Opposizione di terzo all’esecuzione
13 Giugno 2016
Inquadramento
L'opposizione di terzo all'esecuzione è uno strumento di tutela per quei soggetti che vantino diritti reali su di uno o più beni soggetti ad esecuzione. Infatti i terzi, non essendo coinvolti nel processo di esecuzione, si troverebbero sforniti di tutela nel caso in cui, anche per errore, fossero colpiti beni non appartenenti al debitore esecutato. L'opposizione in questione dà luogo ad un ordinario processo di cognizione, volto ad accertare la proprietà o altro diritto reale dell'opponente sui beni pignorati (Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 1998, n. 1627, in Mass. Giur. It., 1998). L'operare del rimedio risente anche della natura dei beni sottoposti ad esecuzione. Infatti, se per i beni non soggetti a forme di pubblicità, dopo la vendita, il terzo potrà pretendere ragione solo sulla somma ricavata dalla vendita stessa, per i beni immobili potrà non solo proporre l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. durante il giudizio di esecuzione, ma anche rivendicare il bene nei confronti dell'aggiudicatario, dopo la vendita e l'aggiudicazione (Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2012, n. 19761, in CED Cassazione, 2012). Non si tratta, quindi, di una vera e propria opposizione sul merito dell'esecuzione; non si discute intorno al rapporto, bensì intorno all'oggetto dell'esecuzione medesima. L'oggetto del giudizio di opposizione è limitato all'accertamento del diritto preteso dal terzo sul bene pignorato ma non fa stato in ordine al diritto vantato dal ricorrente. Il giudice, pertanto, procederà ad un mero accertamento incidentale del diritto avanzato dal terzo, essendo tale attività volta unicamente a impedire l'aggressione esecutiva sul bene, restando così impregiudicata la questione della sua titolarità, che potrà essere riproposta al di fuori del processo esecutivo (Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2009, n. 16921, in Mass. Giur. It., 2009). Quest'indirizzo non è tuttavia condiviso da una parte della dottrina che sostiene che la sentenza resa sull'opposizione proposta dal terzo decida con efficacia di giudicato non solo la questione relativa alla legittimità dell'attività esecutiva condotta dal creditore sui beni pignorati, ma anche l'esistenza in capo all'opponente del diritto reale (o prevalente) sul bene pignorato (Miccolis, L'opposizione di terzo all'esecuzione, in REF, 2000, 224). Nel caso di estinzione del processo esecutivo, la scelta fra le due concezioni non è priva di conseguenze sulla sorte del procedimento di opposizione di terzo. Qualora si ritenga infatti che oggetto dell'opposizione sia anche quello dell'accertamento nel merito del diritto reale vantato, l'estinzione del processo esecutivo non farà cessare la materia del contendere; al contrario questa cesserà se sarà seguita l'interpretazione opposta. La scelta, per l'una o l'altra opzione interpretativa, non ha solo rilevanza teorica, ma è destinata ad avere notevoli ripercussioni pratiche. Una di queste concerne la sorte dell'opposizione di terzo nel caso di estinzione del processo esecutivo. La giurisprudenza, che aderisce all'impostazione più restrittiva, che configura l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. quale giudizio volto all'accertamento della illegittimità dell'azione esecutiva sui beni pignorati, ha affermato che l'estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8397, in CED Cassazione, 2009). Il carattere generale di tale istituto ne consente l'applicazione anche alle esecuzioni in forma specifica; in particolare, non può ritenersi decisivo l'argomento letterale, secondo cui gli artt. 619 e ss. c.p.c., formulati con riguardo alla sola espropriazione, non possano trovare applicazione, ad esempio, anche nell'esecuzione per consegna o rilascio sul bene di proprietà del terzo (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1997, n. 2869, in Foro It., 1997, I). Il rimedio di cui all'art. 615 c.p.c. si riferisce al caso in cui il soggetto sottoposto ad esecuzione contesti la sua qualità di debitore in base ad un valido titolo; al contrario con l'esecuzione di terzo si contestano solo le modalità dell'esecuzione stessa che si rivolge ad un bene sul quale il soggetto terzo vanta diritti reali senza però identificarlo con il debitore (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2279, in Guida al Diritto, 2005, 11, 73).
La legittimazione ad agire
Legittimato ad avvalersi del rimedio in esame è il terzo, il quale, non menzionato quale debitore nel titolo esecutivo, né destinatario del precetto e neppure dell'atto di pignoramento, subisce illegittimamente l'espropriazione di un bene sul quale egli è titolare di un diritto reale. Ne consegue che il terzo che affermi la titolarità non di un diritto reale, ma di un diritto relativo, non potrà agire con questa tutela. Tuttavia, poiché il riferimento della legge ai diritti reali ha una portata meramente esemplificativa, l'opposizione di terzo potrà essere utilizzata anche per la tutela di diritti di credito purché prevalenti su quello del creditore pignorante (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1997, n. 7413, in Mass. Giur. It., 1997). Al contrario, non potrà agire ai sensi dell'art. 619 c.p.c. chi, pur non essendo stato parte passiva né del rapporto obbligatorio, né del titolo esecutivo, è divenuto comunque destinatario del pignoramento (e dei successivi atti esecutivi). Costui, infatti, in quanto destinatario degli atti espropriativi, acquista di fatto la qualità di parte passiva dell'esecuzione: ad esso, in quanto terzo illegittimamente assoggettato all'esecuzione, deve essere riconosciuto il rimedio dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. . Parimenti, non può ritenersi legittimato a proporre opposizione di terzo all'esecuzione il terzo proprietario terzo datore di ipoteca contemplato dall'art. 602 c.p.c.. Egli, infatti, è responsabile per un debito altrui e, come tale, sarà legittimato a proporre le opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi essendo parte del processo esecutivo. Anche il terzo pignorato nell'espropriazione presso terzi non sarà legittimato a proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione; infatti mediante il pignoramento presso terzi il creditore non procede all'espropriazione dei beni del terzo, ma si limita semplicemente a chiedere che il terzo adempia nei confronti del creditore pignorante (Cass. civ., sez. lavoro, 29 aprile 2003, n. 6667, in Gius, 2003, 18, 1979). Segue: Casistica
La legittimazione passiva
Legittimati passivamente sono il debitore esecutato e il creditore procedente, quali litisconsorti necessari (Cass. civ., sez. lav., 21 luglio 2000, n. 9645, in Mass. Giur. It., 2000). Si discute, invece, se anche i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo siano litisconsorti necessari. In mancanza di una espressa presa di posizione delle giurisprudenza sul punto, a favore della soluzione positiva milita chi afferma che il fatto che all'accoglimento dell'opposizione consegua l'invalidazione, totale o parziale, degli atti esecutivi, fa ritenere che tutti i creditori siano coinvolti nella controversia. Al contrario altri affermano che gli interventori muniti di titolo debbano essere chiamati a partecipare al processo quali litisconsorti solo nell'ipotesi in cui abbiano colpito i medesimi beni con un pignoramento successivo (Capponi, Lineamenti del processo esecutivo, Bologna, 2008, 359). La competenza
Competente per territorio è sempre il giudice del luogo dell'esecuzione che sarà facilmente identificabile in quanto l'opposizione di terzo verrà esperita sempre a seguito del pignoramento (ed alla iscrizione a ruolo dello stesso).
Il procedimento
La domanda di opposizione riveste la forma del ricorso e ciò anche in considerazione del fatto che si tratta di opposizione esperita sempre ad esecuzione iniziato con il pignoramento, ove il giudice dell'esecuzione è già identificato. La domanda dà luogo ad un autonomo giudizio di cognizione, al quale si applicano le norme di cui al libro II del codice di rito (Cass. civ., sez. I, 16 agosto 1996, n. 7586, in Mass. Giur. It., 1996). A seguito del deposito del ricorso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti innanzi a sé ed il termine, perentorio, per la notifica del ricorso e del decreto. All'udienza di comparizione il giudice dell'esecuzione deve in primo luogo verificare se le parti abbiano o meno raggiunto un accordo in ordine all'esistenza o meno del diritto del creditore di procedere in via di esecuzione forzata sui beni pignorati. Il comma 3 dell'art. 619 c.p.c. disciplina espressamente le conseguenze derivanti dall'accordo tra le parti, prevedendo che se le stesse raggiungono un accordo, il giudice ne dà atto con ordinanza, contenente anche le idonee statuizioni per la prosecuzione o l'estinzione del processo esecutivo (e in quest'ultimo caso provvederà anche sulle spese). All'accordo eventualmente raggiunto dovranno partecipare tutte le parti del processo di opposizione e, quindi, il terzo opponente, il creditore procedente, il debitore e gli eventuali creditori intervenuti nell'esecuzione. Nel silenzio della norma, deve ritenersi che detta ordinanza, qualora disponga l'estinzione del processo, sia impugnabile con il reclamo ex art. 630, comma 3, c.p.c. ed appellabile ai sensi dell'art. 130, disp. att. c.p.c.. In assenza di qualunque indicazione normativa, può ritenersi che, avvenuta la conciliazione, il giudizio si concluda senza necessità di alcuna ulteriore pronuncia, essendo a tal fine sufficiente l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione dà atto dell'accordo intervenuto. Qualora il tentativo di conciliazione tra le parti abbia invece esito negativo, il G.E. sarà tenuto a pronunciarsi sull'eventuale istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c., provvedendo secondo le regole fissate dal novellato art. 616 c.p.c. , richiamato dall'art. 619 c.p.c., per l'instaurazione della fase del giudizio di opposizione a cognizione piena. Al termine del procedimento di merito, le sentenze conclusive del primo grado saranno appellabili e ricorribili per Cassazione. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che non si applica ai procedimenti di opposizione di terzo all'esecuzione la sospensione feriale dei termini processuali (Cass. civ., sez. VI – 3, Ord., 15 ottobre 2013, n. 2341, in CED Cassazione, 2013).
Data la lettera dell'art. 619 c.p.c., che parla di opposizione del terzo per beni già pignorati, ci si chiede se lo stesso terzo possa esperire il rimedio anche anteriormente al pignoramento di quei beni sui quali egli vanta un diritto reale. A questa domanda sembra prevalere la risposta negativa. Infatti il terzo, prima del pignoramento con il quale si individua esattamente il bene da assoggettarsi ad espropriazione, non avrebbe alcun interesse concreto. Il termine ultimo entro il quale il terzo ha interesse a proporre l'opposizione è dato dalla vendita forzata, infatti con l'assegnazione il bene sarà entrato a far parte del patrimonio dell'aggiudicatario, pertanto si potrà esperire l'azione tardiva, limitando il diritto del terzo che esperisca vittoriosamente l'opposizione dell'art. 619 c.p.c. sulla sola somma ricavata. Per questo motivo si distingue fra opposizione tempestiva e opposizione tardiva a seconda che sia effettuata prima o dopo la vendita forzata. Qualora, poi, si sia proceduto anche alla distribuzione del ricavato non sarà più ammissibile l'opposizione in questione. In tale caso, infatti, non solo risulta precluso ogni intervento sul procedimento (ormai terminato) di assegnazione dell'immobile, ma anche ogni statuizione sull'assegnazione del residuo del ricavato di spettanza del debitore. Segue: casistica
L'art. 620 c.p.c., che prevede l'opposizione tardiva, si riferisce ai soli beni mobili, poiché, per effetto del combinato disposto degli artt. 620 c.p.c. e 2920 c.c., con la vendita forzata dei mobili il diritto del terzo si estingue qualora l'aggiudicatario abbia acquistato la cosa in buona fede; per tale motivo il terzo potrà rivolgersi solamente al ricavato della vendita. Per quanto riguarda i beni immobili, invece, si applica il meccanismo della natura derivativa dell'acquisto in vendita forzata di cui all'art. 2919 c.c. In tale caso, dunque, secondo alcuni, l'opposizione tardiva non sarà proponibile, potendo il terzo tutelare il suo diritto con un'autonoma azione di rivendicazione. Secondo altri, al contrario, poiché il terzo proprietario del bene potrebbe accontentarsi del valore del bene, piuttosto che della cosa in natura, non può negarsi l'interesse del terzo a proporre, anche in tale ipotesi, opposizione tardiva al fine di consentirgli, appunto, di soddisfarsi sul ricavato della vendita. La giurisprudenza, dal canto suo, sembra aderire alla prima posizione, per cui l'opposizione tardiva, proposta successivamente all'ordinanza di aggiudicazione, ma prima del decreto di trasferimento, sarebbe ammissibile solo con riguardo ai beni mobili mentre per gli immobili sarebbe improcedibile (Trib. Catania, 28 gennaio 1991, in Giust. Civ., 1992, I, 1605). Ci si chiede anche se l'opposizione tardiva possa essere esperita nel caso di assegnazione del bene oggetto di esecuzione.Per alcuni sarebbe inammissibile in quanto, nell'assegnazione, non vi sarebbe una fase di distribuzione delle somme ricavate, pertanto si potrebbe applicare, in tali casi, il solo rimedio di cui all'art. 2926 c.c. Dal canto suo la giurisprudenza ha avuto modo di affermare, invece, l'esperibilità dell'opposizione tardiva anche nel caso di assegnazione (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1997, n. 7413, in Mass. Giur. It., 1997).
La prova
L'art. 621 c.p.c. limita l'utilizzo della prova testimoniale in riferimento ai beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto vantato dal terzo sia reso verosimile dalla professione o dal commercio esercitato dal terzo o dal debitore. Vi è, infatti, una presunzione di appartenenza, che si evince dall'art. 621 c.p.c., dei beni mobili rinvenuti nella casa o nell'azienda del debitore (art. 513 c.p.c.). La limitazione della prova, infatti, tende ad evitare comportamenti collusivi fra il debitore ed il terzo, tesi a sottrarre i beni del debitore ad esecuzione forzata.
La limitazione della prova, è bene precisarlo, non opera se il pignoramento dei beni mobili del debitore sia avvenuto al di fuori della casa o dell'azienda del debitore stesso (Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2005, n. 5467, in Giur. It., 2005, 2117). Per «casa del debitore» si intende, secondo un orientamento ormai consolidato, la casa in cui il debitore abita, anche se non è proprietario dell'immobile, né titolare di un diritto di godimento su di esso (Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2005, n. 9008, in Guida al Diritto, 2005, 24, 64). Analoghi principi valgono per l'azienda del debitore, quale espressione da intendersi in senso ampio (Cass. civ., 16 aprile 1984, n. 2459, in Giur. It., 1985, I,1, 971). Ancora, è bene precisare che la limitazione probatoria riguarda unicamente l'espropriazione mobiliare, tornando ad applicarsi le normali regole in tema di onere della prova nel caso in cui oggetto di pignoramento siano beni immobili.
Riferimenti
BALESTRA, Sugli effetti della trascrizione del contratto preliminare con particolare riferimento alla trascrizione di pignoramenti, in CeI, 1998, 1004-1006; COMOGLIO, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, II, 4ª ed., Bologna, 2006, 319; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele, 4ª ed., Bologna, 2000, 328; DENTI, L'esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 268; LUISO, Diritto processuale civile, III, Il processo esecutivo, 4ª ed., Milano, 2008, 271; MANDRIOLI, Opposizione all'esecuzione, 474; MONTELEONI, Manuale di diritto processuale civile, II, 5ª ed., Padova, 2009, 275); PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli, 2006, 730 s.; PUNZI, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 1971, 322; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1957-1965, 490. |