Intercettazioni per mezzo di captatore informatico tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali

Luigi Giordano
05 Febbraio 2016

Le videoregistrazioni di condotte “non comunicative” eseguite per mezzo di captatore informatico non sono utilizzabili, se realizzate in luoghi qualificabili come domicilio ai sensi dell'art. 14 Cost.
Massima

Il decreto che autorizza intercettazioni per mezzo di captatore informatico deve individuare con precisione, a pena di inutilizzabilità, i luoghi nei quali può essere compiuto l'ascolto delle conversazioni tra presenti. Le videoregistrazioni di condotte “non comunicative” eseguite nel medesimo modo non sono utilizzabili, se realizzate in luoghi qualificabili come domicilio ai sensi dell'art. 14 Cost.; se compiute in ambienti in cui è tutelata la riservatezza, sono inutilizzabili in mancanza di un preventivo provvedimento autorizzativo dell'Autorità giudiziaria.

Il caso

Il tribunale della libertà confermava l'ordinanza con cui era stata applicata la custodia in carcere nei confronti di un indagato per il reato di associazione di stampo mafioso. Con il ricorso per Cassazione, il difensore eccepiva l'inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche che erano state realizzate per mezzo dell'installazione di un virus informatico in alcuni telefoni cellulari. Le captazioni, in particolare, avevano riguardato sia il traffico dati, che le conversazioni tra presenti, carpite per mezzo dell'attivazione a distanza del microfono e della videocamera di apparecchi del tipo smartphone.

Secondo la prospettazione difensiva, la tecnica adoperata per le intercettazioni aveva determinato l'illegittima apprensione dei contenuti della memoria dei telefoni, determinando una notevole ingerenza nella sfera privata degli utilizzatori, in violazione dell'art. 8 della Cedu. Utilizzando il sistema del virus informatico, poi, le registrazioni non erano state soggette ad alcuna restrizione, né temporale, né spaziale, e avevano prodotto un indiscriminato controllo dell'individuo e delle persone che gli stavano vicino. Questo genere d'intercettazione, in origine telematica, mettendo in funzione il microfono e la videocamera dell'apparecchio, diventava ambientale e si poteva eseguire anche all'interno di un domicilio. Nel caso specifico, il decreto del Gip non precisava gli ambienti in cui era stato autorizzato il mezzo di ricerca della prova, né affrontava il problema della tutela della privata dimora.

La questione

Il tema sollevato con il ricorso riguarda la determinazione dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni compiute per mezzo di virus informatico, definito nella sentenza anche agente intrusore. Si allude all'istallazione di un captatore informatico in un computer o in uno smartphone, in genere da remoto per mezzo di un programma malware del tipo c.d. trojan, inviato unitamente ad una mail, ad un sms o ad un'applicazione di aggiornamento di un programma scaricati dall'ignaro destinatario. Questo strumento consente di carpire tutto il traffico dati in arrivo o in partenza dal dispositivo “infettato”, di attivare il microfono e, dunque, di ascoltare le conversazioni tra presenti alla stessa stregua di un'intercettazione c.d. ambientale e di mettere in funzione la videocamera, permettendo di riprendere le immagini. È possibile anche fare copia, totale o parziale, delle unità di memoria del sistema informatico preso di mira, decifrare ciò che viene digitato sulla tastiera collegata al sistema (keylogger) e visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot). I dati raccolti sono trasmessi in tempo reale o ad intervalli prestabiliti ad altro sistema informatico in uso agli investigatori.

Il sistema descritto, come è evidente, è molto utile per lo svolgimento delle indagini. Per esempio, permette l'apprensione delle comunicazioni Voip, voice over IP, e, comunque, di carpire le comunicazioni che viaggiano direttamente tra i terminali di due utenti, senza attraversare una struttura centrale di commutazione, per mezzo di dati informatici in forma crittografata, che possono essere letti solo da chi (nella specie il gestore) possiede la chiave di decodifica.

Utilizzando il virus informatico sul telefono cellullare, però, le intercettazioni, potenzialmente, non sono soggette ad alcuna restrizione, né temporale, né spaziale e per questa ragione possono confliggere notevolmente con la libertà di comunicare, con il diritto alla riservatezza e con l'inviolabilità del domicilio. Il telefono, infatti, ormai accompagna ogni movimento umano e ci segue in ogni luogo: il suo uso come mezzo di intercettazione, di conseguenza, permette di sottoporre l'individuo ad un generale controllo della sua vita. Le potenzialità dello strumento, inoltre, sono tali che facilmente la sorveglianza si estende ai soggetti che stanno vicino alla persona intercettata. Possono, infine, anche essere superati i limiti della privata dimora, all'interno della quale possono essere riprese sia comunicazioni (per esempio, gesti), sia immagini non comunicative (cioè, attività umane).

Il mezzo tecnologico, pertanto, impone un difficile bilanciamento delle esigenze investigative, che suggeriscono di fare ricorso a questo strumento per registrare conversazioni le quali, ormai, sovente non avvengono con il normale mezzo telefonico, con la garanzia dei diritti individuali, che possono subire gravi lesioni.

Le soluzioni giuridiche

Con un apprezzabile sforzo sistematico, la decisione in commento ha ritenuto necessario analizzare il nuovo strumento investigativo distinguendo nettamente le due peculiarità tecniche che contraddistinguono il tipo di intercettazione in esame: l'attivazione da remoto del microfono e la messa in funzione, sempre a distanza, della telecamera.

Quanto al primo profilo, è stato rilevato che la nuova tecnologia realizza un'intercettazione ambientale, la cui legittimità va valutata in base alla previsione di cui all'art. 266, comma 2, c.p.p. Questa disposizione, nel permettere l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, prescrive che sia precisato nel decreto di autorizzazione il luogo nel quale sono consentite le registrazioni. Tale interpretazione della norma codicistica è l'unica compatibile con il dettato dell'art. 15 Cost.: per tutelare la libertà di comunicare, infatti, occorre procedere ad una lettura rigorosa delle disposizioni che legittimano la compressione di tale diritto della persona. L'intercettazione ambientale, pertanto, deve avvenire in luoghi ben circoscritti e individuati ab origine nel provvedimento di autorizzazione e non può essere permessa in qualunque posto si trovi il soggetto.

La tecnica di intercettazione in esame, per mezzo dell'attivazione del microfono del telefono cellulare, consente la captazione di comunicazioni in qualsiasi luogo si rechi il soggetto, portando con sé l'apparecchio. Questa modalità di captazione aumenta le potenzialità dell'intercettazione, permettendo di captare conversazioni tra presenti in tutti gli ambienti in cui si sposta il soggetto e, soprattutto, senza limitazione alcuna di posto. Ne deriva che l'indiscriminato ricorso al nuovo strumento può determinare la violazione dell'art. 266, comma 2, c.p.p. e del precetto costituzionale dapprima indicato.

Per realizzare il corretto bilanciamento dei valori contrapposti, allora, il decreto autorizzativo deve necessariamente individuare, con precisione, i luoghi nei quali può essere espletata l'intercettazione delle conversazioni tra presenti, non essendo ammissibile un'indicazione vaga o, addirittura, l'assenza di ogni puntualizzazione al riguardo. Le captazioni compiute in luoghi diversi da quelli ai quali si riferisce l'autorizzazione, invece, vanno espunte dal materiale cognitivo. Se i provvedimenti autorizzativi, poi, non contengono alcuna specificazione dei luoghi in cui è autorizzata l'intercettazione ambientale, l'intero materiale captato è inutilizzabile, non essendo consentita l'effettuazione di intercettazioni tra presenti senza delimitazioni spaziali.

Il secondo aspetto problematico determinato dal nuovo strumento concerne l'attivazione a distanza della telecamera del telefono cellulare (o del computer) per effettuare video-riprese. Al riguardo, la decisione in commento richiama un fondamentale arresto giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. un., n. 26795/2006) secondo cui le videoregistrazioni, volte all'apprensione di condotte non comunicative, vanno incluse nella categoria dei documenti di cui all'art. 234 c.p.p., se non compiute nell'ambito del procedimento penale, mentre quelle effettuate dalla polizia giudiziaria durante le indagini, anche d'iniziativa, costituiscono prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.

Le riprese video “non comunicative”, però, non possono essere realizzate ovunque, ma solo in luoghi pubblici o aperti al pubblico (o anche esposti al pubblico, come per esempio, il balcone di un'abitazione). Quelle compiute in posti qualificabili come domicilio ai sensi dell'art. 14 Cost., in mancanza di una specifica disciplina attuativa della disposizione costituzionale che ne garantisce l'inviolabilità, sono acquisite illecitamente e, dunque, sono inutilizzabili.

È possibile pure che le riprese avvengano in luoghi nei quali si svolgono attività intime o riservate ma che non presentano natura di domicilio. L'enucleazione di una simile categoria di ambienti, che si pone tra i luoghi pubblici ed il domicilio, rappresenta la grande intuizione della sentenza delle Sezioni unite dapprima citata. In questo caso, dovendo assicurarsi tutela al diritto alla riservatezza di cui all'art. 8 Cedu e all'art. 2 Cost. (ma non alla prerogativa di cui all'art. 14 Cost. che riguarda solo il domicilio), la prova atipica può essere ammessa, purché realizzata in base a provvedimento motivato dell'Autorità giudiziaria (giudice ma anche pubblico ministero). Questo provvedimento dell'Autorità giudiziaria, che deve spiegare le ragioni che inducono a compiere l'atto per la ricerca della prova di un reato e a comprimere il diritto alla riservatezza, integra il livello minimo di garanzia dei diritti individuali a cui ha fatto riferimento più volte anche la Corte costituzionale (Corte cost. n. 81/1993; Corte cost. n. 281/1998).

Da qui la seconda conclusione cui perviene la decisione in esame: nel caso di impiego dell'agente intrusore per registrate immagini “non comunicative”, sono certamente inutilizzabili le video riprese realizzate in un domicilio. Al contrario, sono utilizzabili quelle compiute in ambienti in cui è tutelata la riservatezza, ma solo se realizzate in forza di un preventivo provvedimento autorizzativo dell'Autorità giudiziaria che dia atto del bilanciamento tra valori confliggenti.

Osservazioni

La sentenza in commento segna un progresso nella prospettiva della tutela dei diritti individuali rispetto alla prima decisione che ha affrontato i quesiti giuridici sollevati dal nuovo strumento tecnico in esame. Il primo arresto giurisprudenziale che ha affrontato il tema (Cass. pen., Sez. V, n. 16556/2010), infatti, aveva giudicato legittimo il decreto del pubblico ministero che aveva permesso l'estrapolazione dei dati già formati contenuti nella memoria del personal computer ma anche di quelli che sarebbero stati memorizzati dopo detta installazione(acquisizione in copia della documentazione informatica memorizzata nel personal computer in uso all'indagato). Era stato sostenuto che il provvedimento non consistesse nella registrazione di flusso di comunicazioni ma nella mera documentazione di una relazione operativa tra microprocessore e video del sistema elettronico ossia di un flusso unidirezionale di dati, contenuti all'interno dei circuiti del computer.

La prima regola espressa – cioè l'affermazione che il decreto autorizzativo deve indicare i luoghi con precisione in cui è consentita l'intercettazione ambientale – segue l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di cui all'art. 266, comma 2, c.p.p. deve permettere l'individuazione del preciso luogo nel quale può intervenire l'ascolto, perché deve riportare i dati che permettono di determinare la portata della compressione della libertà di comunicazione (Cass. pen., Sez. IV, n. 24478/2015).

Seppur dettata dal rispetto di una libertà costituzionale come quella di comunicare, però, la specificazione richiesta appare in grado di limitare notevolmente la portata investigativa del nuovo strumento. Il decreto di autorizzazione, infatti, secondo la decisione in commento, deve determinare con precisione gli ambienti in cui può avvenire l'ingerenza pubblica sul diritto individuale, non essendo legittima un'indicazione indeterminata o addirittura l'assenza di ogni precisazione. Questa puntualizzazione, tuttavia, può essere difficile, se non impossibile, e potrebbe comportare la perdita di materiale probatorio importante per la scoperta dei reati. Un equilibrato bilanciamento tra i valori contrapposti, in una diversa prospettiva, potrebbe intervenire con una delimitazione “in negativo”, consistente nella mera specificazione dei luoghi in cui non possono intervenire intercettazioni a mezzo virus e non con la fissazione “in positivo” dei posti in cui può operare detto strumento. Tale specificazione potrebbe essere sufficiente per assicurare adeguata tutela al diritto individuale, senza intaccare le potenzialità operative del mezzo investigativo.

L'indirizzo giurisprudenziale prevalente, del resto, ammette la variazione dei luoghi in cui può svolgersi la captazione tra presenti autorizzata, se rientra nella specificità dell'ambiente oggetto dell'intercettazione autorizzata (Cass. pen., Sez VI, n. 15396/2007, relativa ad una fattispecie in cui l'autorizzazione dell'intercettazione ambientale aveva ad oggetto la sala colloqui della casa circondariale in cui era ristretto l'imputato e le operazioni di captazione erano proseguite presso la sala colloqui della diversa casa circondariale in cui era stato successivamente trasferito). Si ritiene, inoltre, che, autorizzata la captazione delle conversazioni in un determinato luogo, l'attività possa intervenire anche nelle pertinenze, senza necessità di ulteriore specifica autorizzazione, sul presupposto che non si possa considerare luogo diverso dall'abitazione principale (Cass. pen., Sez. II, n. 4178/2010) o che l'intercettazione ambientale possa essere trasferita dalla vettura oggetto di autorizzazione a quella successivamente acquistata dall'indagato (Cass. pen., Sez. V, n. 5956/2011).

Quanto alla registrazione delle immagini, va precisato che tale attività possa essere finalizzata alla captazione di comportamenti di carattere comunicativo, come ad esempio i gesti. In tal caso deve essere qualificata come intercettazione di comunicazioni tra presenti, con l'applicazione in via interpretativa della relativa disciplina (Cass. pen., Sez. VI, n. 37751/2010; Cass. pen., Sez. IV, n. 11181/2005; sul punto si segnala che, secondo la giurisprudenza, la finalità di intercettare conversazioni consente all'operatore di polizia la materiale intrusione, per la collocazione dei necessari strumenti di rilevazione, nei luoghi di provata dimora, senza che tale condotta integri il reato di cui all'art. 614 c.p., cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 41514/2012).

Le video-riprese, però, possono anche mirare a carpire condotte non comunicative (dunque, attività umane). In questo secondo caso non sono utilizzabili, se realizzate in luoghi domiciliari. Questa regola, espressa da diverse sentenze della suprema Corte (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 16595/2013), cui aderisce la decisione in commento, è imposta dalla necessità di salvaguardare l'inviolabilità del domicilio. Le videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi compiute in luoghi riconducibili al concetto di domicilio di cui all'art. 14 Cost., in assenza di una normativa che le consenta, disciplinandone i casi e i modi, debbono considerarsi inibite in assoluto: con la conseguenza che è vietata la loro acquisizione e utilizzazione nel processo, in quanto prova illecita.

Se le riprese sono state eseguite con il consenso del titolare del domicilio, tuttavia, le videoregistrazioni di condotte non comunicative disposte dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari, anche se intervenute in luoghi riconducibili al concetto di domicilio, sono utilizzabili senza alcuna necessità di autorizzazione preventiva del giudice. Non essendo configurabile un'intrusione nell'altrui domicilio, possono entrare a far parte del materiale cognitivo del giudice come prova atipica disciplinata dall'art. 189 c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, n. 41332/2015). La suprema Corte, per esempio, ha ritenuto utilizzabili le immagini registrate in uno studio professionale, luogo ricompreso nella nozione di domicilio, effettuate da persona che era vittima del reato (si trattava della dipendente di uno studio legale che era molestata dal professionista datore di lavoro), verso la quale l'imputato, sebbene proprietario dei locali, non aveva lo jus excludendi, perché l'autrice del video si trovava nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata (Cass. pen., Sez. III, n. 37197/2010).

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, infine, in tema di video-riprese in ambiente privato, il fatto che si tratti di immagini di comportamenti comunicativi ovvero non comunicativi, con le conseguenze indicate sul profilo dell'utilizzabilità per la decisione, va apprezzato ex ante, avendo cioè riguardo al momento in cui l'attività viene autorizzata dall'Autorità giudiziaria e prescindendo dagli esiti (Cass. pen., Sez. IV,n. 12362/2008). Ne deriva una conclusione, invero discutibile, secondo cui sono utilizzabili gli esiti delle registrazioni di immagini in un domicilio che miravano nel momento della loro autorizzazione a cogliere comunicazioni, ma che si sono rivelate ex post solo rappresentative di condotte materiali.

Guida all'approfondimento

S. Marcolini, Le cd. perquisizioni on line (o perquisizioni elettroniche), in Cass. pen. 2010, 2855;

A. Testaguzza, I sistemi di controllo remoto: fra normativa e prassi, in Dir. pen. proc. 2014, 759;

M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, in Dir. pen. proc. 2015, 1163;

L. Giordano, Le intercettazioni e il loro regime di conservazione e utilizzazione nel procedimento: tra diritto alla riservatezza, esigenze di prova e tutela dei diritti di difesa, Relazione all'incontro di studi del C.S.M. “La giurisdizione durante le indagini ed al loro termine: funzione di controllo e di garanzia”, Roma, 8-10 ottobre 2012, in www.cosmag.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.