Decreto di archiviazione: inoppugnabilità da parte dell'indagato
08 Febbraio 2016
Massima
La persona sottoposta alle indagini non può proporre opposizione né ricorrere in Cassazione, nemmeno sotto il profilo dell'abnormità, avverso il decreto con cui il Gip dispone l'archiviazione del procedimento. Nel caso in cui il P.M. richieda l'archiviazione per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione, il giudice non ha il dovere di motivare sulla insussistenza di prove favorevoli all'indagato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. in quanto tale norma non è applicabile alla fase delle indagini preliminari. Il caso
Il ricorrente ha proposto ricorso avverso il decreto di archiviazione pronunciato nei suoi confronti relativamente al reato di cui all'art. 8 del d.lgs. 74 del 2000, per intervenuta prescrizione. Il ricorrente lamenta in primo luogo che, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., il reato contestato, dichiarato prescritto, in realtà sarebbe stato insussistente, essendosi di fatto proceduto – a seguito di trasmissione in sede di giudizio civile degli atti al P.M. - per la notitia criminis di omessa fatturazione di compensi professionali e non già per emissione di fatturazione per operazioni inesistenti. Si censura, inoltre, la mancanza di motivazione del provvedimento di archiviazione, limitato ad una mera presa d'atto della richiesta del P.M.; infine, chiede si sollevi la questione di legittimità costituzionale degli artt. 408, commi 1 e 2, e 409, comma 1, c.p.p. per violazione degli artt. 111 e 117 Cost., nella parte in cui non prevedono l'obbligo di avvisare l'indagato della richiesta di archiviazione per prescrizione, alla luce di quanto previsto dalla Direttiva europea 2012/13/Ue che prospetta, all'art. 3, l'onere di informare l'indagato dell'accusa, al più tardi, al momento in cui il merito è sottoposto all'esame di un'autorità giudiziaria. La questione
Con il ricorso si è chiesto alla Corte di cassazione di pronunciare il proscioglimento – perché il fatto non sussiste o non è previsto come reato o perché non costituisce reato – e sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale. Le soluzioni giuridiche
La disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 409, comma 6, e 127, comma 5, c.p.p. si occupa espressamente del ricorso per Cassazione contro l'ordinanza di archiviazione emessa a seguito dell'udienza in camera di consiglio. Dal principio di tassatività delle impugnazioni discendeva, dunque, che il provvedimento di archiviazione pronunciato de plano con decreto fosse sempre inoppugnabile. La soluzione normativa ha indiscutibilmente risentito dell'impostazione riservata, nel sistema previgente, all'omonimo provvedimento (per l'inoppugnabilità, sotto il vigore del c.p.p. previgente, v. Cass. pen., Sez. un., 4 marzo 1972, Scalzi, in Cass. pen., 1972, 1488; Cass. pen., Sez. un. 27 ottobre 1952, Parigi, in Giust. pen., 1095, III, 130) e, dunque, dell'idea che nessuno dei soggetti del procedimento avrebbe ragione – stante la mancanza di interesse – di contestare la decisione in parola. Tuttavia, soprattutto considerando le ricadute di un simile assetto sulla posizione della persona offesa, da più parti si sottolineava con forza l'irragionevolezza di una disciplina tanto restrittiva. Questa, infatti, almeno stando alla lettera degli artt. 409, comma 6, e 127, comma 5, c.p.p. induceva a considerare come assolutamente prive di tutela tutte quelle situazioni – come il mancato avviso della richiesta di archiviazione nonostante la sollecitazione in tal senso, la decisione assunta de plano prima della scadenza del termine per proporre opposizione o, comunque, adottata a dispetto di una opposizione ammissibile – in cui l'offeso sia stato illegittimamente estromesso dal procedimento. Così, per sottrarre la scelta legislativa dal sospetto di illegittimità costituzionale, la Consulta ha proceduto all'unica ortopedia interpretativa praticabile. Posto che attraverso il richiamo alle previsioni contenute nell'art. 127, comma 5, c.p.p., l'art. 409, comma 6, c.p.p. riconosce espressamente la legittimazione della persona offesa a ricorrere per Cassazione contro l'ordinanza di archiviazione pronunciata nonostante il mancato avviso della data dell'udienza e, tenendo conto dell'esigenza, avvertita dal legislatore, di disciplinare l'archiviazione come istituto unitario, a prescindere dalla diversità delle cadenze procedimentali e della tipologia del provvedimento conclusivo, la Corte costituzionale ha escluso la sussistenza di ostacoli per ritenere che nella disposizione richiamata sia ricompresa anche l'ipotesi di omissione dell'avviso di cui all'art. 408, comma 2, c.p.p. (Corte cost. 353/1991). Interpretando estensivamente il disposto dell'art. 409, comma 6, c.p.p., si è dunque affermata l'impugnabilità del decreto di archiviazione ma solo in quelle situazioni che possono dar luogo alla compressione variamente determinata del diritto al contraddittorio della persona offesa (ad esempio, omessa notifica dell'avviso alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta; decreto di archiviazione pronunciato prima dell'avvenuta notifica all'offeso della richiesta di archiviazione o in pendenza del termine di dieci giorni assegnato per la proposizione di un eventuale atto di opposizione). Resta escluso, invece, che la persona sottoposta alle indagini possa proporre ricorso per Cassazione, anche sotto il profilo dell'abnormità, contro il decreto con cui il Gip disponga l'archiviazione del procedimento (Cass. pen., Sez. VI, 5 marzo 2013, n. 27730). Ponendosi lungo il solco di questo indirizzo, la suprema Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso. La soluzione prospettata dalla Corte di cassazione si inquadra nella cornice disegnata da quell'orientamento che valorizza la natura "neutra" del provvedimento di archiviazione e, dunque, quella correlazione alla insussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione penale che rende l'atto insuscettibile di pregiudicare gli interessi della persona sottoposta alle indagini (Cass. pen., Sez. I, 23 febbraio 1999, Bentivegna). Nell'economia della soluzione adottata, tuttavia, quel che più conta è che, in ogni caso, non sarebbe consentita alcuna doglianza in ordine alla motivazione del provvedimento di archiviazione circa l'intervenuta prescrizione del reato; è pacifico, infatti, che a fronte del proposito abdicativo manifestato dal P.M. per intervenuta prescrizione, il giudice non abbia il dovere di motivare in ordine alla insussistenza di prove favorevoli all'indagato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Il momento applicativo di tale ultima norma è collocato in ogni stato e grado del processo e non già del procedimento; essa, pertanto, non opera nella fase delle indagini preliminari (Cass. pen., Sez. IV, 11 febbraio 2009, P.M. in proc. Martelli; Cass. pen., Sez. VI, 26 ottobre 2005 n. 45001; Cass. pen., Sez. I, 1 febbraio 1991, P.M. in proc. Ermeti) con l'ulteriore conseguenza che sarebbe abnorme la sentenza con cui il giudice, richiesto dell'emissione del decreto di archiviazione, prosciogliesse l'indagato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, 11 febbraio 2009, P.M. in proc. Martelli). Osservazioni
Ancorando l'obbligo dell'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità ad ogni stato e grado del processo, il legislatore ha subordinato l'operatività dell'istituto di cui all'art. 129 c.p.p. all'esercizio dell'azione penale precludendone, di conseguenza, l'applicazione nella fase delle indagini preliminari. Secondo autorevole dottrina, tuttavia, poiché i presupposti dell'archiviazione corrispondono alla tipologia del proscioglimento, anche le priorità logiche sono le medesime ed è per questo che – si afferma – sbaglia chi archivi considerando estinto un reato non asseribile sul piano storico o in iure" (Cordero, sub Art. 411 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, Torino, 1992, 492). L'opinione prevalente, tuttavia, muovendo dal presupposto che l'impostazione prescelta precluda l'operatività della regola di prevalenza sancita dall'art. 129, comma 2, c.p.p., al contrario ritiene che a fronte di una richiesta di archiviazione avanzata per estinzione del reato, il Gip non sia tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti per poter eventualmente disporre l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato o comunque a motivare sulla insussistenza di prove favorevoli all'indagato. Quest'ultimo punto si spiega considerando non consentita una motivazione in malam partem in un contesto in cui, una volta assicurato il contraddittorio, non possono in alcun modo essere oggetto di censura le valutazioni espresse dal giudice a sostegno del provvedimento di archiviazione. È per questa ragione, del resto, che deve considerarsi abnorme il provvedimento con cui il giudice faccia precedere alle indicazioni del motivo formale per il quale è stata disposta l'archiviazione, una motivazione sostanziale concernente la configurabilità del reato e la responsabilità dell'indagato in ordine ad esso (Cass. pen., Sez. I, 23 febbraio 1999, Bentivegna]. Guida all'approfondimento
CAPRIOLI, L'archiviazione, Napoli 1994; GIOSTRA, L'archiviazione, Torino, 1994. |