Ordinanza provvisoria di rilascioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 665
04 Maggio 2016
Inquadramento
Qualora l'intimato nei procedimenti per convalida di sfratto compaia in udienza e si opponga alla convalida, è preclusa la pronuncia dell'ordinanza monitoria di convalida di cui all' . Nondimeno, la trasformazione del procedimento sommario in procedimento ordinario, in ragione della semplice opposizione proposta dall'intimato, non impedisce all'intimante di richiedere un provvedimento provvisorio avente funzione anticipatoria, con riserva delle eccezioni dell'intimato opponente. Detto provvedimento si identifica nell'ordinanza di rilascio, regolata dall'art. 665 c.p.c. Essa può essere emessa, su istanza del locatore, nell'ipotesi in cui l'opposizione proposta dal conduttore non sia fondata su prova scritta, se non sussistono gravi motivi in contrario. Si tratta di provvedimento non definitivo (a differenza dell'ordinanza di convalida), avente appunto la forma dell'ordinanza, emesso a cognizione sommaria (perché incompleta), espressamente qualificato come non impugnabile, con riserva delle eccezioni del convenuto. Per effetto dell'emissione dell'ordinanza di rilascio, l'intimante viene a disporre immediatamente di un titolo esecutivo, nonostante la prosecuzione del giudizio, che si trasforma in ordinario, sebbene segua le forme del rito speciale, all'esito della disposizione del mutamento del rito che avviene con la stessa ordinanza che statuisce sull'istanza di rilascio exart. 667 c.p.c. (vedi anche l'art. 426 c.p.c. ). Nel caso in cui, a conclusione del giudizio di merito, la sentenza definitiva accerti che le eccezioni dell'opponente sono pertinenti, l'accoglimento dell'opposizione determina l'immediata caducazione degli effetti dell'ordinanza di rilascio in precedenza emessa.
Secondo altra tesi, l'assimilazione dell'ordinanza di rilascio alla categoria dei provvedimenti di condanna con riserva opera sotto il profilo del contenuto, ma non sotto il profilo della struttura, che è piuttosto quella tipica dell'anticipazione, non senza elementi cautelari. In particolare, tale conclusione è tratta dalla ritenuta inapplicabilità dell' 2 , c.p.c. , con la conseguenza che, in caso di estinzione del giudizio, in mancanza di un'esplicita previsione (analoga a quella contemplata in materia di decreto ingiuntivo ex art. 653, comma 1 , c.p.c. ), l'ordinanza di rilascio cessa di avere efficacia. Altri autori affermano, invece, che l'inserimento dell'ordinanza di rilascio nella categoria delle condanne con riserva deve essere relativizzato, almeno nel senso che la riserva è generica, con l'effetto che non matura alcuna preclusione in ordine alle eccezioni non ancora sollevate. E questa è l'opinione dominante, poiché deve essere certamente consentito all'intimato opponente di sollevare nuove eccezioni con le memorie da depositare nei termini perentori concessi all'esito del mutamento del rito. Ancora, altra opinione definisce l'ordinanza di rilascio quale provvedimento di condanna con riserva, sostanzialmente basato su una presunzione legislativa di infondatezza delle eccezioni formulate dal conduttore, con alterazione del principio di uguaglianza tra le parti, a danno di quest'ultimo. Ad ogni modo, la collocazione sistematica dell'istituto, in relazione alla tipologia dei presupposti che la connotano, si pone in linea con i principi costituzionali, come più volte sostenuto dalla Consulta, poiché l'emissione dell'ordinanza di rilascio, fondata sulla mancanza di prova scritta delle eccezioni dell'opponente, risponde alle esigenze di rapidità e speditezza che informano il procedimento monitorio in questione e, comunque, il presupposto indicato è compensato dall'ampio potere valutativo conferito al giudice attraverso il vaglio sui gravi motivi in contrario. Per definizione, l'ordinanza di rilascio, in ragione della sua natura interinale, perde effetti a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dal suo esito. L'esclusiva rilevanza delle eccezioni fondate su prova scritta e la non impugnabilità del provvedimento, con la conseguente irrevocabilità ex art. 177, comma 3 , n. 2), c.p.c. , sino alla conclusione del giudizio di merito, non determinano un'ingiustificata disparità di trattamento a scapito del conduttore, rispetto alla posizione processuale del convenuto in un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione, poiché il particolare regime dell'ordinanza, che resta provvisoria, è la scaturigine di una cognizione del tutto sommaria ( C . cost., 27 giugno 1973, n. 94 ). Per le stesse ragioni è infondata la questione di legittimità costituzionale dell' art. 665 c.p.c. nella parte in cui prevede l'emissione di un'ordinanza non impugnabile di rilascio, dotata del requisito dell'immediata esecutività, qualora l'opposizione non sia fondata su prova scritta ( C . cost. , 27 giugno 1989, n. 367 ). Proprio perché l'ordinanza di rilascio non è mai misura idonea a definire la lite, tale provvedimento interlocutorio non deve contenere nessuna statuizione sulle spese processuali. Presupposti
Affinché il giudice possa delibare sull'istanza di rilascio proposta dall'intimante ai sensi dell' art. 665 c.p.c. , è necessario che l'intimato sia comparso e si sia opposto alla convalida, altrimenti il giudice provvederà direttamente alla convalida dello sfratto ai sensi dell' art. 663 c.p.c.
Orientamenti a confronto
Prova scritta
L'ordinanza di rilascio è concessa quando l'opposizione dell'intimato sia imperniata su eccezioni non fondate su prova scritta. Secondo una prima interpretazione, le eccezioni fondate su prova scritta che impediscono l'adozione dell'ordinanza di rilascio sono solo quelle di fatto, come la concessione di una proroga ovvero la sanatoria della morosità contestata (Pret. Catanzaro, 19 agosto 1965), ma non quelle di diritto che prescindono da ogni questione di prova, come quelle sulla natura del contratto, sull'individuazione dell'oggetto o sulla validità della disdetta. Invece, secondo diverso orientamento, sarebbero idonee a paralizzare la richiesta di rilascio anche le eccezioni in senso lato, come la semplice negazione dei fatti addotti dall'intimante. Pertanto, anche un'attendibile ricostruzione in diritto, sganciata dal vero e proprio riferimento ad una prova scritta, potrebbe indurre il giudice a disattendere l'istanza ex art. 665 c.p.c. È comunque onere dell'intimante provare il fatto costitutivo della pretesa e, in specie, l'esistenza e la validità del contratto di locazione, quale fonte dell'obbligo del conduttore di corrispondere i canoni ovvero di rilasciare il bene alla scadenza. Tanto più che per le locazioni ad uso abitativo la forma scritta è richiesta ad substantiam dall'art. 1, comma 4, l. 9 dicembre 1998, n. 431, con l'effetto che - in difetto del documento che incorpora il contratto - la locazione è nulla. Pertanto, l'adozione dell'ordinanza di rilascio postula – per un verso – la prova documentale dei fatti costitutivi della domanda e – per altro verso – la proposizione di eccezioni non fondate su prova scritta. In forza di altra impostazione, l'emissione dell'ordinanza di rilascio presuppone una delibazione comparativa sulla qualità delle prove offerte dalle parti. Tale concorso di condizioni garantisce la posizione di parità tra le parti medesime, in applicazione del principio del giusto processo civile ex art. 111 Cost. Ne consegue che, ove l'intimante intenda provare l'esistenza del contratto - producendolo in fotocopia - e l'intimato ne contesti la conformità all'originale ex art. 2719 c.c., secondo una parte della giurisprudenza, l'onere di provare la fonte degli obblighi non può ritenersi assolto e, di conseguenza, l'istanza di concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio deve categoricamente essere disattesa (Trib. Roma, 9 marzo 2001). Per converso, secondo altro orientamento, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la valutazione sommaria circa la conformità o meno all'originale, in ragione del presumibile esito del raffronto tra originale da produrre nel futuro corso del giudizio e copia, ai fini di accordare o meno il rilascio. Discorso del medesimo tenore vale quando l'intimato opponente disconosca la sottoscrizione apparentemente a lui imputabile, apposta sul contratto prodotto dall'intimante, ovvero proponga querela incidentale di falso del medesimo documento (Trib. Lamezia Terme, 23 luglio 2003; Trib. Genova, 28 dicembre 1994), in analogia a quanto accade nel procedimento cautelare. Anche in questo caso, escluso a priori che la fase sommaria, connotata dalla pronta definizione, possa essere sospesa in attesa della decisione dei sub-procedimenti ordinari di verificazione o di querela incidentale di falso, azionati rispettivamente dall'intimante e dall'intimato (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 1996, n. 8595; Pret. Roma, 3 novembre 1998), resta da chiedersi se l'effettuato disconoscimento ovvero la sporta querela inibiscano l'emissione dell'ordinanza di rilascio, in applicazione analogica della previsione ex art. 186-ter c.p.c., ovvero lascino al giudice un margine di discrezionalità in ordine alla delibazione sommaria, allo stato degli atti, circa la verosimiglianza del disconoscimento o della querela. La seconda soluzione sembra più congrua ed equa, in quanto pone al riparo da un uso meramente speculativo ed abusivo del disconoscimento ovvero della querela (vedi, a titolo orientativo, gli artt. 64 legge cambiaria e 57 legge assegno, i quali – regolando la sospensione dell'esecuzione fondata su detti titoli – escludono l'automatica sospensione dell'esecuzione in presenza del disconoscimento della firma cartolare, sospensione rimessa invece al prudente apprezzamento del giudice). Pertanto, quando il giudice abbia modo di ponderare, in base alle emergenze disponibili, che il disconoscimento o la querela sono ictu oculi privi di verosimiglianza, ben potrà concedere l'ordinanza di rilascio. Viceversa, disattenderà tale istanza anche quando non abbia modo di verificare, allo stato degli atti, la fondatezza o meno del disconoscimento o della querela. In base ad altra ricostruzione, il disconoscimento ex art. 214 c.p.c. o la querela di falso ex art. 221 c.p.c. rendono impossibile l'utilizzazione del documento cui afferiscono, salvo che essi non provengano dal locatore intimante. Per la tesi, invece, che il disconoscimento e la querela di falso non inibiscono il rilascio, previa valutazione prognostica dell'esito della lite, si è espressa altra parte della dottrina. Allo stesso tempo, l'ordinanza di rilascio non può essere emessa qualora dalla prova offerta dal locatore risulti che il contratto di locazione è cessato e la relazione tra l'intimato e il bene non si fonda su un rapporto locativo, quand'anche detta relazione sia abusiva (Trib. Napoli, Sez. distaccata di Afragola, 20 settembre 2004; Trib. Salerno, 1 dicembre 1995; Trib. Roma, 18 settembre 1995). Infatti, in questa evenienza la pretesa del rilascio del bene non si basa su un rapporto negoziale (e segnatamente su un rapporto locatizio), che è l'unico che legittima la parte ad avvalersi del procedimento speciale di convalida (e quindi anche della richiesta dell'ordinanza disciplinata dall'art. 665 c.p.c.), bensì su una relazione di mero fatto, inidonea a consentire l'apertura del procedimento speciale di convalida. Sicché, quando il giudice verifichi che la relazione tra l'intimato e il bene si basi su un'occupazione di fatto o abusiva o sine titulo (o perché detto titolo non è mai esistito o perché esso è venuto meno o perché è affetto da vizi che ne inficiano la validità), non potrà mai concedere il rilascio ai sensi dell'art. 665 c.p.c. e dovrà disporre il mutamento del rito. Ciò in ragione del principio secondo cui la scelta erronea del rito non può comunque incidere negativamente sulla (o compromettere la) fondatezza nel merito della pretesa azionata (Cass. civ., sez. VI-III, 23 ottobre 2014, n. 22531). Gravi motivi
In ordine all'ambito di estensione del concetto di gravi motivi, la cui ricorrenza impedisce l'adozione dell'ordine di rilascio, accanto ad una tesi estensiva, che riconduce nel loro alveo sia elementi di fumus che di periculum (come la probabile fondatezza delle eccezioni in diritto sollevate dall'intimato opponente, il grave pregiudizio che potrebbe subire il conduttore nel caso di emissione dell'ordinanza di rilascio, la sua solvibilità, tale da consentirgli di far fronte al pagamento dei canoni non corrisposti nel caso di permanenza nell'immobile), fino a ricomprendervi anche l'esistenza di un principio di prova per iscritto, che non assurge al rango di prova piena idonea ad inibire il rilascio, si pone una tesi restrittiva, che limita la loro ricorrenza all'ipotesi di probabile fondatezza della resistenza dell'intimato opponente, sotto il profilo dell'importanza dell'inadempimento e della colpa del conduttore ovvero di deduzione di fatti particolarmente gravi, e tanto allo scopo di non vanificare lo spazio di applicazione dell'art. 665 c.p.c. In guisa della tesi estensiva, i gravi motivi, oggettivamente rilevanti ai fini di inibire la richiesta di rilascio, possono avere la seguente consistenza: a. postulano una valutazione sommaria di probabile fondatezza delle eccezioni sollevate dall'intimato opponente, benché non corroborate da prova scritta (fumus); b. esigono una ponderazione in ordine al se, in conseguenza del rilascio, l'intimato verrebbe a patire un grave pregiudizio, obiettivamente rilevabile (periculum); c. sono integrati altresì quando l'opposizione si basi su questioni giuridiche di pronta soluzione; d. ricorrono ancora quando sia sollevata eccezione di falsità ovvero di disconoscimento della sottoscrizione del contratto sul quale si fonda la pretesa dell'intimante. Così, quando il locatore sia receduto alla prima scadenza del contratto di locazione ad uso abitativo, senza che vi sia agli atti la prova, seppure indiziaria, della serietà dell'intenzione di destinare il bene ad uso abitativo personale, ricorrono i gravi motivi in contrario sotto l'aspetto del fumus, con la conseguenza che l'ordinanza di rilascio non è concedibile (Trib. Padova, 27 settembre 2006). I gravi motivi in contrario possono essere integrati anche da circostanze impeditive rilevabili d'ufficio, sia di merito che di rito. È stato inoltre ritenuto in giurisprudenza che, laddove l'opponente abbia richiesto la sospensione del procedimento per pregiudizialità ai sensi dell'art. 295 c.p.c., le ragioni che lo abbiano indotto a formulare tale richiesta, che non può trovare accoglimento, costituiscono comunque oggetto di valutazione allo stato degli atti (delibazione meramente sommaria) sotto il profilo dei gravi motivi in contrario all'emissione dell'ordinanza di rilascio. Ad esempio, i gravi motivi potranno essere ponderati nel caso in cui sia pendente un giudizio di querela di falso in via principale avente ad oggetto il contratto di locazione, sulla scorta del quale l'intimante ha richiesto la convalida (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 1996, n. 8595).
Efficacia
L'ordinanza di rilascio costituisce titolo immediatamente esecutivo. Il titolo è azionabile con l' esecuzione forzata per rilascioex art. 605 e seguenti c.p.c. Tuttavia, il giudice deve ordinare che il rilascio avvenga entro e non oltre un determinato termineex art. 56 della legge 27 luglio 1978, n. 392 , con la conseguenza che l'esecuzione è differita sino alla scadenza di tale termine all'uopo concesso al conduttore, senza che questi abbia di sua iniziativa (in spontaneo adempimento di detto ordine giudiziale) sgombrato l'immobile e lo abbia reso disponibile al locatore. Sull'ordinanza deve essere apposta la formula esecutivaa cura del cancelliere senza alcuno specifico ordine del giudice, a differenza dell'ordinanza di convalida (Trib. Padova, 4 novembre 1977). Tra l'altro, il titolo esecutivo nella fattispecie è l'ordinanza mentre nel caso di ordinanza di convalida la formula esecutiva, all'esito dell'ordine del giudice, deve essere apposta sull'originale della citazione. Il giudice della cognizione non può invece sospendere l'efficacia esecutivadell'ordinanza di rilascio emessa. Detta sospensione, ove ne ricorrano le condizioni, può essere disposta solo dal giudice dell'esecuzione(Cass. civ., sez. III, 11 settembre 1997, n. 8956). Prestazione della cauzione
Il giudice può, inoltre, subordinare l'esecuzione dell'ordinanza di rilascio alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese a carico dell'opposto intimante ex art. 665, comma 2, c.p.c. L'imposizione della cauzione, a garanzia dell'intimato opponente, può essere disposta d'ufficio. Non è dunque necessaria l'offerta dell'intimante. Piuttosto, il giudice può condizionare la concessione della provvisoria esecuzione dell'ordinanza di rilascio alla prestazione della cauzione in denaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziari ex art. 86 disp. att. c.p.c. Nel caso in cui l'intimante offra la cauzione di sua iniziativa, il giudice non è vincolato a concedere l'ordinanza di rilascio ma dovrà pur sempre valutare che ne ricorrano i presupposti di legge e, ove il vaglio su dette condizioni dia esito positivo, è rimessa alla sua discrezionalità la decisione sull'imposizione o meno della cauzione offerta dall'opposto. Tale discrezionalità è fondata sull'esigenza di assicurare una garanzia al conduttore contro il quale si dispone il rilascio. Qualora l'ordinanza di rilascio sia subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese, la mancata prestazione, a cura dell'opposto intimante, esclude che il provvedimento possa essere azionato in via esecutiva. Il suo versamento deve essere certificato ai sensi dell'art. 86 disp. att. c.p.c. Esito del giudizio
L'ordinanza di rilascio è destinata a perdere efficacia una volta che sia stata pronunciata la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione, la quale assorbe il provvedimento interinale di rilascio e regola in modo definitivo il rapporto (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2014, n. 10539).
Orientamenti a confronto Con riferimento al procedimento monitorio di convalida di licenza o di sfratto non sussiste una previsione analoga a quella di cui all'art. 653, comma 1, c.p.c., dedicata al decreto ingiuntivo. Tale norma stabilisce espressamente che, qualora il giudizio di opposizione si estingua, il decreto ingiuntivo opposto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva. Vi è da chiedersi, pertanto, quale sia il destino dell'ordinanza di rilascio se il giudizio di opposizione dovesse estinguersi. Le opinioni espresse sul punto non sono pacifiche.
Riferimenti
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SATTA , Commentario al codice di procedura civile. Procedimenti speciali, IV, 1, Milano, 1968, 136;SCARSELLI, La condanna con riserva, Milano, 1989. |