Azione di indegnità: la prescrizione non decorre dall'apertura della successione
28 Agosto 2017
Massima
Nell'ipotesi di azione volta ad ottenere la pronunzia dell'indegnità a succedere in ragione della formazione o dell'uso di un testamento falso (art. 463, n. 6, c.c.), il termine decennale di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il soggetto legittimato ad esercitare la stessa abbia la ragionevole certezza e consapevolezza sia della circostanza che una parte pretenda di essere erede e si qualifichi come tale in forza di un testamento che si ha motivo di ritenere falso, sia del proprio diritto a conseguire l'eredità o il legato, in virtù di indici oggettivamente univoci idonei a determinare detto convincimento in una persona di normale diligenza, il cui apprezzamento è riservato alla valutazione del giudice del merito. Il caso
Tizia conveniva in giudizio i fratelli Caia, Mevio e Sempronio ed esponeva che il genitore aveva redatto un testamento olografo con cui aveva disposto di tutti i suoi immobili in favore dei figli, ad eccezione di un determinato fondo rustico. A seguito della morte del genitore Caia le aveva comunicato di avere rinvenuto altro testamento olografo redatto dal de cuius con il quale, previa conferma delle altre disposizioni di cui al precedente testamento, lasciava il detto fondo in comune e pro indiviso ai soli figli maschi Mevio e Sempronio, ponendo a carico di questi l'onere di corrispondere alle sorelle una determinata somma di denaro. In seguito, ed a distanza di 17 anni dalla pubblicazione del testamento de quo, a seguito di dissapori sorti tra i fratelli maschi, l'attrice aveva iniziato a sospettare dell'autenticità del testamento, avendone conferma in seguito alla redazione di una perizia grafologica. Ciò premesso, adiva il Tribunale affinché fosse dichiarata l'inesistenza ovvero la nullità assoluta del secondo testamento, accertando che l'eredità paterna era regolata dal primo testamento e dalla successione legittima per il fondo non menzionato nel primo testamento, dichiarando in ogni caso esclusi i fratelli per indegnità. I convenuti eccepivano la prescrizione della domanda attorea, sul presupposto che l'attrice avrebbe potuto immediatamente avvedersi della falsità del testamento e del fatto che era stato quindi pubblicato un testamento apocrifo. Il Tribunale rigettava la domanda in accoglimento dell'eccezione di prescrizione, assumendo, e solo per completezza di motivazione, che il testamento, alla luce della CTU espletata appariva autentico. Nel successivo grado del giudizio, la Corte di appello, accertata la falsità del secondo testamento, dichiarava che la successione era regolata in parte dal primo testamento ed in parte dalle regole della successione legittima, dichiarava altresì i fratelli esclusi dalla successione. In particolare, la Corte rilevava che non poteva condividersi la decisione del giudice di prime cure circa la prescrizione dell'azione di indegnità in quanto l'attrice, in quanto la condotta dolosa dei fratelli aveva condizionato la conoscenza dell'esistenza della causa di indegnità. Il giudizio approda così in Cassazione. La questione
Il termine decennale di prescrizione dell'azione volta alla dichiarazione di indegnità di taluno dei chiamati all'eredità decorre necessariamente dall'apertura della successione o può decorrere anche da un momento diverso? Le soluzioni giuridiche
Il dibattito sulla prescrizione dell'azione di indegnità si innesta sulla più ampia questione della natura giuridica dell'indegnità. Parte della dottrina (A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell'eredità. Divisione ereditaria, in Tratt. Cicu-Messineo, vol. LXII, Milano, 1961, 85 ss.) sostiene la tesi secondo cui l'indegnità è un fatto che impedisce la delazione, cioè una ipotesi di incapacità a succedere. In altri termini, l'indegno non avrebbe titolo a succedere, cioè non si avrebbe delazione a suo favore: l'indegnità opera come opera l'incapacità, escludendo la delazione all'indegno e la possibilità di acquistare l'eredità: «l'indegno è considerato come non fosse mai stato chiamato all'eredità, così come l'incapace a succedere, e la successione opera a favore di coloro che sono eredi in sua mancanza» (L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, art. 456-511, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1997, 177). A sostegno di tale teoria si osserva che se l'indegno fosse effettivamente capace di succedere, una volta che abbia accettato l'eredità dovrebbe considerarsi erede anche quando viene escluso dalla successione a seguito della pronuncia di indegnità, per cui i beni ereditari dovrebbero essere devoluti dall'indegno ai suoi successori e non, come in realtà avviene, ai chiamati in subordine; dunque, con la dichiarazione di indegnità cade la delazione e relativo acquisto, con effetto retroattivo. In sostanza, «l'indegno non è chiamato: l'eredità pertanto si devolve ad altri soggetti, così come se l'indegno fosse premorto o rinunciante o non concepito al momento dell'apertura della successione» (L. Ferri, op. cit., 185). Coerentemente con tale impostazione, alla sentenza che accerta l'indegnità dovrebbe riconoscersi natura meramente dichiarativa e non costitutiva perché l'indegnità opera nel diritto materiale come fatto impeditivo della delazione: «la sentenza che dichiara l'indegnità dichiara che delazione a favore dell'indegno non si è avuta» (A. Cicu, op. cit., 86). Inoltre, l'azione volta alla dichiarazione dell'indegnità sarebbe imprescrittibile, identificandosi con l'azione di petizione dell'eredità (art. 533, comma 2, c.c.): «noi identifichiamo, pertanto, l'azione per far valere l'indegnità, quando sia diretta ad ottenere la restituzione dei beni ereditari, con l'azione di petizione di eredità e possiamo farlo in quanto sosteniamo che non vi è delazione a favore dell'indegno e che chiamati alla successione sono coloro che succedono in luogo di lui» (L. Ferri, op. cit., 180). La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono, invece, che l'indegnità debba essere configurata non come una causa di incapacità ma di esclusione dalla successione: «l'indegnità, pertanto, non determina una vera e propria incapacità, ostativa all'acquisto ereditario, ma è causa di esclusione, la quale opera in virtù della sentenza del giudice, secondo i principi del diritto romano. Conseguentemente l'indegno potrà acquistare, mediante accettazione, l'eredità o il legato; ma tale acquisto potrà essere messo nel nulla dalla sentenza del giudice» (G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 40). In altri termini, secondo i menzionati principi di diritto romano cui il nostro legislatore si è ispirato, l'indegno potest capere sed non potest retinere. La differenza fra indegnità, intesa quale causa di esclusione dalla successione, ed incapacità a succedere è, a questo punto, evidente: mentre la prima importa incapacità a conservare l'acquisto ereditario, la seconda importa invece incapacità iniziale a ricevere. L'esclusione dalla successione per indegnità non può, quindi, avvenire che ope iudicis: l'indegnità a succedere di cui all'art. 463 c.c. pur essendo operativa ipso iure, deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma solo una causa di esclusione dalla successione (Cass. 5 marzo 2009, n. 5402). In altre parole, l'indegnità deve essere pronunciata; in difetto di pronuncia giudiziale l'indegno resta erede a tutti gli effetti. Alla sentenza che accoglie la domanda deve pertanto essere riconosciuta natura costitutiva e anche carattere retroattivo, com'è testimoniato dal fatto che l'erede indegno che abbia di fatto goduto dell'eredità del de cuius deve restituire non solo l'eredità, ma anche i frutti pervenutigli dopo l'apertura della successione (art. 464 c.c.). La circostanza che la sentenza operi ex tunc, escludendo l'indegno dalla successione, impedisce che il patrimonio del de cuius possa essere ritenuto nel patrimonio dell'indegno, per cui, salvi i casi di successione per rappresentazione, non può l'indegno lasciare ai suoi eredi ciò che non è nel suo patrimonio (Cass. 16 febbraio 2005, n. 3096 conf. Cass. 12 luglio 1986, n. 4533; Cass. 23 novembre 1962, n. 3171). Ulteriore corollario di tale teoria è che l'azione di esclusione dalla successione è soggetta al termine di prescrizione ordinaria (dieci anni: art. 2946 c.c.). In tal senso si è pronunciata anche la Cassazione in tempi non lontani: «consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte e dottrina prevalente, partendo dalla premessa che l'indegnità a succedere prevista dall'art. 463 c.c. non si risolve in incapacità all'acquisto dell'eredità, ma è causa di esclusione dalla successione, sono concordi nel ritenere che essa va accertata e dichiarata con sentenza costitutiva dal giudice su domanda dell'interessato. La diversa opinione, secondo cui l'indegnità dovrebbe essere considerata alla stregua dell'incapacità a succedere - di cui si occupa, tra l'altro, un capo autonomo del libro delle successioni - non può essere seguita e condivisa (…) per l'ulteriore e non trascurabile rilievo che la indegnità, così come configurata nell'unica disposizione che ne prevede le varie ipotesi, non è uno status connaturato al soggetto che si assume essere indegno a succedere, ma una qualificazione di un comportamento del soggetto medesimo, che deve essere data dal giudice a seguito dell'accertamento del fatto che integra quella determinata ipotesi di indegnità dedotta in giudizio, e che si sostanzia, secondo la dottrina prevalente, in una vera e propria sanzione civile di carattere patrimoniale, avente anche un fondamento pubblicistico, essendo socialmente ingiusto e riprovevole, come si è pure opportunamente sottolineato, il conseguimento di un vantaggio patrimoniale nei confronti del soggetto passivo di un fatto illecito, che, nella maggior parte dei casi, costituisce reato. Dalla natura costitutiva della sentenza con cui il giudice si pronuncia sull'indegnità del soggetto chiamato all'eredità, discende, quindi, l'effetto della esclusione dello stesso dalla successione; con l'ulteriore corollario che la relativa azione non è imprescrittibile, ma è soggetta al termine di prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 c.c.» (Cass. 29 marzo 2006, n. 7266). Appurato che l'azione di indegnità è soggetta a prescrizione decennale, si discute circa il momento da cui far decorrere il relativo termine. Tradizionalmente si afferma sic et simpliciter che il termine di prescrizione dell'azione di indegnità decorre dall'apertura della successione (Cass. 17 luglio 1974, n. 2145; Trib. Cagliari 22 agosto 1994; App. Milano 22 dicembre 1970). In realtà, tale affermazione dà luogo a qualche perplessità ove si ammetta che i fatti costitutivi dell'indegnità possano avvenire dopo l'apertura della successione, come correttamente evidenziato dalla più recente giurisprudenza, cui ha aderito la sentenza in commento. Si osserva, in proposito – afferma la Corte di Cassazione - che non può sostenersi che il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell'azione di indegnità debba essere individuato, sempre ed in ogni caso, nella data di apertura della successione del de cuius della cui eredità si tratta, essendo ben possibile - ed, anzi, è quanto succede nella generalità dei casi - che a tale data non vi sia, nel soggetto legittimato a proporre siffatta azione, alcuna ragionevole certezza, basata su indici univoci ed oggettivamente significativi, del proprio diritto; cosicché, pretendere che questo debba essere esercitato comunque nel termine di dieci anni dall'apertura della successione, senza che si abbia o si possa avere sentore, e men che meno ragionevole certezza, di uno dei fatti integranti ipotesi di indegnità previste dalla legge, equivale a sovvertire, in definitiva, il fondamentale principio in materia, secondo cui contra non valentem agere non currit prescriptio. In altri termini, far decorrere, nell'ipotesi in esame (art. 463, n. 6, c.c.), la prescrizione nei confronti del soggetto da un evento e da una data - apertura della successione - da cui derivano allo stesso diritti che, tuttavia, per fatto di un terzo (formazione o uso consapevole di testamento falso), egli non è in grado di conoscere e, quindi, di far invalere in giudizio, configura una soluzione che, traducendosi, sul piano dell'effettività della tutela dei diritti soggettivi, in una totale compressione di questi o in un sostanziale impedimento al loro esercizio, non può essere accolta. D'altra parte, la stessa Suprema Corte, nel ribadire che l'art. 2935 c.c., allorquando stabilisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di esercizio dello stesso, e quindi agli impedimenti di ordine giuridico, e non già a quelli di mero fatto, includendo tra questi ultimi anche l'ignoranza, da parte del titolare, dell'esistenza del diritto, fa salva l'ipotesi in cui l'ignoranza sia imputabile al comportamento doloso della controparte, come si verifica appunto nel caso contemplato dall'art. 463, n. 6, c.c., (Cass., 29 marzo 2006, n. 7266). La Cassazione detta quindi il seguente principio di diritto, cui si sono attenuti i Giudici con la sentenza in commento: «nell'ipotesi di azione di indegnità di cui all'art. 463, n. 6, c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui al soggetto legittimato a proporla si palesano indici oggettivamente univoci, che, esaminati e valutati in sede di merito con riferimento alla concreta fattispecie, siano tali da ingenerare, in una persona di normale diligenza, da un lato, la ragionevole certezza che altri, in forza di un testamento, che si ha motivo di ritenere falso, pretenda di essere erede del de cuius e si qualifichi e comporti come tale; e, dall'altro, e correlativamente, la consapevolezza del proprio diritto a conseguire l'eredità (o il legato) in luogo dell'indegno». Osservazioni
Ribadito il concetto che l'azione di indegnità è soggetta a prescrizione secondo le regole ordinarie, la Cassazione con le più recenti pronunce (Cass. 29 marzo 2006, n. 7266 e la sentenza in commento) precisa però che il termine decennale non decorre necessariamente dall'apertura della successione (come finora sostenuto sia in dottrina che in giurisprudenza), ma è possibile che esso inizi a decorrere anche in un momento successivo, dovendosi tener conto di eventuali cause che impediscono agli interessati l'esercizio immediato dei propri diritti. Il cambio di indirizzo della giurisprudenza si giustifica semplicemente con l'estensione anche all'azione di indegnità di principi generali, ormai consolidati, in materia di prescrizione, secondo cui l'art. 2935 c.c., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, e quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto (Cass. 28 luglio 2004, n. 14249; Cass. 3 settembre 1994, n. 7645). In altre parole, l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, come l'ignoranza da parte del titolare dell'esistenza del diritto, tranne che essa sia imputabile a comportamento doloso della controparte (Cass. 7 maggio 1996, n. 4235). |