Ricorso monitorio e tentativo obbligatorio di conciliazione sono compatibili?
20 Febbraio 2017
Massima
Non è conforme a diritto la pronuncia che assoggetta il ricorso monitorio, nelle materie riservate alle competenze dell'AGCOM, al previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, dovendo di conseguenza ritenersi errata la qualificazione della condizione di accesso al giudizio di merito avanti l'Autorità Giudiziaria, prevista dall'art. 1, comma 11, l. n. 249/1997, come condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria dovendo la stessa intendersi piuttosto come condizione di procedibilità. Quindi, il giudice qualora dichiari la temporanea improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo, deve sospendere il processo ed assegnare, ove necessario, alle parti, il termine per l'esperimento dello stesso, restando salvi, al momento della prosecuzione del processo, gli effetti sostanziali e processuali dell'atto introduttivo del giudizio di merito proposto dall'opponente. Il caso
La Corte d'appello di Roma rigetta l'appello proposto da Telecom Italia s.p.a. confermando la decisione del giudice di prime cure che aveva dichiarato improcedibile il ricorso per decreto ingiuntivo avente ad oggetto il mancato pagamento della somma relativa a corrispettivi fatturati per fornitura di servizi di telefonia mobile, stante il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. La questione
Il previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al CORECOM territorialmente competente per le controversie sulle materie attribuite alla vigilanza della predetta Autorità si applica anche al ricorso per decreto ingiuntivo promosso dall'operatore di telefonia? Le soluzioni giuridiche
La Cassazione perviene all'accoglimento del ricorso proposto dalla società di telecomunicazioni, rilevando che gli argomenti in diritto svolti a sostegno della tesi della estensione del tentativo obbligatorio di conciliazione anche alla fase sommaria della procedura monitoria, non possano essere condivisi. A tale fine, la Corte di legittimità osserva che il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo, da un lato, evitando che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; e dall'altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo, e che nel vigente quadro normativo ratione materiae l'obbligo di esperimento del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità del giudizio deve essere guardata in funzione dello scopo che le relative norme si prefiggono, con la conseguenza che l'obbligatorietà del tentativo di risoluzione extragiudiziaria della controversia, comportando un inevitabile effetto dilatorio della tutela giurisdizionale, dovuto ai tempi di svolgimento della procedura conciliativa, viene necessariamente a cedere di fronte ad immediate esigenze di tutela anticipata cui provvedono le misure cautelari, in quanto strumentali ad evitare un attuale pregiudizio grave ed irreparabile al diritto. Mentre, in relazione ad altri procedimenti sommari, diretti a fornire spedita tutela al diritto allo scopo di evitare lo svolgimento del giudizio di merito, si tratterà di verificare, caso per caso, se gli obiettivi cui è preordinato il tentativo obbligatorio di conciliazione siano già assicurati dalle modalità di svolgimento di tali procedimenti giurisdizionali, ovvero se, invece, la procedura conciliativa, intesa a pervenire ad un accordo stragiudiziale sostitutivo della decisione di merito adottata all'esito del giudizio, risulti oggettivamente incompatibile con la struttura stessa di detti procedimenti, risultando evidente come in entrambi questi casi, tali procedimenti dovrebbero ritenersi sottratti alla condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo conciliativo. Ciò posto, la Cassazione richiama l'orientamento della Consulta (Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276), secondo cui il contraddittorio delle parti è l'elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione che tale contraddittorio presuppone, ed il procedimento monitorio che non prevede contraddittorio, nella fase sommaria, rilevando che il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio. La Corte si sofferma sulla logica che impone alle parti di incontrarsi in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, strutturalmente collegata ad un futuro processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio fra le parti, osservando come all'istituto di cui si discorre, sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo, nel quale, non avrebbe senso imporre nella fase (pre)giurisdizionale relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio. Ad ulteriore sostegno della motivazione spesa nella pronuncia in commento, la Cassazione precisa che tale medesimo argomento è alla base anche della disciplina della condizione di procedibilità della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, introdotta dal d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 attuativo dell'art. 60 l. n. 69/2009 che all'art. 5, comma 4, lett. a), ha previsto espressamente tra i casi per i quali è esclusa la obbligatorietà della mediazione, i procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, posticipando il tentativo obbligatorio all'esito della fase liminale del giudizio di merito introdotto con la notifica dell'atto introduttivo dell'opposizione. La Corte termina la propria disamina nella sentenza in commento, sottolineando come l'esigenza di assicurare al destinatario dell'ingiunzione la possibilità di definire in via extragiudiziaria la controversia, può essere garantita nella seconda fase, analogamente a quanto previsto dalla disciplina legislativa della mediazione che, avuto riguardo alla perentorietà del termine stabilito per la proposizione della opposizione - che, in difetto di espressa norma di legge, non viene ad essere sospeso dalla proposizione dell'istanza di mediazione, divenendo definitivo ed irrevocabile il decreto di condanna in caso di omessa attivazione dell'opponente - colloca l'operatività della condizione di procedibilità nel momento immediatamente successivo a quello in cui il giudice dispone in limine litis, ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c., rispettivamente, sulla richiesta di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio. In definitiva, la peculiarità propria del procedimento monitorio, consente di collegare la procedibilità dell'azione alla formale introduzione del giudizio di merito, mediante la notifica dell'atto di opposizione, piuttosto che all'introduzione della lite, attraverso la notifica del ricorso e del provvedimento monitorio, soluzione che appare funzionale alla logica deflattiva del processo cui tende il meccanismo conciliativo, in quanto è con l'atto di opposizione e non anche con il ricorso monitorio, che la parte interessata accede al giudizio ordinario di cognizione. Ma vi è anche un'altra ragione secondo la Corte, atteso che la peculiare struttura del procedimento monitorio volta a conseguire agevolmente una definizione della lite senza giudizio di merito, non richiede l'instaurazione di un contraddittorio, invece previsto dalla procedura conciliativa che, pertanto, se applicata anticipatamente al momento della proposizione del ricorso monitorio ex art. 633 c.p.c., priverebbe di utilità tale fase sommaria che, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione, si risolverebbe in una mera dilazione dei tempi necessari a pervenire alla definizione del giudizio di merito, in palese distonia con il principio di speditezza e di ragionevole durata dei processi ex art. 111 Cost.. Osservazioni
La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ribadisce l'orientamento espresso anche in occasione di precedenti pronunce di merito, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo, come peraltro ribadito dalla stessa Consulta in relazione alla concessione di provvedimenti cautelari (Corte cost., 30 novembre 2007, n.403, in Giust. civ., 2008, I, 307). Conseguentemente, il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione non costituisce motivo di improcedibilità nell'ipotesi di ricorso per decreto ingiuntivo, stante l'assenza di contraddittorio che caratterizza la procedura monitoria (Trib. Milano, 22 ottobre 2008, in Foro padano, 2008, 2, I, 403). Sull'esame sulla questione della procedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione la giurisprudenza di merito ha affermato che i termini “controversie”, “ricorso in sede giurisdizionale” e “agire in giudizio”, di cui alla complessiva normativa esistente in materia, si riferiscono soltanto all'azione giurisdizionale ordinaria da ritenersi preclusa senza il previsto preventivo esperimento del tentativo di conciliazione incardinata con un procedimento contenzioso ordinario soggetto al principio del contraddittorio immediato ex art. 101 c.p.c., ma non anche al procedimento senza contraddittorio introdotto con le forme speciali di cui all'art. 633 c.p.c. (Trib. Torino, 2 dicembre 2005, in Giur. merito, 2006, 1667, con nota di M. VACCARI, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie tra utenti e soggetti autorizzati o destinatari di licenze per l'esercizio di attività di telecomunicazione). Il procedimento per decreto ingiuntivo infatti, ha lo scopo di giungere alla celere formazione di un titolo esecutivo mediante cognizione sommaria e senza contraddittorio, differito all'eventuale fase di merito introdotta dal giudizio di opposizione, e precluderlo senza un preventivo tentativo di conciliazione contrasterebbe proprio con la ratio della L. n. 249/1997 che è quella di deflazionare il contenzioso ordinario pendente dinanzi ai tribunali. In tema è intervenuta anche la Corte Costituzionale statuendo che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'abrogato art. 412-bis c.p.c. nella parte in cui non inseriva il procedimento monitorio nell'elenco dei procedimenti sottratti al tentativo obbligatorio di conciliazione in quanto tale tentativo obbligatorio è strutturalmente legato ad un processo fondato, fin dall'inizio, sul contraddittorio, sicché appare incongruo interpretare la disposizione impugnata nel senso che essa preveda l'assoggettamento al suddetto tentativo di un procedimento il cui contraddittorio è differito, come il procedimento monitorio (Corte Cost., 13 luglio 2000, n. 276, cit. Ad identica conclusione è giunta anche una successiva pronuncia sul punto, Corte Cost., ord., 6 febbraio 2001, n. 29, in Giur. It., 2001, 1097). Quid juris in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, per quanto concerne l'individuazione della parte sulla quale grava l'onere di attivazione della procedura di mediazione e le ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto? Secondo un'orientamento che ha ricevuto l'avallo della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 3 dicembre 2015, n. 24629), in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/2010 grava sulla parte opponente, per cui la mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilità della opposizione e la definitività del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l'incontrovertibilità tipica del giudicato. Tale interpretazione si fonda sull'assunto secondo il quale è l'opponente, e non l'opposto, ad avere interesse affinchè proceda al giudizio di opposizione diretto alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile, altrimenti, di divenire definitivamente esecutivo; è, dunque, l'opponente a dovere subire le conseguenze del mancato o tardivo esperimento del procedimento di mediazione delegata. Argomentando in senso contrario, si introdurrebbe una sorta di improcedibilità postuma della domanda monitoria e si finirebbe col porre in capo al creditore ingiungente l'onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò sconfessando la natura stessa del giudizio di opposizione quale giudizio eventuale, rimesso alla libera scelta dell'ingiunto. La Suprema Corte, nell'unico precedente di legittimità allo stato noto, ha accreditato la tesi appena esposta, partendo dalla considerazione che la disposizione di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 debba essere interpretata conformemente alla funzione deflattiva che il legislatore ha inteso attribuire all'istituto della mediazione e che mira a rendere il ricorso al processo la extrema ratio di tutela, cioè l'ultima possibilità dopo che tutte le altre sono risultate precluse. In tale prospettiva, l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve logicamente allocarsi a carico della parte che ha interesse al processo, al fine di indurla a coltivare una soluzione alternativa della controversia che riconduca il ricorso alla tutela giurisdizionale nella descritta logica di residualità. Nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il legislatore ha quindi inteso escludere dall'ambito di operatività della norma dettata dall'art. 5, comma 1-bis, D. Lgs. n. 28/2010 le ipotesi in cui la domanda venga introdotta nelle forme del procedimento monitorio. Ciò premesso, allo speciale procedimento d'ingiunzione può essere fatto ricorso solo quando la domanda abbia ad oggetto un diritto di credito che, per la natura o per l'oggetto o per la particolare attendibilità della prova offerta, rende più semplice e più probabile il giudizio di accertamento sulla effettiva esistenza del diritto, atteso che la logica sottesa alla scelta legislativa di circoscrivere il perimetro applicativo della mediazione obbligatoria va rinvenuta nella volontà di differenziare i casi in cui la domanda, quand'anche relativa ad una delle materie elencate nell'art. 5, comma 1 bis, veicoli in giudizio un diritto di credito che abbia quelle caratteristiche tali da poter essere tutelato in via monitoria, dai casi in cui invece la stessa domanda riguardi un credito privo dei predetti requisiti, prevedendo una condizione di procedibilità solo per questi ultimi, ma non anche per i primi. In dottrina si rinvia ai contributi di:
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