez.Un., 12 marzo 2014, n. 5700, nonché Cass. civ., 14 ottobre 2014, n. 21669).

La proposizione del reclamo non sospende la pronuncia cautelare resa dal giudice dell'esecuzione; tuttavia, il presidente del tribunale può disporre con provvedimento inaudita altera parte, allorché ravvisi la sussistenza di motivi sopravvenuti che siano tali da configurare la sussistenza di un pericolo di grave danno, la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza reclamata.

Per il resto, il procedimento risulta estremamente snello, svolgendosi secondo le forme di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c.: il collegio si esprime dopo aver sentito le parti e dopo aver assunto, se del caso, informazioni, con una ordinanza che conferma, modifica o revoca il provvedimento reso dal giudice dell'esecuzione.

Laddove il collegio provveda a riformare la decisione del giudice dell'esecuzione che ha disposto la sospensione dell'esecuzione, lo stesso si limiterà a disporre la revoca di una tale pronuncia di sospensione e sarà cura della parte che vi abbia interesse dare nuovo impulso alla procedura dinanzi al competente giudice dell'esecuzione, chiedendo la riassunzione della stessa.

La pronuncia che chiude il procedimento di reclamo conterrà anche la condanna alle spese della parte risultata soccombente.

Non è chiaro, invece, se debba anche disporsi, in caso di rigetto integrale del reclamo, il pagamento a carico della parte soccombente di un importo pari a quello del contributo unificato versato in sede di iscrizione a ruolo del reclamo (art. 13, comma 1-quater, D.lgs. n. 115/2002), sussistendo sul punto orientamenti difformi da parte delle diverse corti di merito.

Di un certo interesse, per concludere sul punto, è la questione delle possibili interferenze fra esito del reclamo e termine assegnato dal giudice dell'esecuzione per l'introduzione del giudizio di merito.

Non sembra infatti (stante l'assenza di una espressa previsione normativa sul punto e considerato che la pronuncia del giudice del reclamo attiene unicamente alle questioni concernenti la sospensione dell'esecuzione e le conseguenti statuizioni relative alla regolamentazione delle spese della fase cautelare) che il collegio, anche allorché riformi la pronuncia resa dal giudice dell'esecuzione, debba assegnare un nuovo termine per l'introduzione del giudizio di merito.

Non è escluso, allora, che nelle more del procedimento di reclamo, possa irrimediabilmente spirare il termine assegnato dal giudice dell'esecuzione per l'introduzione del giudizio di merito dell'opposizione.

Da tali premesse consegue il fatto che ambedue le parti della procedura esecutiva (tanto quella risultata vittoriosa all'esito della pronuncia cautelare del giudice dell'esecuzione, quanto quella risultata soccombente) devono valutare attentamente l'opportunità di instaurare il giudizio di merito dell'opposizione entro il termine (peraltro perentorio e, come tale, insuscettibile di proroga ai sensi dell'art. 153, comma 1, c.p.c., salva eventuale rimessione in termini, ricorrendone i presupposti) assegnato dal giudice dell'esecuzione, non potendosi escludere che l'esito favorevole della prima fase cautelare venga riformato all'esito del reclamo.

Ambito applicativo della norma: certezze e questioni controverse

Si accennava poc'anzi come il procedimento di reclamo, calandosi nella procedura esecutiva, finisca per condurre ad alcuni interrogativi di non agevole soluzione.

Non c'è dubbio, stando alla lettera dell'art. 624 c.p.c., che possa essere proposto reclamo tanto avverso il provvedimento di sospensione reso in sede di opposizione all'esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.), quanto in sede di opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.).

Discussa era, in sede di prima applicazione della nuova formulazione dell'art. 624 c.p.c. (significativamente innovato per effetto della L. n. 52/2006 ed ulteriormente modificato sulla base della L. n. 69/2009), la applicabilità di un tale rimedio anche con riferimento al provvedimento reso in sede di opposizione a precetto ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c..

Ad un primo più restrittivo orientamento che, facendo leva sul dato letterale della norma (la quale fa riferimento, quanto meno al suo primo comma, ai provvedimenti sulla sospensione adottati dal giudice dell'esecuzione), escludeva l'ammissibilità del reclamo avverso il provvedimento espressosi, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, se ne è contrapposto un altro - certamente prevalente, tanto ad opera della quasi unanime dottrina, quanto in giurisprudenza (si vedano Cass. n. 22486/2009 e, già prima di essa, una estesa parte della giurisprudenza di merito) - che afferma la sicura reclamabilità del provvedimento assunto ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c..

Dibattuta, specie in sede di prima applicazione del novellato art. 624 c.p.c., era anche la questione circa la reclamabilità dei provvedimenti cautelari resi dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi.

Anche in questo caso il tenore letterale dell'art. 624 c.p.c. poneva qualche problema, dal momento che la lettera del secondo comma della norma, coordinata con quella del primo comma (il quale fa riferimento alla sola opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 e 619 c.p.c.), poteva condurre a ritenere esclusa una tale possibilità di reclamo.

Peraltro, il comma 2 dell'art. 624 c.p.c. espressamente limita l'ambito del reclamo ai soli provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione, mentre i provvedimenti cautelari assunti in sede di opposizione agli atti esecutivi possono anche non avere ad oggetto la sospensione dell'esecuzione (il secondo comma dell'art. 618 c.p.c. prevede che il giudice dell'esecuzione «all'udienza dà con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura»).

Anche in questo caso a prevalere è stata la tesi della sicura reclamabilità dei provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione resi dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi e ciò sia sulla base di ragioni interpretative di carattere sistematico (in considerazione della analogia, quanto meno sotto il profilo funzionale, fra la pronuncia sospensiva resa ai sensi dell'art. 618 c.p.c. e quelle rese ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c.), sia sulla base di un dato testuale comunque non trascurabile (il richiamo, cioè, all'art. 618 c.p.c., contenuto nell'ultimo comma dell'art. 624 c.p.c.).

Da ultimo, tale ultima posizione è stata espressamente condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11688/2012 e Cass. n. 1176/2015).

Resta invece esclusa la possibilità di proporre reclamo avverso i provvedimenti indilazionabili assunti dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 618, comma 2, c.p.c. (ossia avverso quei provvedimenti aventi carattere cautelare che, tuttavia, non incidano sulla sospensione dell'esecuzione).

Restano, sul punto, alcuni quesiti aperti: ad esempio, ci si potrebbe domandare se sia reclamabile il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, a seguito di opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione resa ai sensi dell'art. 553 c.p.c., disponga cautelarmente la sospensione dell'efficacia esecutiva di un tale provvedimento: ove si ritenesse che un tale provvedimento sospensivo dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza abbia carattere sospensivo dell'esecuzione, si dovrebbe ritenere reclamabile il relativo provvedimento, mentre ove si accedesse alla tesi, invero prevalente, che l'ordinanza di assegnazione abbia la funzione di chiudere la procedura esecutiva, dovrebbe concludersi per la non reclamabilità di un tale provvedimento (dal momento che una volta chiusa la procedura esecutiva mancherebbero i presupposti per ragionare sulla sua sospensione), salvo ipotizzare, come pure autorevolmente sostenuto, che la tempestiva opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione consegua l'effetto di precludere la chiusura della procedura esecutiva, rendendo così possibile la sua sospensione.

Altra questione alla quale si accennava in precedenza è quella concernente la tipologia di provvedimenti che possono essere reclamati: si diceva che il reclamo può avere ad oggetto unicamente i provvedimenti sulla sospensione resi ai sensi dell'art. 624 c.p.c..

Non sono reclamabili, dunque, tanto i provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione resi sulla base di differenti disposizioni normative (si pensi, così, alla sospensione disposta ai sensi dell'art. 623 c.p.c., o a quella disposta ai sensi dell'art. 624-bis c.p.c.: avverso tali provvedimenti sospensivi unico rimedio azionabile sarà allora quello residuale offerto dall'art. 617 c.p.c.), quanto i provvedimenti che si pronuncino non sulla sospensione dell'esecuzione, bensì sulla sua estinzione (e, tali provvedimenti, a seconda dei casi e della natura del provvedimento estintivo adottato, saranno soggetti o al rimedio offerto dall'art. 630 c.p.c., ovvero al rimedio residuale costituito dall'art. 617 c.p.c.).

Esclusa è anche la reclamabilità del decreto con il quale il giudice dell'esecuzione abbia autorizzato o negato, con provvedimento reso inaudita altera parte, la sospensione dell'esecuzione, dal momento che l'art. 624 c.p.c. e l'art. 669-terdecies c.p.c. fanno espresso riferimento alla reclamabilità della sola ordinanza resa sulla sospensione.

Si osservava, ancora, in precedenza, come il reclamo possa avere ad oggetto tanto la pronuncia che disponga la sospensione dell'esecuzione (ovvero dell'efficacia esecutiva del titolo), quanto la pronuncia che neghi un tale provvedimento sospensivo.

Si tratta di conclusione chiaramente evincibile tanto dalla lettera dell'art. 624, comma 2, c.p.c. (il quale afferma che «contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo», senza distinguere fra provvedimento che dispone la sospensione e provvedimento che la nega), quanto dalla lettera dell'art. 669-terdecies c.p.c. (il quale ammette il reclamo «contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare»).

E, tuttavia, anche a fronte di un tale dato, all'apparenza pacifico, non mancano problemi e dubbi interpretativi: avviene così nella prassi che unitamente alla ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecuzione, venga assunta anche, in sede di pignoramento presso terzi, l'ordinanza di assegnazione ai sensi dell'art. 553 c.p.c..

Ora, poiché un tale provvedimento di assegnazione è idoneo a definire la procedura esecutiva (mediante la cessione forzosa in favore del creditore procedente del credito pignorato e l'ordine al terzo di procedere al pagamento in favore del procedente), si ritiene comunemente che dopo la sua assunzione non ricorrano i presupposti per disporre la sospensione dell'esecuzione, restando di fatto preclusa la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di sospensione.

Si tratta di prassi (quella appena accennata, consistente nella coincidenza temporale fra pronuncia sul rigetto della sospensione e pronuncia di assegnazione) che non è espressamente preclusa da alcuna norma e che, anzi, per certi versi appare conforme alla ratio complessiva del sistema dell'esecuzione forzata, improntato com'è alla esigenza di agevolare la pronta soddisfazione del creditore e di scongiurare per quanto possibile comportamenti dilatori da parte dell'esecutato.

E, tuttavia, non sfugge che una tale prassi rischia di svilire lo stesso dato testuale della norma, laddove lo stesso consente di proporre reclamo avverso tutti i provvedimenti concernenti la sospensione e non solo avverso quelli che concedano un tale beneficio all'esecutato.

Una possibile soluzione, finalizzata ad una piena valorizzazione dell'istituto del reclamo per come tratteggiato dall'art. 624 c.p.c., potrebbe essere quella di non far coincidere temporalmente la pronuncia sulla sospensione con la pronuncia che definisca la procedura esecutiva.

Altra soluzione, potrebbe essere quella accennata in precedenza trattando della reclamabilità dei provvedimenti cautelari resi in sede di opposizione agli atti esecutivi: potrebbe così ritenersi che la parte esecutata che si sia vista rigettare l'istanza di sospensione dell'esecuzione e che abbia subito la contemporanea pronuncia di assegnazione del credito, debba proporre opposizione agli atti esecutivi avverso un tale provvedimento di assegnazione (allo scopo di precludere la formale chiusura della procedura) e, contemporaneamente, proporre reclamo avverso la pronuncia che abbia respinto l'istanza di sospensione dell'esecuzione.

Ambito applicativo dell'

art. 624 c.p.c.

Contro quali provvedimenti può proporsi

Il reclamo può proporsi contro i provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione resi tanto in sede di opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.), quanto in sede di opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), quanto in sede di opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.). Può inoltre proporsi contro il provvedimento di sospensione reso in sede distributiva (art. 512 c.p.c.).

Termine per la proposizione

Si propone mediante deposito di reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza, ovvero dalla comunicazione del provvedimento cautelare.

Dinanzi a quale ufficio si propone

Si propone dinanzi allo stesso ufficio del quale fa parte il giudice che ha reso il provvedimento reclamato: la decisione viene assunta da un collegio, del quale non può far parte il giudice che abbia assunto la decisione reclamata.

Procedimento

Il collegio convoca le parti mediante decreto che deve essere notificato dalla parte reclamante alle parti reclamate unitamente al reclamo. Il presidente nomina tra i componenti del collegio un giudice relatore che riferisce in camera di consiglio. Possono essere acquisiti nuovi documenti ed assunte informazioni.

Il reclamo non sospende l'efficacia del provvedimento reclamato, salvo che il presidente del tribunale, ravvisando il pericolo di grave danno, disponga la sospensione con provvedimento inaudita altera parte.

Rimedi

Contro il provvedimento reso in sede di reclamo non è ammesso ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 1176/2015);

resta intatta la possibilità di superare la decisione del reclamo all'esito del giudizio di merito sull'opposizione.

Conclusioni

Ecco riassunti i principali tratti del reclamo previsto dall'art. 624 c.p.c..

Tratti non privi, come si è accennato in principio e come si è avuto modo di evidenziare in corso di trattazione, di profili certamente problematici.

Tuttavia, non sfugge il fatto che l'estensione dell'istituto del reclamo anche alle pronunce sulla sospensione dell'esecuzione e, più in generale, alla materia dell'esecuzione forzata (estensione avvenuta in epoca relativamente recente, per effetto della L. n. 52/2006), abbia senza dubbio positivamente arricchito la disciplina dell'esecuzione forzata, puntellando con un nuovo elemento, di rapida ed agevole fruizione, la tutela giurisdizionale a disposizione del debitore esecutato; tutela comprensibilmente compressa (onde agevolare la pronta soddisfazione coattiva del credito e scongiurare comportamenti dilatori da parte del debitore) nella tradizionale ed originaria impostazione codicistica dell'esecuzione forzata.