Il perito non può esprimersi sull'attendibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali
07 Settembre 2016
Massima
Il giudice può fare ricorso ad una indagine tecnica che fornisca dati inerenti al grado di maturità psichica del teste minore vittima di abusi sessuali, solo al fine di valutarne l'attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva che non sia compromessa dalla presenza di eventuali alterazioni psichiche ma non anche per valutare ed accertare l'attendibilità delle risultanze della prova testimoniale, poiché tale operazione rientra nei compiti esclusivi del giudice. Il caso
La Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi circa la legittimità di una pronuncia della Corte d'appello di Palermo con cui si era confermata la penale responsabilità di Tizio in ordine, tra gli altri, al reato di violenza sessuale ai danni della figlia minore, annullava la predetta sentenza. La condanna si fondava essenzialmente sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa minore, figlia dell'imputato, la cui attendibilità risultava essere stata formulata dalla Corte territoriale essenzialmente sulla base dei rilievi espressi al riguardo dal consulente tecnico del pubblico ministero. Questi, infatti, secondo i giudici palermitani, aveva riscontrato non solo la piena capacità (della persona offesa) di rendere testimonianza ma anche la positiva credibilità della minore in quanto vittima di abusi sessuali. Sulla base di simili assunti, la Corte d'appello era giunta ad affermare che l'attendibilità della giovane persona offesa [...] era pienamente dimostrata dalle considerazioni tecniche svolte dal consulente del P.M. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputato deducendo, tra gli altri motivi, la pretesa illogicità della motivazione laddove la Corte di merito palermitana aveva ritenuto sussistere nei comportamenti attribuiti a Tizio gli estremi del reato di violenza sessuale, senza che della loro reale esistenza fosse stata raggiunta una tranquillante prova, data la scarsa affidabilità delle dichiarazioni della minore e – evidentemente – la dubbia regolarità dell'iter valutativo. La questione
La questione su cui si è pronunciata la Corte di cassazione attiene alla differenza di ruoli e funzioni esercitabili dal perito (o consulente tecnico) e dal giudice, con riferimento alla valutazione della capacità a testimoniare del minore vittima di violenza sessuale e all'apprezzamento valutativo delle dichiarazioni rese. Mentre la prima funzione, come è noto, ben può essere delegata al contributo di un tecnico medico, psicologo, ecc., l'altra, che riguarda l'attendibilità della dichiarazione, spetta inderogabilmente al giudice. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione, nell'annullare in parte qua la sentenza della Corte d'appello di Palermo, ribadisce un principio già fatto proprio in passato (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. IV, 1 dicembre 2011, n. 44644; Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2010, n. 24264), secondo cui il giudice può fare ricorso ad una indagine tecnica che fornisca dati inerenti al grado di maturità psichica del teste minore vittima di abusi sessuali, solo al fine di valutarne l'attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva (da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari) che non sia compromessa dalla presenza di eventuali alterazioni psichiche ma non anche per valutare ed accertare l'attendibilità delle risultanze della prova testimoniale poiché tale operazione rientra nei compiti esclusivi del giudice. È quindi solo l'autorità giudiziaria che ha la competenza assoluta e indelegabile di valutare il compendio probatorio e, in primo luogo, di apprezzare la valenza dimostrativa delle dichiarazioni della vittima, pur minore di età, la quale, come non infrequentemente si verifica proprio in materia di reati sessuali, è l'unica fonte diretta di conoscenza del fatto incriminato. Osservazioni
Propedeutico alla valutazione delle dichiarazioni rese o da rendersi da parte di un soggetto minore d'età è l'accertamento della sua idoneità fisica o mentale a rendere la testimonianza richiesta (art. 196 c.p.p.), da accertarsi sotto il profilo intellettivo ed affettivo. Essa è definita anche come l'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto, a rievocare gli eventi nel loro nucleo essenziale, a collocarli nel tempo e nello spazio, senza incorrere in processi di auto o etero-suggestione oppure di esaltazione o fantasia, frutto di immaturità ovvero di patologie mentali e ha lo scopo di appurare se questi sia stato capace di rendersi conto dei comportamenti subiti e se sia attualmente in grado di riferirne senza influenze dovute ad alterazioni psichiche (così Cass. pen., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 47033). Un simile accertamento può costituire oggetto del vaglio di un esperto – generalmente psicologo o neuro-psichiatra infantile – allorquando lo richiedano la giovanissima età del dichiarante, il suo apparente stato psichico o, magari, vi siano elementi tali da far ritenere che sussistano degli specifici fattori soggettivi in grado di influire in maniera negativa sull'assunzione della testimonianza. Ha, dunque, natura tendenzialmente discrezionale, non essendo un presupposto indispensabile per la valutazione dell'attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (così Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 38211). Tuttavia, nei casi in cui manchi una perizia o quando questa non sia svolta col rispetto dei protocolli generalmente riconosciuti e condivisi dalle relative comunità scientifiche, devono essere valorizzati altri elementi di prova o di riscontro oggettivi di cui deve essere fornita adeguata motivazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2012, n. 1235; v. altresì Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2012, n. 1234, che esclude che la perizia possa essere sostituita dalle valutazioni psicologiche compiute informalmente dagli operatori in servizio presso la comunità in cui la vittima è ospitata). Ad ogni modo, anche nel caso in cui il giudicante scelga di ricorrere all'apporto delle specifiche competenze tecnico-scientifiche, il risultato delle indagini sulla capacità di testimoniare del minore non avrà alcuna valenza deterministica ai fini decisionali, pur costituendo un dato non ignorabile nella formazione del suo convincimento e nell'esposizione del percorso logico-giuridico seguito per la redazione della sentenza. Si tratta, comunque, sempre, di un accertamento da tenersi nettamente distinto rispetto alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali. Il perito dovrà, infatti, limitarsi ad accertare la capacità del minore a rendere testimonianza in ordine ai fatti asseritamente subiti, astenendosi da qualsivoglia giudizio sul grado di attendibilità della stessa nonché da ogni valutazione riguardante la veridicità del fatto raccontato. Solo il giudice del merito dovrà sottoporre ad attento e personalizzato vaglio la testimonianza resa, valutandone la rilevanza probatoria attraverso l'analisi delle condotte del teste, la spontaneità, la coerenza e la linearità del racconto, la verifica dell'eventuale esistenza di riscontri esterni, nonché di tutti gli altri elementi che confermino la sua attendibilità intrinseca ed estrinseca. E allora, nel dare atto dell'estrema utilità che gli studi scientifici sono in grado di apportare a questa delicata materia, pare indispensabile delineare sempre i precisi confini operativi delle diverse soggettività che, a vario titolo, si trovano ad esercitare il proprio ruolo in seno al procedimento penale. Ciò nella consapevolezza che una pericolosa commistione dei ruoli e un possibile esubero dalle proprie competenze rischiano di danneggiare, piuttosto che di agevolare, le finalità processuali. La scienza potrà fornire gli strumenti operativi, coadiuvare la fase di assunzione della prova, valutare la capacità testimoniale, indagare il funzionamento psicologico del soggetto, garantire la tutela del testimone sotto il profilo della serenità e della correttezza dei metodi utilizzati ma non potrà surrogarsi al ruolo dell'autorità giudicante, cui per legge è deputato il vaglio di quella delicata prova dichiarativa. Il giudice, per parte sua, non potrà sottrarsi a tale incombente, che, per quanto scomodo e talvolta difficilmente esercitabile, lo vede unico depositario della fase valutativa della prova, né potrà demandare all'esperto (magari attraverso l'offerta di quesiti a dir poco fantasiosi) ruoli e responsabilità che devono sempre rimanere in capo a sé e rifuggire da una tale delicata funzione trasponendo in maniera passiva e acritica i postulati della letteratura scientifica nell'ambito della propria decisione finale. Un simile ruolo determina invero la necessità che il giudice, peritus peritorum, disponga di un livello di conoscenze scientifiche sempre più elevato, avendo la difficile responsabilità di districarsi nel coacervo delle teorie scientifiche e di decodificare un linguaggio spesso difficilmente intelligibile, al fine di valutare criticamente il contributo tecnico ricevuto ed esprimere la ragione del suo convincimento. Dunque, pur nella consapevolezza dell'inevitabile reciproca influenza fra le categorie concettuali del ragionamento giuridico e di quello scientifico, quello che bisogna evitare è che il tecnico vada oltre il proprio ruolo e invada campi non di sua competenza. E' necessario che gli esperti, dotati delle necessarie competenze, cerchino di procedere nel proprio lavoro senza commettere errori nel ragionamento seguito, che non esprimano opinioni personali, convincimenti privi di possibile dimostrazione, che non seguano più l'intuito emotivo che la prassi professionale, né che si servano di strumenti che non permettono il controllo e la verifica delle modalità di somministrazione e dei risultati cui si è pervenuti (art. 1, seconda parte, Carta di Noto), ricorrendo sempre alla videoregistrazione. Né i giudici devono considerare come giudizio oracolare quello dell'esperto senza porsi in maniera critica rispetto allo stesso, dovendo sempre esercitare quel penetrante controllo cui gli stessi non possono e non devono in alcun modo sottrarsi. AA.VV., Testimoni e testimonianze deboli, a cura di L. De Cataldo Neuburger, Padova, 2006; AA.VV., Abuso sessuale di minori e processo penale: ruoli e responsabilità, a cura di L. De Cataldo Neuburger, Padova, 1997; G. B. CAMERINI-M. PINGITORE-G. LOPEZ, La perizia sull'idoneità a testimoniare del minorenne nei casi di presunta violenza sessuale, in questa Rivista; D. CARPONI SCHITTAR-R. ROSSI, Perizia e consulenza in caso di abuso sessuale sui minori, Milano, 2012; G. GULOTTA-I. CUTICA, Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, Milano, 2009; A. LISI-I. GRATTAGLIANO, Ipotesi di abusi sui minori e valutazione dell'attendibilità testimoniale: tra verità, menzogna e false credenze, in Riv. it. med. leg., 2008, 1, 59; A, MAIORANA, Spetta al giudice valutare la credibilità della testimonianza del minore, in Dir. e giust., 2004, 40; E. M. MANCUSO, Perizia psicodiagnostica, esame del minore e mancato rispetto del contraddittorio: la Corte evoca Strasburgo nel sindacato sul diritto alla prova tecnica, in Riv. it. med. leg., 2012, 4, 1658 ss.; F. MOSCATI, Capacità a testimoniare del minore e attendibilità delle sue dichiarazioni. Il ruolo dello psicologo nella perizia penale, intervento al Convegno Il valore da attribuire alle dichiarazioni dei minori, nel processo civile e penale, tenutosi a Firenze il 29.03.2011, in www.minori.it; L. PONTI, Perizie sulla parte offesa e sul testimone, in Aa.Vv., Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, a cura di G. Gulotta, Milano, 1987, 697 ss.; N. TRIGGIANI, Sub art. 196, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, IV, Milano, 2010, 1968. |