Opposizione tardiva alla convalida di licenza o sfrattoFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 663
16 Maggio 2016
Inquadramento
Al rimedio dell'opposizione tardiva alla convalida di licenza o sfratto è dedicato l'art. 668 del codice di rito che dispone che, in caso di convalida dell'intimazione di licenza o sfratto in assenza dell'intimato, questi può farvi opposizione dimostrando di non avere avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione, caso fortuito o forza maggiore ovvero, pur avendone avuto conoscenza, dando prova di un legittimo impedimento a comparire in udienza. L'opposizione deve essere proposta, nelle forme prescritte per l'opposizione a decreto ingiuntivo, non oltre dieci giorni dall'inizio di esecuzione, con facoltà per il giudice di disporre la sospensione per gravi motivi dell'esecuzione intrapresa, se del caso imponendo una cauzione. La ratio del rimedio è quella di rendere inoperante il meccanismo di ficta confessio sotteso alla convalida nel caso di incolpevole ignoranza del procedimento da parte dell'intimato o di impedimento insuperabile a comparire in udienza. Dubbia è la ricostruzione teorica dell'istituto che, secondo taluni, avrebbe la funzione di consentire all'intimato lo svolgimento tardivo di poteri processuali connaturati alla propria posizione giuridica, alla stregua di fattispecie tipizzata di rimessione in termini, ora generalizzata dall'introduzione della novella dell'art. 153 c.p.c. ad opera della l. 69/2009. L'impostazione più accreditata propende, tuttavia, per la natura impugnatoria speciale del rimedio, articolato in una duplice fase, rescindente e rescissoria, il cui oggetto è il diritto azionato con l'originaria intimazione di licenza o di sfratto dal locatore (Trib. Salerno, sez. I, 19 marzo 2010). Bersaglio dell'impugnazione non può che essere, per inequivoca previsione dell'art. 668 c.p.c., l'ordinanza di convalida assunta ai sensi dell'art. 663 c.p.c., non potendosi proporre alcuna lettura alternativa della norma.
L'attivazione del rimedio in commento è condizionata alla ricorrenza dei presupposti della mancata comparizione dell'intimato, eziologicamente ricollegabile alla mancata tempestiva conoscenza dell'intimazione per irregolarità della notificazione, caso fortuito o forza maggiore ovvero, alternativamente, per effetto di sentenza additiva della Corte costituzionale (C. Cost., 18 maggio 1972, n. 89) alla ricorrenza di un legittimo impedimento a comparire all'udienza. L'onere di provare la ricorrenza di tali circostanze grava, ai sensi dell'art. 2697 c.c., sull'opponente. L'utilizzo della locuzione irregolarità della notificazione, in luogo delle ordinarie categorie giuridiche dell'inesistenza ed invalidità induce a ritenere che la nozione enucleata dall'art. 668 c.p.c. sia più estesa, sino ad abbracciare qualunque vizio della notificazione, anche se non sia tale da renderla nulla, purché ad esso si ricolleghi la mancata conoscenza dell'atto notificato. Coerentemente, nella casistica giurisprudenziale si ravvisa ammissibile l'opposizione di cui all'art. 668 c.p.c. in caso di mancata spedizione dell'avviso di cui all'art. 660 ult. co. c.p.c., anche nel caso di notificazione eseguita a mezzo posta, di omessa rinnovazione della citazione disposta ai sensi dell'art. 663, comma 1, c.p.c., di notificazione eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c., di irregolarità della notificazione a mezzo di servizio postale, di notificazione eseguita a mani del conduttore dichiarato fallito, di chiusura del locale locato per le ferie di ferragosto, di assenza del conduttore perché in viaggio di nozze. La finalità di garantire effettiva conoscenza della notificazione ha fatto sì che il vizio notificatorio non sia stato riconosciuto alla stregua di motivo di ammissibilità dell'opposizione tardiva nel caso di nullità della notificazione per inosservanza delle disposizioni sui luoghi in cui doveva essere eseguita, dovendosi ritenere perseguito l'obiettivo della conoscenza effettiva, di impedimento addotto dall'intimato a ritirare il plico raccomandato, giacente presso l'ufficio postale, dovendo lo stesso predisporre adeguata organizzazione per essere informato circa la notificazione di atti, di ritardo nella consegna del plico ad opera del portiere dello stabile che lo aveva ricevuto. Il rifiuto del destinatario di ricevere copia dell'atto, con conseguente presunzione che la notificazione sia stata eseguita a mani proprie ai sensi dell'art. 138 c.p.c. non può assurgere a causa di opposizione tardiva, neanche in caso di erroneo convincimento del destinatario stesso circa la portata ed il contenuto dell'atto (Cass. civ., sez. III, 17 agosto 1988, n. 4958). Il vizio di notificazione, per rilevare ai fini dell'opposizione tardiva, deve determinare, secondo quanto disposto dalla norma, l'omessa tempestiva conoscenza dell'intimazione. È da considerarsi sufficiente, in ragione dell'indicazione della tempestività dell'omessa conoscenza, che l'irregolarità della notificazione abbia prodotto la ritardata conoscenza dell'intimazione, vale a dire la conoscenza acquisita oltre il termine di comparizione di venti giorni di cui all'art. 660, comma 4, c.p.c., non essendo, pertanto, indispensabile il ricorrere di un'omissione di conoscenza tout court. La fattispecie alternativa all'omessa tempestiva conoscenza dell'intimazione per irregolarità della notificazione è rappresentata dall'impossibilità a comparire all'udienza di convalida per caso fortuito o forza maggiore, pur avendo avuto contezza dell'intimazione. Il caso fortuito, da intendersi alla stregua di evento esterno non prevedibile e prevenibile con l'ordinaria diligenza, e la forza maggiore, tradizionalmente intesa quale vis maior cui resisti non potest, configurano, unitariamente intesi, la causa non imputabile di mancata comparizione dell'intimato in udienza. La nozione è da intendersi in senso soggettivo e non oggettivo o causalistico, dovendosi valutare se, alla stregua della misura di diligenza richiedibile nel caso concreto al modello di agente, potesse prevedersi e prevenirsi il fattore configurante caso fortuito, o superarsi l'impedimento integrante gli estremi della forza maggiore. Il modello di agente è, nello specifico, rappresentato dal conduttore non assistito da difensore, in considerazione delle ampie facoltà esercitabili dal medesimo personalmente. La casistica giurisprudenziale in materia è particolarmente articolata, e fa applicazione dei principi generali enunciati. È stata ritenuta ammissibile l'opposizione tardiva nel caso dell'intimato che si allontani dal tribunale avendo rilevato dal ruolo d'udienza, redatto in modo da indurre obiettivamente in errore, la posticipazione della chiamata del proprio procedimento di convalida, di insorgenza di improvviso e serio malore, tale da determinare assoluta impossibilità a presenziare all'udienza, a condizione che lo stesso costituisca oggetto di adeguata prova. È stata, viceversa, esclusa la ricorrenza della forza maggiore nel caso di blocco della circolazione determinato da uno sciopero, in assenza di dimostrazione dell'irraggiungibilità degli uffici giudiziari, di sciopero di avvocati e procuratori, dovendo la parte, in caso di rinvio d'ufficio dell'udienza, individuare quella successiva in cui sarà chiamata la causa, ovvero di stati patologici che, benché cronici, non impedivano la nomina di un difensore o la produzione di certificati medici. Non si registra uniformità di vedute in ordine al comportamento del conduttore che non sia comparso, in relazione alla pendenza di trattative tra le parti, confidando nelle rassicurazioni ricevute circa il comportamento processuale che l'intimante avrebbe tenuto, essendosi talora ritenuta l'assenza imputabile a negligenza e leggerezza, ed altre volte a caso fortuito. Il mancato rinvenimento nei registri del ruolo generale e nelle apposite rubriche di sezione dell'iscrizione della causa a ruolo è stata ritenuta ricollegabile a mera ed inescusabile negligenza nella ricerca, così come non è stata ritenuta sufficiente ad integrare l'estremo della causa inimputabile l'assegnazione del procedimento ad un diverso magistrato successivamente alla notificazione della citazione.
Segue: casistica
Il procedimento
L'opposizione tardiva si propone dinanzi al tribunale, secondo quanto prescritto dal terzo comma dell'art. 668 c.p.c., ovvero dinanzi allo stesso ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso l'ordinanza di convalida, dotato di competenza funzionale, nelle forme previste per l'opposizione a decreto ingiuntivo. L'emissione dell'ordinanza di convalida non configura causa di incompatibilità a pronunciarsi sull'opposizione tardiva. Il secondo comma dell'art. 668 prevede il termine perentorio di dieci giorni dall'inizio dell'esecuzione, decorsi i quali l'intimato decade dall'opposizione. L'incipit dell'esecuzione, ai fini del computo del termine di cui all'art. 668, comma 2, c.p.c., coincideva, secondo il tradizionale orientamento, con l'accesso dell'ufficiale giudiziario, che segnava l'inizio dell'esecuzione e determinava la piena conoscenza del provvedimento pregiudizievole (Cass. civ., SU, 3 aprile 1989, n. 1610). A seguito della riforma dell'art. 608 c.p.c., operata con legge n. 80/2005, risulta ex professo indicato il momento di inizio dell'esecuzione per consegna o rilascio, che coincide con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica alla parte che è tenuta a rilasciare l'immobile, con indicazione del giorno e dell'ora in cui procederà. È, pertanto, dalla notifica del preavviso di sloggio, ad opera dell'ufficiale giudiziario, che deve ritenersi decorrere il termine di ammissibilità di dieci giorni, avendosi da tale momento piena contezza della pendenza dell'esecuzione e, per traslato, dell'esistenza di un titolo per il rilascio. Tuttavia, nel caso in cui la causa di forza maggiore, che abbia impedito all'intimato la conoscenza del procedimento di sfratto, si protragga oltre l'inizio dell'esecuzione dell'ordinanza di convalida, il termine di dieci giorni per la proposizione dell'opposizione tardiva deve ritenersi decorrere dal momento in cui, cessata la causa impediente, il conduttore abbia acquisito piena conoscenza della procedura esecutiva di rilascio intrapresa nei suoi confronti. Il momento che segna la proposizione dell'opposizione, ai fini del computo del termine di dieci giorni, è quello della cd. litispendenza, che varia a seconda della soluzione che si sposi in merito alla veste formale dell'atto introduttivo del procedimento de quo. Laddove, con l'orientamento maggioritario, si ritenga che l'opposizione vada introdotta con ricorso, il momento della proposizione sarà quello del deposito del ricorso in cancelleria e non della notificazione dello stesso. La prevalenza della tesi della natura impugnatoria del rimedio, che presuppone l'esaurimento della fase della convalida, induce a ritenere l'assoggettamento al regime di sospensione dei termini processuali, posto che l'esenzione dell'art. 92 r.d. 12/1941 deve ritenersi operativa soltanto per il procedimento di sfratto in senso stretto, e non per l'eventuale successiva impugnazione (in senso contrario, vedi Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12880). Nessuna indicazione fornisce la disposizione in merito alla forma dell'atto introduttivo, stabilendosi esclusivamente, con formula generica riferita al procedimento, che l'opposizione si propone davanti al tribunale nelle forme prescritte per l'opposizione al decreto di ingiunzione in quanto applicabili (art. 668, comma 3, c.p.c.). La giurisprudenza, tuttavia, è da tempo pervenuta alla conclusione che l'opposizione a decreto ingiuntivo nella materia locativa debba essere introdotta con ricorso e non con citazione, con la conseguenza che, vertendo il procedimentoex art. 668 c.p.c. in materia locativa, lo stesso dovrà essere iniziato con ricorso depositato in cancelleria entro dieci giorni dall'avviso ex art. 608 c.p.c., che segna l'inizio dell'esecuzione, o dalla data di cessazione del fattore che impedisce la conoscenza o la partecipazione. Il contraddittorio andrà instaurato nei confronti di tutte le parti presenti nel giudizio di convalida e quindi, nei confronti del locatore o dei co-locatori, e dell'eventuale terzo intervenuto. Nel caso di pluralità di parti, assistite dal medesimo procuratore la notificazione andrà effettuata consegnando un numero di copie uguali al numero delle parti notificande. Il procedimento di opposizione viene comunemente contemplato alla stregua di impugnazione bifasica, di natura rescindente e rescissoria, nell'ambito della quale, alla preliminare valutazione di ammissibilità del ricorso, in virtù dell'esistenza dei presupposti dell'incolpevole assenza o ignoranza dell'intimazione, segue la valutazione delle contrapposte pretese sostanziali del conduttore opponente e del locatore opposto, attore in senso sostanziale. Conseguentemente, il locatore medesimo non può proporre domande nuove, ma tutt'al più modificare la propria domanda, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 420, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 29 ottobre 2001, n. 13419). Le due fasi, tuttavia, non sono distinguibili sulla base di un espresso provvedimento di caducazione dell'ordinanza di convalida, che segni il passaggio alla fase rescissoria. Le stesse si sovrappongono all'interno del giudizio di merito nel quale l'ordinanza di convalida non viene eliminata ma al più neutralizzata mediante l'eventuale sospensione dell'esecutorietà. La natura ibrida di tale mezzo di impugnazione, che presenta profili restitutori, alla stregua di rimessione in termini per l'esercizio di facoltà processuali precluse dalla chiusura della fase fisiologicamente deputata al loro svolgimento, ha indotto la giurisprudenza a ritenere ammissibile la sanatoria giudiziale della morosità nel corso dell'opposizione tardiva, a condizione che la stessa sia stata chiesta entro la prima udienza (Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 2003, n. 11923). Come anticipato, la proposizione dell'opposizione tardiva non determina automaticamente la sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza di convalida, dovendo l'opponente presentare apposita istanza al giudice dell'opposizione che pronuncerà la sospensiva con ordinanza non impugnabile, subordinatamente al riscontro dei gravi motivi di cui all'ultimo comma dell'art. 668 c.p.c., eventualmente imponendo una cauzione all'opponente. La nozione di gravi motivi rimanda all'estremo richiesto dall'art. 615 c.p.c., per la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, dall'art. 624 c.p.c. per la sospensione dell'esecuzione e dall'art. 649 c.p.c., stante anche il richiamo al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, operato dall'art. 668, comma 3, c.p.c.. Conformemente all'interpretazione giurisprudenziale della locuzione in tema di sospensiva del titolo, dell'esecuzione e del decreto, si ritiene che la valutazione giudiziale debba essere confinata al presupposto del fumus boni iuris, non richiedendosi viceversa necessaria la prova del pericolo di pregiudizio grave ed irreparabile nell'esecuzione dell'ordinanza di convalida da ritenersi, per altro, insita nella particolarità e delicatezza degli interessi in gioco. L'estensione della sommaria delibazione alla fondatezza nel merito, oltre che all'ammissibilità dell'opposizione, è coerente con la ritenuta natura impugnatoria del rimedio posto che, ritenendo la prevalente natura restitutoria, sarebbe sufficiente valutare sommariamente l'ammissibilità del ricorso, non essendo precluso il dispiegamento di un'opposizione del tutto apodittica. Nel disporre la sospensione il tribunale può imporre all'opponente una cauzione che appare avere funzione analoga a quella prevista dall'art. 663, comma 3,c.p.c., quella cioè di garantire il risarcimento dei danni eventualmente patiti dal locatore che risulti vittorioso. La pronuncia sulla sospensione, indipendentemente dal fatto che sia di accoglimento o rigetto, è espressamente dichiarata non impugnabile, neanche a mezzo del ricorso straordinario per cassazione, ora previsto dall'art. 111, comma 7, Cost..
Nel caso di positivo superamento del vaglio preliminare di ammissibilità, il giudice dell'opposizione avrà il compito di valutare nel merito la fondatezza delle contrapposte pretese giuridiche, secondo l'usuale schema di verifica della sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell'azione proposta dall'intimante opposto, per poi valutare la fondatezza nel merito delle pretese, eventualmente alla prova dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi allegati dall'intimato opponente tardivo. La sentenza di inammissibilità e di rigetto dell'opposizione, ovvero l'estinzione del procedimento di opposizione tardiva, determinano il passaggio in giudicato dell'ordinanza di convalida opposta e l'automatica caducazione dell'eventuale provvedimento di sospensione dell'esecutorietà eventualmente reso. Viceversa, nel caso di accoglimento dell'opposizione, verrà accertata e dichiarata l'infondatezza delle pretese giuridiche azionate nell'intimazione, così ponendo nel nulla l'ordinanza opposta. Può, poi, verificarsi il caso di accoglimento parziale dell'opposizione, con statuizione sulla parziale fondatezza delle pretese dell'intimante opposto, pronuncia di risoluzione o declaratoria di cessazione degli effetti del contratto, condanna al pagamento somme, con modalità o sotto profili diversi da quelli dell'ordinanza caducata. La sentenza è suscettibile di impugnazione nei modi ordinari, quand'anche abbia pronunciato l'inammissibilità dell'opposizione. Tuttavia, il giudice d'appello, nel riformare la pronuncia di inammissibilità dell'opposizione non può rimettere la causa al primo giudice, non versandosi in alcuna delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., ma dovrà pronunciare nel merito della questione (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1222). Potrebbe interessarti |