L'ultimo approdo della suprema Corte in materia di cause ostative al c.d. scudo fiscale ter

08 Marzo 2017

Quali sono le condizioni in presenza delle quali la particolare procedura del c.d. scudo fiscale ter, disciplinata dall'art. 13-bis, d.l. 78/2009, conv. in l. 102 del 2009, può determinare la non punibilità per pregressi illeciti fiscali o, in caso contrario, quali sono le cause ostative all'operabilità dell'istituto stesso?
Massima

L'adesione alla procedura per il rimpatrio dei capitali c.d. scudati, di cui all'art. 13-bis, d.l. 78 del 2009 – possibile solo in relazione ai procedimenti non ancora iniziati alla data del 3 agosto 2009 – determina l'esclusione della punibilità per i reati tributari solo con il pagamento dell'imposta e non con la mera dichiarazione riservata, sempre che alla data di presentazione di tale dichiarazione le violazioni non siano già state contestate e non siano comunque già iniziate attività di indagine e/o di accertamento.

Il caso

Il caso oggetto della sentenza in commento trae origine dal ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rimini avverso l'ordinanza con la quale il tribunale del riesame aveva disposto la revoca del sequestro preventivo di beni (mobili, immobili e quote societarie) emesso dal Gip a carico di due imprenditori, imputati del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2 del d.lgs. 74/2000, disponendone la restituzione agli aventi diritto.

I giudici del riesame avevano ritenuto che l'avvio di una verifica fiscale, per essere ostativo al valido accesso al c.d. scudo fiscale ter di cui al d.l. 78 del 2009, conv. in l. 102 del 2009, sarebbe dovuto avvenire entro il 3 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge di conversione, così come disposto dall'art. 13-bis del predetto decreto; di conseguenza, giacché nel caso di specie la verifica fiscale a carico degli imputati era iniziata solo successivamente alla data di entrata in vigore di tale legge, questa circostanza avrebbe comportato la non punibilità penale degli interessati che si sarebbero legittimamente avvalsi della disciplina premiale solo presentando le relative dichiarazioni riservate prescritte dalla legge.

Ad avviso della parte ricorrente, invece, l'ordinanza impugnata aveva omesso di prendere in considerazione l'esistenza di alcune cause ostative alla fruizione dei benefici derivanti dall'adesione allo scudo fiscale, per i fatti successivi alla data del 3 agosto 2009, che avrebbero impedito il perfezionamento del procedimento per accedere al beneficio.

In particolare, la procura rilevava che essendo già iniziata un'attività di controllo nei confronti degli imputati alla data di presentazione delle loro dichiarazioni riservate, ciò era di ostacolo all'accessibilità al regime premiale, salvo che gli stessi non avessero pagato un'imposta straordinaria sulle somme dichiarate.

Secondo la disciplina in materia, infatti, il rimpatrio delle attività non avrebbe potuto produrre i benefici previsti, ove, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni fosse già stata constatata o comunque fossero iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento, tributario o contributivo, di cui gli interessati avevano avuto formale conoscenza.

Dunque, non essendo stata pagata alcuna imposta straordinaria, il procuratore della Repubblica chiedeva l'annullamento dell'ordinanza di dissequestro.

La questione

Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rimini, con il ricorso avverso l'ordinanza di dissequestro emessa dal tribunale del riesame, ha posto all'attenzione della Corte di cassazione un'importante questione, invitando i giudici di legittimità a fare chiarezza circa le condizioni alla presenza delle quali la particolare procedura del c.d. scudo fiscale ter, disciplinata dall'art. 13-bis, d.l. 78/2009, conv. in l. 102 del 2009, possa determinare la non punibilità per pregressi illeciti fiscali o, in caso contrario, quali siano le cause ostative all'operabilità dell'istituto stesso.

Le soluzioni giuridiche

Con una motivazione sintetica ma, allo stesso tempo, carica di contenuti, i giudici di legittimità analizzano la complessa normativa dell'istituto del c.d. scudo fiscale ter, al fine di rispondere al quesito posto dalla Procura della Repubblica.

Lo scudo fiscale, o meglio, il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato è disciplinato dall'art. 13-bis del d.l. 78/2009, conv. in l. 102/2009, che consente, attraverso il pagamento di un'imposta straordinaria, il rimpatrio ovvero la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali esportate o detenute fuori dal territorio dello Stato in violazione degli obblighi valutari e tributari sul monitoraggio fiscale (d.l. 167/1990) alla data del 31 dicembre 2008; il rimpatrio o la regolarizzazione così effettuate non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria civile, amministrativa o tributaria, in via autonoma o addizionale, con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (ovvero al 3 agosto 2009).

Tale imposta si applica sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 e rimpatriate ovvero regolarizzate a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 15 dicembre 2009, e il suo effettivo pagamento esclude la punibilità per i reati tributari in relazione alla disponibilità delle attività finanziarie fatte emergere con una dichiarazione riservata agli intermediari finanziari, ai sensi degli artt. 14, d.l. 350/2001 e art. 8, comma 6, lett. c), l. 289/2002.

La Corte rileva, tuttavia, che la normativa in parola prevede anche altre cause ostative all'operabilità dello scudo fiscale quale causa di non punibilità dei reati tributari, come nel caso in cui, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, siano già state constatate delle violazioni tributarie o siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati abbiano avuto formale conoscenza.

Alla luce di questo articolato quadro normativo, i giudici di legittimità evidenziano come l'esclusione della punibilità per i reati tributari, in caso di rimpatrio di capitali c.d. scudati, si perfezioni con il pagamento dell'imposta e che il rimpatrio non produce effetti estintivi della punibilità quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, le violazioni penali siano già state constatate o, comunque, siano già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati abbiano avuto formale conoscenza.

Nel caso di specie, poiché il procedimento penale non era ancora iniziato alla data dell'entrata in vigore del decreto legge sullo scudo fiscale, gli imputati avrebbero potuto perfezionare il rimpatrio e la regolarizzazione delle attività solo attraverso l'effettivo pagamento dell'imposta straordinaria e non con la mera presentazione della dichiarazione riservata, come gli stessi avevano fatto, perché prima di tale momento era già in corso un'attività ispettiva nei loro confronti.

La Corte di cassazione precisa in motivazione che l'inciso con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione de presente decreto, contenuta nell'art. 13-bis, comma 3,d.l. n. 78/2009, non sancisce l'automatico perfezionamento dello ‘scudo fiscale' in favore di tutti i soggetti nei cui confronti non siano iniziati procedimenti penale e/o amministrativi, ma delimita soltanto l'ambito temporale dello ‘scudo', al quale è impossibile aderire nel caso in cui i procedimenti di accertamento siano già iniziati alla data del 3 agosto 2009.

Di conseguenza, nel caso di procedimenti iniziati successivamente a tale data, l'adesione allo scudo determina l'effetto estintivo della punibilità soltanto qualora venga perfezionato il pagamento dell'imposta straordinaria – non con la mera dichiarazione riservata – e non siano iniziate attività di indagine e/o accertamento.

Pertanto, avendo constatato che le dichiarazioni riservate erano state presentate tutte in un momento successivo all'inizio delle attività di indagine ostative al perfezionamento dello scudo fiscale – che comunque non si è perfezionato, non essendo stata pagata l'imposta straordinaria – la suprema Corte ha accolto il ricorso della procura della Repubblica, non ravvisando la ricorrenza dei presupposti per escludere la punibilità del reato di cui all'art. 2 del d.lgs. 74/2000, e ha annullato l'ordinanza impugnata con rinvio della decisione al giudice di merito.

Osservazioni

Nonostante il chiarimento effettuato dalla Corte di cassazione nella pronuncia in commento, il tema delle cause ostative all'operatività del c.d. scudo fiscale ter, di natura sia amministrativa che penale,merita un ulteriore approfondimento, stante il ricorso del Legislatore alla tecnica normativa del rinvio nella formulazione dell'art. 13-bis, d.l. 78/2009, rinvio compiuto, tuttavia, senza aver cura né dell'esatta determinazione del suo oggetto e, quindi, del contenuto della norma, né delle possibili incertezze interpretative derivanti proprio dall'indeterminata definizione del dettato normativo.

Il problema è aggravato, inoltre, dal fatto che la disciplina in questione rappresenta il risultato di stratificazioni normative successive.

Procedendo con ordine, nella sua prima formulazione normativa, l'art. 13-bis disciplinava lo scudo fiscale attraverso l'univoco richiamo alle modalità̀ previste, fra gli altri, dall'art. 14, d.l. 350/2001, che al comma 1, lett. c) prevedeva la prima forma di scudo fiscale per i delitti di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. 74/2000.

Tale norma, al comma 7, stabiliva che il rimpatrio non produceva gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati fosse già̀ stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati avessero avuto formale conoscenza.

Nell'originaria disciplina del c.d. scudo fiscale ter, dunque, la causa ostativa penale, mutuata dall'originario impianto dello scudo fiscale del 2001, consisteva nella formale conoscenza da parte del dichiarante della pendenza del procedimento penale per taluno dei reati menzionati dallo stesso art. 14.

Concretamente, ciò̀ significava che la produzione degli effetti giuridici dello scudo fiscale (fra i quali proprio la non punibilità̀ di determinati reati) era impedita nel momento in cui l'interessato avesse avuto formale – ossia, rituale – conoscenza della pendenza del procedimento penale relativo a una delle figure di reato suscettibili di essere dichiarate non punibili.

Ciò poteva accadere, ad esempio, attraverso la notifica all'indagato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p., o attraverso altri atti processuali penali dal contenuto equipollente e precedenti al predetto avviso, come nel caso in cui fosse disposta attività̀ di ricerca degli elementi di prova, come la perquisizione e il sequestro, oppure con l'intervento della notifica dell'informazione di garanzia ai sensi dell'art. 369 c.p.p., atti che pure menzionano l'ipotesi di reato per cui si procede, con la conseguenza di anticipare di molto l'intervento della causa ostativa penale.

La presentazione dell'emendamento Fleres e la conversione in legge, con modifiche, del d.l. 78/2009 hanno mutato l'originario impianto normativo, attraverso l'introduzione di un ulteriore rinvio ad altro testo normativo.

L'art. 13-bis, comma 4, secondo periodo, infatti, prevede ora che l'effettivo pagamento dell'imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità̀ penale delle attività rimpatriate o regolarizzate, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 8, comma 6, lett.c), della l. 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni.

A sua volta, tale norma stabilisce che l'esclusione della punibilità per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10,d.lgs. 74/2000, nonché́ per i reati previsti dagli artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 c.p., nonché́ dagli artt. 2621, 2622 e 2623 c.c., quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria, non si applica in caso di esercizio dell'azione penale della quale il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa.

Questo duplice rinvio pone all'interprete il problema di comprendere quale fra le cause ostative comunque richiamate dall'art. 13-bis sia oggi operante: se quella prevista dall'art. 14, comma 7, d.l. 350/2001 – consistente nella formale conoscenza dell'avvio del procedimento penale –, oppure quella prevista dall'art. 8, comma 6, lett.c), l. 289/2002 – che si realizza attraverso la formale conoscenza dell'esercizio dell'azione penale.

La soluzione del problema ha una notevole rilevanza pratica giacché, nella maggioranza dei casi, il procedimento penale per un reato tributario sorge a seguito di una verifica fiscale, per cui è agevole ritenere che l'interessato alla definizione venga raggiunto da una causa ostativa di carattere amministrativo, quale l'accesso, l'ispezione, la notifica del questionario o un'altra attività̀ di accertamento, prima ancora dell'apertura del procedimento penale.

In tal caso, la causa ostativa penale, intervenendo successivamente a quella amministrativa, dovrebbe perdere rilevanza nel caso in cui si ritenga che le cause ostative di carattere amministrativo possano esprimere efficacia preclusiva anche rispetto agli effetti penali della definizione.

Sul piano teorico, occorre allora chiedersi se la produzione degli effetti dello scudo fiscale sia condizionata al mancato intervento della sola causa ostativa di natura penale, oppure se l'intervento di una causa ostativa amministrativa sia in grado di impedire la realizzazione degli effetti penali.

L'art. 14, comma 7, d.l. 350/2001, distingue la preclusione degli effetti tributari da quella concernente gli effetti penali prescrivendo che il rimpatrio delle attività̀ non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già̀ constatata o comunque sono già̀ iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività̀ di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza e che il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già̀ stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza.

Tale norma, dunque, mentre nella sua prima parte menziona genericamente gli effetti di cui al presente articolo, accostandovi, quale elencazione delle cause ostative di carattere tributario, la constatazione, l'inizio di accessi, ispezioni e verifiche, o altre attività̀ di accertamento tributario e contributivo, nella sua seconda parte si limita a prendere in considerazione gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c) – ossia, gli effetti penali – associandovi la formale conoscenza dell'avvio del procedimento penale, quale causa ostativa di carattere penale.

Anche il comma 4 dell'art. 13-bis,d.l. 78/2009, è strutturato secondo la stessa impostazione: nella sua prima parte richiama gli effetti di cui agli artt. 14 e 15 del d.l. 350/2001, mentre nella seconda parte stabilisce che fermo quanto sopra previsto, e per l'efficacia di quanto sopra, l'effettivo pagamento dell'imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità̀ penale, limitatamente al rimpatrio e alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l'applicazione della disposizione di cui al già vigente art. 8, comma 6, lett. c), della l. 289/2002, e successive modificazioni.

Di conseguenza, anche tale disposto normativo tiene separata la disciplina della preclusione degli effetti tributari da quella degli effetti penali della definizione.

Così strutturata la disciplina, si può quindi ritenere che l'intervento di una causa ostativa amministrativa non costituisca preclusione rispetto alla produzione degli effetti esclusivamente penali della definizione, e viceversa.

Di conseguenza, si realizza un fenomeno di disallineamento delle conseguenze derivanti dallo scudo fiscale, a seconda della tempistica delle distinte notifiche di atti di accertamento tributario o di atti processuali penali.

A questo eventuale disallineamento corrisponde l'esigenza di considerare, ai fini della produzione degli effetti penali della definizione agevolata, esclusivamente la causa ostativa penale, atteso che l'intervento di quelle amministrative, ancorché pregiudizievoli ai fini tributari, non impedirebbe agli effetti penali di dispiegarsi.

Ci sono, poi, dei casi in cui il procedimento penale per reato tributario sorge autonomamente, a prescindere dalla verifica fiscale, come ad esempio quando sia pendente un procedimento o un processo per reato societario o fallimentare, nel cui ambito emerga l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, prima sconosciuto al Fisco, ovvero l'adozione di artifici contabili, che abbiano avuto l'effetto di deprimere l'imponibile.

In questi casi, la coesistenza delle due cause ostative penali – quella disciplinata dal d.l. 350/2001, e quella introdotta successivamente, mutuata dalla disciplina dei condoni – comporta conseguenze di notevole rilievo: infatti, l'esercizio dell'azione penale si pone in un momento successivo alla conclusione delle indagini preliminari, sicché́, se si dovesse ammettere che la causa ostativa oggi operante fosse quella già̀ prevista in tema di condono, si dovrebbe allora ritenere che non possa configurare causa ostativa allo scudo fiscale la mera pendenza del procedimento penale della quale l'interessato abbia avuto formale conoscenza.

Si è già detto che le modifiche intervenute in sede di conversione del d.l. 78/2009 hanno comportato la suddivisione del comma 4 dell'art. 13-bis in due periodi distinti.

Il primo periodo stabilisce che l'effettivo pagamento dell'imposta produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui all'articolo 17 del d.l. 350/2001; il secondo periodo, invece, è espressamente dedicato alla materia dell'esclusione della punibilità penale, ed è disciplinato con il rinvio all'art. 8, comma 6, lett. c), della L. 289/2002.

Se ne deduce che, dopo le modifiche intervenute con la conversione in legge del decreto, tutta la materia penale relativa allo scudo fiscale è disciplinata soltanto dalla norma sul condono di cui all'art. 8 della l. 289/2002.

Ciò è avvalorato anche dal rapporto fra norma precedente e norma successiva: l'assetto precedente della disciplina è stato oggetto di una modifica che ha comportato l'introduzione di una nuova disciplina, incompatibile con quella precedente e, per questo, da applicarsi in via esclusiva in luogo della norma precedente.

In conclusione, la causa ostativa penale consiste esclusivamente nell'esercizio dell'azione penale della quale l'interessato abbia avuto formale conoscenza.