Meno facile procedere a sequestro preventivo di somme di denaro
08 Settembre 2016
Massima
In tema di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (e di ritenute operate sulla retribuzione dei dipendenti) il profitto del reato consiste nel corrispondente risparmio di spesa ed, in particolare, nelle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente alla data di scadenza del termine per il pagamento e non versate. Ne consegue che il sequestro, per essere qualificato come finalizzato alla confisca diretta del denaro costituente il profitto del reato omissivo, non può mai essere disposto, né essere eseguito, per importi comunque superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari o postali di cui il contribuente disponeva la scadenza del termine per il pagamento Il caso
Nell'ambito di un procedimento per omesso versamento degli acconti Iva di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000, veniva disposto il sequestro preventivo diretto dei saldi attivi giacenti sul conto corrente intestato al contribuente indagato, nonché il sequestro degli eventuali titoli di credito e fondi che fossero anche successivamente affluiti sui medesimi rapporti finanziari; veniva altresì disposto, ma solo in caso di incapienza di quanto giacenti sui conti correnti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni mobiliari ed immobiliari intestati all'imputato. Successivamente, in sede di riesame il predetto decreto di sequestro era annullato in parte, sostenendosi che parte delle somme oggetto del provvedimento ablatorio erano già costituite in pegno irregolare a garanzia dell'anticipazione concessa dalla banca al correntista e quindi non sottoponibili a sequestro in sede penale; per il resto il sequestro era confermato. Veniva presentato ricorso per cassazione – per quanto di interesse in questa sede – dalla procura inquirente, la quale, premessa la natura diretta della confisca cui era finalizzato il sequestro preventivo del denaro, costituente profitto del reato sotto il profilo del risparmio di spesa, lamentava che il provvedimento impugnato avesse escluso tale natura sulla base della contraddittoria osservazione secondo cui le somme destinate al pagamento dell'Iva e confluite sul conto erano già state vincolate a mezzo di pegno irregolare a vantaggio dell'istituto di credito presso cui era aperto il conto corrente. Secondo gli investigatori, invece, l'esistenza di diritti reali di garanzia non escluderebbe la possibilità di assoggettare a sequestro diretti i beni gravati da pegno, senza poi considerare che sul conto in questione erano confluite nel tempo anche somme non vincolate e dunque a totale disposizione della società. La questione
La questione portata all'attenzione della suprema Corte era di particolare rilievo, in quanto solo apparentemente la stessa concerneva la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo finalizzato alla confisca beni gravati da diritti reali di garanzia a vantaggio di terzi. Di contro, il tema centrale su cui la Cassazione doveva pronunciarsi atteneva invece alla natura del sequestro preventivo che abbia ad oggetto somme di denaro ed in particolare doveva stabilirsi se un provvedimento cautelare di questo tipo debba senz'altro essere qualificato come sequestro in via diretta o non possa assumere anche le forme del sequestro per equivalente. Il dibattito origina dalla nota decisione delle Sezioni unite 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert, intesa a definire il contrasto attinente la possibilità di applicare – a seguito della previsione di cui all'art. 1, comma 143, l. 244 del 2007 - l'art. 322- ter c.p. e l'istituto della confisca di valore a tutte le fattispecie incriminatici contemplate dal d.lgs. 74 del 2000 allorquando l'evasione fiscale, realizzata ovviamente da una persona fisica, riguardasse però redditi prodotti da una società. Infatti, posto che la confisca di valore può aggredire solo beni di cui il responsabile dell'illecito ha la disponibilità, si dubitava della possibilità di far ricorso a tale istituto allorquando si fosse in presenza di uno sdoppiamento tra l'autore del fatto – ovvero l'amministratore della persona giuridica – ed il soggetto nel cui patrimonio viene a maturare il profitto conseguito a mezzo del reato – ovvero la società che ha evaso l'imposta (in giurisprudenza v. Casspen.., Sez. IV, 4 ottobre 2011, n. 11121; Cass.pen., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731; Cass.pen., Sez. III, 1 dicembre 2010, n. 662; trib. Foggia, 27 dicembre 2010, Gip Protano in Dir. pen. cont. Contra, Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2013, n. 42350) Secondo le Sezioni unite, infatti, andrebbe fatta una differenziazione fra il sequestro diretto del profitto di reato ed il sequestro per equivalente e solo la seconda tipologia di provvedimento cautelare non potrebbe essere assunta nei confronti di una persona giuridica quando il reato tributario sia stato realizzato dal suo amministratore o legale rappresentante: nel caso di sequestro in forma specifica, invece, la società non viene privata di beni equivalenti al profitto da lei ottenuto a seguito della commissione del reato ma la confisca colpisce proprio il medesimo profitto conseguente alla realizzazione dell'illecito, con la conseguenza che in tali ipotesi deprivando l'ente del profitto che esso ha ottenuto si rimedia ad una sorta di guadagno ingiusto, ovvero – come la decisione Gubert in parola – la confisca del denaro serve a ricostruire l'ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima locupletazione per l'ente, ad "obiettivo" vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante (sulla pronuncia delle Sezioni unite, cfr. CORSO; SOANA; CARDONE - PONTIERI). La decisione in parola presentava però un punto critico, rappresentato dal fatto che secondo la Cassazione, laddove il profitto del reato consiste in somme di denaro o in altri beni fungibili, il sequestro preventivo assumerebbe sempre la natura – non di confisca per equivalente, ma – di confisca diretta e quindi lo stesso sarebbe senz'altro adottabile anche nei confronti di una società in relazione ad illeciti tributari commessi dalla persona fisica che l'amministra e la dirige. È parso subito evidente come questa affermazione di fatto determinasse il venir meno di ogni difficoltà di disporre un sequestro preventivo nel caso in cui, come detto, l'illecito tributario fosse commesso da una persona fisica per conto e nell'interesse di una società. Infatti, una volta affermato che 1) laddove il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro la confisca sarà sempre quella diretta e che – come espressamente si legge nella decisione in commento – 2) in caso di sequestro di somme di denaro corrispondenti al prezzo dell'illecito fiscale il provvedimento cautelare non assume forma di sequestro per equivalente ma di sequestro in forma specifica (in quanto l'adozione del sequestro di una somma di denaro non richiede la verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare), ne consegue che è sempre possibile il sequestro degli illeciti tributari commessi dall'amministratore di una società a vantaggio di questa. Infatti, il profitto ricavabile dagli illeciti fiscali è sempre rappresentato da una somma di denaro (specie considerando che tale profitto può consistere anche nel risparmio di spesa derivante in capo alla società dal mancato pagamento dell'imposta) e quindi, nell'ipotesi al nostro esame, sarebbe sempre possibile procedere contro il patrimonio della persona giuridica per illeciti tributari commessi da un suo rappresentante nell'interesse della società. Infatti, nei casi di illecito tributario il provvedimento cautelare, avendo ad oggetto somme di denaro, sarà sempre in forma specifica e quindi nulla osta a che esso sia assunto nei confronti di una persona giuridica, anche se la violazione tributaria è stata commessa dal rappresentante o amministratore. Insomma, dopo la decisione delle Sezioni unite la materia poteva dirsi governata dal seguente principio: nei reati tributari commessi da una persona fisica per conto e nell'interesse di un ente collettivo il sequestro di somme di denaro in capo alle società, per un importo (quanto meno) pari all'imposta evasa è sempre ammissibile (per una riflessione più ampia, si veda SANTORIELLO, Confiscabilità “limitata” dei beni della società per i reati commessi dall'amministratore. In questo senso, espressamente Cass.pen., Sez. III, 7 maggio 2014, n. 37191, secondo cui nel caso in cui il profitto del reato sia rappresentato da denaro la confisca di somme rinvenute nella disponibilità del soggetto che lo ha percepito avviene, alla luce della fungibilità del denaro, sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per equivalente). Osservazioni
Con la decisione in parola, la Cassazione argina l'”effetto espansivo” dalla sentenza Gubert e cerca di ridimensionarne la portata, non aderendo alla posizione secondo cui non si sarebbe mai in presenza di un sequestro per equivalente quando il provvedimento cautelare abbia ad oggetto somme di denaro. La pronuncia ci pare acutamente argomentata giacché essa, da un lato aderisce ad un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui nell'ambito dei reati tributari il profitto può consistere anche nel risparmio di spesa corrispondente al mancato decremento del patrimonio del debitore che non adempie tempestivamente all'obbligazione tributaria ma dall'altro – proprio aderendo a tale impostazione – evidenzia come il denaro di cui il contribuente sia venuto a disporre dopo la consumazione dell'illecito tributario (ovvero con riferimento a quanto accade nella maggior parte dei casi, le somme di denaro che confluiscono sul conto corrente del privato dopo la scadenza del termine per il pagamento delle imposte) non possa essere ritenuto profitto del reato fiscale, ma unità di misura equivalente al debito tributario scaduto e non onorato, rispetto alla quale quindi non è possibile parlare sequestro o confisca in via diretta ma solo di sequestro o confisca per equivalente con tutte le conseguenze che ne derivano. Sulla base di queste argomentazioni, la Corte di legittimità giunge ad una conclusione, in tema di sequestro e confisca di somme di denaro, decisamente più soddisfacente rispetto alle tesi accolte dalle Sezioni unite Gubert. La circostanza che il denaro sia un bene fungibile non consente di sostenere che qualsiasi somma detenuta dal contribuente dopo la consumazione del delitto tributario possa essere considerata quale profitto di tale reato ed essere così attinta da un sequestro o da una confisca in via diretta: posto che il profitto dei reati fiscali è rappresentato dal risparmio di imposta è necessario provare che la disponibilità della somma successivamente sequestrata costituisca essa stessa risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell'imposta o che si tratti di liquidità rimasta nella disponibilità del contribuente per tutto il tempo che va dalla scadenza del termine (momento di perfezionamento del reato) alla data di esecuzione del sequestro. Si noti infine come tali conclusioni – che contrastano con la più volte citata decisione delle Sezioni unite del 30 gennaio 2014, Gubert – non contraddicono invece quanto asserito dalle Sezioni unite con la decisione del 26 giugno 2015, n. 31617, Lucci. Tale decisione infatti ammise la possibilità di procedere a sequestro – e poi confisca – in via diretta anche con riferimento a somme di cui l'indagato non aveva la disponibilità al momento del perfezionamento del fatto di reato ma tale conclusione si giustificava in considerazione del fatto che nel caso deciso con la sentenza n. 31617/2016 menzionata il reato per cui si procedeva era produttivo di un profitto – non consistente in un mero risparmio di spesa, ma – accrescitivo del patrimonio dell'indagato e quindi non vi era alcuna necessità di accertare se la massa percepita quale profitto o prezzo dell'illecito [fosse] stata spesa, occultata o investita in quanto in quel caso era l'esistenza stessa del numerano comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l'oggetto da confiscare, senza che assum[essero] rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario. Invece, quando – come per l'appunto si verifica nei reati tributari – il profitto del delitto è rappresentato da risparmio di spesa, il patrimonio del contribuente infedele (ed in particolare la consistenza dei suoi depositi di conto corrente) non subisce alcun incremento, ché anzi, come detto, quelli successivi alla perfezione del reato non possono nemmeno essere definiti profitto vero e proprio, per la totale assenza di qualsiasi derivazione diretta o indiretta con l'omesso versamento delle imposte. CARDONE – PONTIERI, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni della società per delitti tributari commessi dal legale rappresentante, in Riv. Dir. Trib., 2014, 3, 53;
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