Prime oscillazioni interpretative sulla determinazione del criterio quantitativo per la messa alla prova

04 Novembre 2015

L'art. 168-bis c.p. riproduce integralmente il "perimetro normativo" previsto dell'art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. per individuare i delitti per i quali possa essere richiesta la sospensione del processo con la messa alla prova, in tal modo caratterizzando il criterio "qualitativo", nel senso di stabilire normativamente i delitti per i quali non rileva che la pena sia anche stabilita da aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria o da quelle ad effetto speciale. Mentre, resta fermo il criterio "quantitativo" soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p. richiamato dall'art. 550, comma 1, c.p.p. e implicitamente fatto proprio dall'art. 168-bis c.p.
Massima

L'art. 168-bis c.p. riproduce integralmente il "perimetro normativo" previsto dell'art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. per individuare i delitti per i quali possa essere richiesta la sospensione del processo con la messa alla prova, in tal modo caratterizzando il criterio "qualitativo", nel senso di stabilire normativamente i delitti per i quali non rileva che la pena sia anche stabilita da aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria o da quelle ad effetto speciale. Mentre, resta fermo il criterio "quantitativo" soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p. richiamato dall'art. 550, comma 1, c.p.p. e implicitamente fatto proprio dall'art. 168-bis c.p.

Il caso

Il tribunale rigettava la richiesta di messa alla prova prevista dall'art. 168-bis c.p., poichè il delitto per il quale si procedeva, lesioni aggravate commesse al fine di eseguire il delitto di resistenza aggravata, risulta escluso quoad poenam da quelli per i quali può essere disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato.

Ad avviso del giudice di merito, l'applicabilità dell'istituto de quo è riferibile ai delitti puniti con gli stessi limiti edittali stabiliti dall'art. 550, comma 1, c.p.p., anche nella parte in cui richiama l'art. 4 c.p.p. per la definizione della pena massima, nonché ai delitti elencati nell'art. 550, comma 2, c.p.p. Ne consegue che si tiene conto, per la determinazione della pena stabilita dalle legge, delle aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Il precetto normativo sarebbe definito, anzitutto, in applicazione del criterio ermeneutico letterale, stabilito dall'art. 12 delle preleggi e dalla voluntas legislatoris ricostruita sulla base dei lavori parlamentari, tra cui i pareri del servizio studi del Senato. Secondo il tribunale l'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato va rigettata poiché l'aver commesso le lesioni per eseguire il reato di resistenza, configura l'aggravante ad effetto speciale di cui agli artt. 576, comma 1, n. 1 e 585, comma 1, c.p.: la pena della reclusione da tre mesi a tre anni, prevista per le lesioni, in ragione dell'anzidetta aggravante ad effetto speciale, è aumentata da un terzo alla metà e dunque la pena massima risulta di quattro anni e sei mesi di reclusione e supera il perimetro sanzionatorio previsto dall'art. 168-bis c.p., per la ritenuta operatività dell'art. 278 c.p.p.

Contro l'ordinanza l'imputato propone ricorso per cassazione in cui deduce l'errata applicazione della legge sostanziale e il vizio di motivazione, in relazione all'art. 168-bis c.p. e agli artt. 464-bis e 550 c.p.p., per avere il tribunale tenuto conto nel calcolo edittale, con motivazione illogica e contraddittoria, della circostanza aggravante ad effetto speciale, in violazione della chiara formulazione della norma, per la quale opera un criterio quantitativo, collegato all'entità della "pena edittale", e un criterio qualitativo ratione materia, riferito ai reati indicati nell'art. 550, comma 2, c.p.p., ma non riferibile, in entrambi i casi, all' aumento di pena per circostanze aggravanti. Vi è – si indica nell'atto – un chiaro contrasto con la volontà del legislatore che determina una restrizione dell'ambito di applicazione dell'istituto, la cui norma che lo ha introdotto, parla di pena edittale, senza nulla aggiungere. Invero, quando il legislatore ha voluto fare riferimento, in altri moduli deflattivi, alle circostanze del reato lo ha fatto espressamente, come previsto per la durata dei tempi di prescrizione e per le regole dettate al fine di determinare la competenza. Tale voluntas legis trova riscontro nelle disposizioni previste nella stessa l. 67/2014, in cui è espressamente stabilito per la depenalizzazione e per la non punibilità del fatto in ragione della particolare tenuità, che non si tiene conto ai fini della pena anche delle circostanze aggravanti. Per il ricorrente il riferimento a una interpretazione sistematica è assolutamente illogico e viola il principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. L'errore in cui è incorso il tribunale, nel far ricorso all'art. 12 preleggi, è dovuto anche al fatto che la norma introdotta con l'art. 168-bis c.p. è talmente chiara da non richiedere interpretazioni che si rilevano peraltro vietate dall'art. 14 preleggi che esclude l'interpretazione in malam partem. Peraltro, indica il ricorrente, si tiene conto di un atto parlamentare, ma non degli altri contenuti nel dossier n. 89, là dove il Senato scrive in termini inequivoci che la formulazione dell'art. 168-bis c.p., esclude che abbiano qualsiasi rilievo, ai fini dell'applicabilità dell'istituto medesimo, tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale.

I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il ricorso.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti:

  • se l'ordinanza di diniego della sospensione del procedimento con messa alla prova è autonomamente impugnabile;
  • se il riferimento alla pena edittale che rende ammissibile la richiesta di messa alla prova sia comprensivo delle aggravanti ad effetto speciale o di quelle di specie diversa da quella prevista per la pena base.
Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima questione deve dirsi che nella sentenza la Corte di legittimità ammette che l'ordinanza di rigetto sia autonomamente impugnabile dall'imputato con ricorso per Cassazione. La soluzione muove dal tenore letterale dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., che include nella disciplina dell'autonoma ricorribilità qualsiasi provvedimento decisorio (sia esso ammissivo o reiettivo della richiesta) e lo sottrae al regime dell'impugnabilità differita, vale a dire con la sentenza, previsto all'art. 586 c.p.p. Questa condivisibile regola juris è quella tendenzialmente maggioritaria nell'ambito della giurisprudenza di legittimità ( v., anche, Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2015, n. 20602; Cass. pen., Sez. III, 24 aprile 2015, n. 27071; Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 24011; Cass. pen. Sez. VI, 9 dicembre 2014, n. 6453; isolatamente, in senso contrario, Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2014, n. 5673). Non v'è dubbio che una tale conclusione appaia ampiamente corretta, non soltanto perché conforme al tenore letterale della previsione ma anche perché una diversa soluzione risulterebbe illogica e antieconomica.

In ordine al secondo nodo interpretativo, la sentenza in commento differisce, invece, da quanto precedentemente sostenuto in merito all'applicabilità del meccanismo alternativo al processo per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 - Tu stupefacenti (fatto di lieve entità) sia pure aggravato ex art. 80 Tu stupefacenti e come tale rientrante nelle attribuzioni del tribunale collegiale (Cass. pen., Sez. VI, 9 dicembre 2014, n. 6453). In tal caso, la pronuncia aveva previsto che per la "probation" di cui all'art. 168 bis c.p. deve guardarsi unicamente alla pena "edittale" massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dal rilievo che nel caso concreto potrebbe assumere la presenza della contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale. Nella decisione n. 36687 del 2015, invece, la stessa Sezione VI afferma che analogamente ad altri istituti, occorre tener conto "della pena stabilita dalla legge per il reato per il quale si procede" ma, al fine di ricondurre ad unità il sistema, con norme volte a stabilire i criteri di determinazione della pena, quali quelle previste dagli artt. 4, 278, 379 e 550 c.p.p.

Per la Sez. VI tali indici non possono che trovare applicazione anche nell'ipotesi prevista dall'art. 168-bis c.p., in quanto, una diversa soluzione comporterebbe, altrimenti, che il criterio "quantitativo", oltre che essere asistematico - rispetto alle ipotesi dianzi indicate- si porrebbe in palese contrasto con il criterio "qualitativo", attuato con l'espresso richiamo all'art. 550 co. 2 c.p.p. là dove il legislatore ha effettuato una precisa scelta di "indicare normativamente", i delitti per i quali è ammesso il nuovo istituto della "messa alla prova", anche per delitti puniti con aggravanti "per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria" e per quelle "ad effetto speciale". Tale scelta - indica il Supremo Collegio- si spiega con la voluntas legis di tenere conto ai fini del criterio "quantitativo" della regola stabilita dall'art. 550 co. 1 c.p.p., ivi compreso l'espresso richiamo all'art. 4 c.p.p., là dove si prevede che "si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato", id est alla "pena edittale", stabilendo però poi che "non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato" - in tal modo, colmando una lacuna di notevole importanza per l'operatività dell'istituto - e poi, al pari delle altre disposizioni dianzi indicate, si stabilisce che si tiene conto, ai fini della determinazione della pena, delle "aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria" e per quelle "ad effetto speciale". Il sistema ha così una sua completezza e coerenza, rispettando la logica complessiva della legge di rendere applicabile "la messa alla prova", per tutti quei delitti per i quali si procede a citazione diretta a giudizio dinanzi al giudice in composizione monocratica. In conclusione, l'art. 168-bis c.p., riproduce integralmente il "perimetro normativo" previsto dell'art. 550 co. 1 e 2 c.p.p., per individuare i delitti per i quali possa essere richiesta "la sospensione del processo con la messa alla prova", in tal modo caratterizzando il criterio "qualitativo", nel senso di stabilire "normativamente" i delitti per i quali non rileva che la pena sia anche stabilita da "aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria" o da quelle "ad effetto speciale", mentre resta fermo il criterio "quantitativo", soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p., richiamato dall'art. 550 co. 1 c.p.p., e implicitamente fatto proprio dall'art. 168 bis c.p., per le ragioni anzidette.

Osservazioni

La soluzione raggiunta dalla Corte non appare condivisibile.

Quella prospettata si risolve in un'errata applicazione della legge sostanziale, considerato che l'art. 168-bis c.p. e gli artt. 464-bis e 550 c.p.p., paiono indicare che ai fini dell'ammissione al rito speciale si debba tenere conto, nel calcolo edittale, della sola pena astrattamente delineata dal legislatore, come pare ricavabile dalla chiara formulazione dell'art. 168-bis c.p. La lettura della norma lascia intendere, infatti, che ai fini dell'ammissione al rito speciale della messa alla prova opera un criterio quantitativo, collegato all'entità della "pena edittale", e un criterio qualitativo riferito ai reati indicati nell'art. 550, comma 2 c.p.p. ma in entrambi i casi non viene fatta alcuna menzione alle circostanze, anche ad effetto speciale o di specie diversa da quella del reato base. Ne discende, come ha ben prospettato il ricorrente, che l'interpretazione suffragata dalla Cassazione pare porsi in chiaro contrasto con la volontà del legislatore in quanto determina, a dispetto della ratio sottesa alla l. 67 del 2014 che ha introdotto il rito alternativo al processo, una restrizione dell'ambito di applicazione dell'istituto. Nessuna indicazione normativa è operata né nel codice penale, né in quello processuale. ai diversi criteri stabiliti per ipotesi peculiari (determinazione della competenza, della pena ai fini cautelari) di cui agli artt. 4, 278, 550, comma 1 c.p.p. Né, infine, ad una soluzione diametralmente opposta rispetto a quella legislativa può giungersi attraverso il ricorso all'interpretazione sistematica o analogica, in quanto compiuta, in tal caso, in malam partem, in violazione dell'art. 14 preleggi.

Guida alla approfondimento

F. Picciché, Il ricorso per Cassazione dell'imputato contro l'ordinanza di rigetto dell'istanza di messa alla prova per gli adulti: due opinioni a confronto, in questione giustizia.it.

R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento ?, in Dir. pen. e proc. 2014, 661 ss.;

V. Bove, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della l. 67/2014, in dirittopenalecontemporaneo.it;

M. Miedico, Sospensione del processo e messa alla prova anche per i maggiorenni, in dirittopenalecontemporaneo.it;

M. Montagna, Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, in AA. VV., Le nuove norme penali, a cura di C. Conti-A. Marandola-G. Varraso, Padova, 2014, 385