Estinzione per prescrizione vs non punibilità per particolare tenuità
09 Marzo 2016
Massima
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non configura un'ipotesi di abolitio criminis. La lettura del combinato disposto degli articoli 2, comma 2, c.p. e art.673 c.p.p. evidenzia che, qualora ricorrano i presupposti della norma prevista dall'art. 131-bis c.p., il fatto è pur sempre qualificabile e qualificato dalla legge come reato, stante altresì l'efficacia di giudicato nei giudizi civili ed amministrativi attribuita dal art. 651-bis c.p.p. della sentenza dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, anche in merito all'accertamento della sua illiceità penale.
La declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sull'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., sia perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché il primo di essi estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica. Il caso
Al ricorrente veniva contestato il reato previsto dal d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, art. 44, comma 1, lett. c) perché, in qualità di comproprietario, in assenza del permesso di costruire, realizzava abusivamente, in aderenza ad un preesistente fabbricato, un pollaio consistente in un manufatto edilizio a pianta rettangolare delle dimensioni lorde di metri 4,20 per metri 2,65 ed avente struttura portante verticale costituita da muratura perimetrale in tufo, dello spessore di cm 27 e struttura orizzontale costituita da 4 travi in legno con sovrastante copertura di pannelli in lamiera zincata con copertura a falda unica. Il tribunale lo condannava alla pena di venti giorni di arresto ed euro 3.600,00 di ammenda, la Corte di appello confermava la sentenza di primo grado. L'imputato ricorre in Cassazione e tramite il difensore articola i due motivi di gravame.
La Corte, con la sentenza in commento dichiara inammissibile il primo motivo, mentre ritiene fondato il secondo ed ancora una volta conferma che: l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p. ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità. I giudici di legittimità evidenziano la rilevabilità d'ufficio ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p., della sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto e, in caso di valutazione positiva, dispongono l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito. La questione
Le questioni in esame sono plurime:
Le soluzioni giuridcihe
Dalla interpretazione della motivazione della sentenza, la tardività della cessazione dell'attività illecita impedisce l'applicabilità della particolare tenuità del fatto. L'incipit della parte motiva è immediatamente intellegibile, “l'applicabilità è preclusa quando la permanenza non sia cessata, a cagione della perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.” Il percorso argomentativo della Corte, che sembrerebbe deporre per una concreta applicazione dell'istituto ai reati permanenti per i quali sia cessata la permanenza, distinguendo e sottolineando la diversità tra il reato permanente e il comportamento abituale del reo – quest'ultimo ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis c.p. – incontra una brusca battuta di arresto dinanzi ad un nuovo concetto di matrice squisitamente giurisprudenziale, il vaglio del tutto discrezionale da parte dei giudici di merito sulla tardività della cessazione della permanenza. Ora se l'art. 131-bis c.p., introdotto con il d.lgs. 28/2015 stabilisce al primo comma che, nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p., l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale - le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo - , sono gli elementi tassativi indicati espressamente dal legislatore.Nella sentenza analizzata invece, la Corte introduce quale elemento nuovo di disamina discrezionale e motivo ostativo all'applicazione dell'istituto deflattivo, la tardività della cessazione della permanenza. Una interpretazione quest'ultima che opererebbe una sensibile restrizione di applicazione dell'istituto della particolare tenuità con un inevitabile arresto o riduzione degli effetti positivi in termini di economia processuale ed efficacia deflattiva ed una ologenesi rispetto al tenore letterale della norma. Il tentativo della Corte è quello di esaltare il concetto della tardività della cessazione della permanenza, semplificando il ragionamento motivazionale ed ancorando l'attenzione non sui principi del sistema normativo e delle categorie generali, ma sul caso di specie e sulla condotta dell'imputato immediatamente successiva all'inizio delle indagini e si sostiene che, avendo l'imputato eliminato l'opera abusiva dopo l'accertamento dell'abuso da parte della polizia locale e ripristinato lo stato dei luoghi, egli avrebbe fornito prova non solo della eliminazione delle conseguenze del reato, ma della tempestiva cessazione della permanenza (aggravando in questo modo l'onere probatorio in capo alla difesa) Volendo quindi sussumere dal caso concreto l'indicazione e l'interpretazione giurisprudenziale che offre la Corte, ne discende che per le fattispecie contravvenzionali in materia edilizia e per tutti i reati a carattere permanente, la preclusione alla applicazione dell'istituto previsto dall'art. 131-bis c.p. opererebbe ogniqualvolta il giudice ritenga discrezionalmente, che la cessazione della permanenza sia tardiva. Questo passaggio della sentenza appare eccessivamente sintetico e non condivisibile, perché snatura non solo l'istituto della non punibilità per particolare tenuità, ma subordina elementi e presupposti della fattispecie ad una eccessiva discrezionalità dell'operatore giuridico. Rapporti tra particolare tenuità e prescrizione del reato. La sentenza in commento offre invece un efficace contributo interpretativo in tema di prescrizione del reato, mettendo a confronto gli effetti dell'istituto della particolare tenuità del fatto con quelli della estinzione del reato per prescrizione e, sottolinea la prevalenza della declaratoria di estinzione per prescrizione sulla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, atteso che la causa di estinzione non produce conseguenze in capo all'imputato, mentre effetti anche particolarmente lesivi derivano dall'applicazione dell'art. 131-bis c.p. Osservazioni
A distanza di poco meno di un anno dall'introduzione della causa atipica di non punibilità per particolare tenuità del fatto, la giurisprudenza ha progressivamente delineato non solo quelli che sono i presupposti giuridici per l'applicazione dell'istituto ma ha costantemente evidenziato il collegamento con fattispecie penali sia sostanziali che processuali, definendone il perimetro e quella che sembrava ad una prima lettura, una norma destinata a tagliare i processi con intento deflattivo, in realtà ha mostrato particolari criticità. La particolare tenuità del fatto è si una causa di non punibilità ma del tutto atipica, con la sua applicazione si accerta comunque la sussistenza del reato, la attribuibilità del medesimo fatto all'imputato, la sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell'art. 131-bis c.p. farà stato nei giudizi civili ed amministrativi e comunque sarà inserita sul certificato del casellario giudiziale. L'elemento che rende l'istituto uno strumento deflattivo ed in qualche maniera vantaggioso per il soggetto sottoposto a procedimento, è la rinuncia alla applicazione della sanzione penale in considerazione della sproporzione della pena, anche prossima al minimo edittale, rispetto all'esiguità del disvalore oggettivo. L'istituto risulta ulteriormente atipico perché è caratterizzato anche da situazioni, o fatti che derivano da accadimenti posteriori alla commissione di un reato, fatti che si legano alla condotta dell'agente e qui la valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice, sulla convenienza o meno della punizione, ma l'analisi del fatto deve essere saldamente ancorata agli elementi indicati dal legislatore tra i quali l'esiguità del disvalore oggettivo e non ad elaborazioni interpretative Quanto ai rapporti con l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, questa è disciplinata dagli artt. 157 - 161 c.p. e trova il suo fondamento sul venir meno dell'interesse dello Stato alla punizione del reo dopo un determinato lasso di tempo, commisurato alla gravità del reato e mira ad assicurare la durata ragionevole del processo penale, determinando conseguenze ed effetti del tutto diversi rispetto alla causa di non punibilità, posto che estingue il reato e non vi è alcun accertamento storico e giuridico del fatto e della responsabilità. La Corte con la sentenza in commento si spinge oltre e pone sotto i riflettori un dato di non poco conto e sottolinea che, nel caso in cui la prescrizione del reato non fosse maturata durante la celebrazione dei giudizi di merito, questa nonostante il trascorrere del tempo, non potrà comunque essere dichiarata dal giudice del rinvio a seguito dell'annullamento della sentenza da parte dei giudici di legittimità. Siamo quindi in presenza di un giudicato a formazione progressiva, atteso che (come nel caso in esame), una parte della sentenza assume il carattere della definitività –la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di impugnazione comporta l'accertamento definitivo del fatto e della responsabilità in capo al soggetto - mentre l'accoglimento del secondo motivo comporta l'annullamento di parte della sentenza con rinvio al giudice di merito per l'applicazione della causa di non punibilità. È chiaro che in fattispecie come quella che si esamina, la sentenza non assurge a provvedimento irrevocabile perché non passata in giudicato nella sua interezza, vi è un accertamento della responsabilità penale in una prima fase e l'irrogazione della pena in un distinto momento; I punti della sentenza che attengono alla affermazione della responsabilità acquisiscono rango di cosa giudicata e questo assunto impedisce di emettere sentenza per intervenuta prescrizione del reato (qualora il tempo sia maturato durante il vaglio del procedimento da parte della Corte di Cassazione). Il reato è stato accertato, giudicato e collegato in punto di responsabilità all'imputato, pertanto il fatto non può essere più suscettibile di riesame, mentre il rinvio al giudice di merito atterrà, esclusivamente sulla applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La valutazione in punto di strategia difensiva dovrà essere oltremodo attenta ed elaborata sulla base delle risultanze delle indagini e della fase in cui si trova il procedimento A titolo esemplificativo: a) la fase delle indagini preliminari, in ragione della modifica introdotta all'art. 411, comma 1, c.p.p., che aggiunge ai casi in cui il pubblico ministero deve chiedere l'archiviazione, l'ipotesi in cui la persona sottoposta alle indagini non sia punibile ex art. 131-bis c.p.p. per particolare tenuità del fatto; b) la fase dell'udienza preliminare, anche se non espressamente previsto, in ragione dell'applicabilità dell'art. 425 c.p.p. (se [...] si tratta di persona non punibile per qualsiasi altra causa il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo); c) la fase predibattimentale, come indicato dal comma 1-bis aggiunto all'art. 469 c.p.p.; d) la fase del dibattimento, come si evince dall'art. 651-bis c.p.p., che disciplina l'efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi della sentenza penale irrevocabile di proscioglimento; e) giudizio di appello e giudizio di legittimità; nonché sui reali vantaggi ed effetti che potranno prodursi in capo all'assistito. A seconda delle fasi, mutano sostanzialmente i presupposti e gli effetti dell'istituto, infatti rispetto alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto dichiarata con sentenza predibattimentale di non doversi procedere ex art. 469 c.p.p. e ai problemi di coordinamento tra il nuovo comma 1-bis e il comma 1, il legislatore si è limitato ad indicare che la sentenza va pronunciata previa audizione della persona offesa, questo per evitare che il potere di “veto”, attribuito dal comma 1 ai soggetti necessari del processo potesse essere esteso anche alla persona offesa, il cui dissenso invece, non ostacola la pronuncia. Le conseguenze negative della sentenza predibattimentale di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto sono ben diverse per l'imputato, rispetto alla persona offesa: la sentenza pronunciata ex art. 469, comma 1-bis, c.p.p. non fa stato nel processo civile ma viene iscritta nel casellario, con conseguenti effetti negativi per l'imputato – al quale sarebbe preclusa l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. nel caso commetta in futuro un reato della stessa indole – che potrebbe avere interesse alla celebrazione del dibattimento e ad una pronuncia assolutoria con formula a lui più favorevole. In caso di applicazione dell'art. 131-bisc.p. all'esito del dibattimento, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere effettuata con sentenza di assoluzione, ai sensi dell'art. 530 c.p.p. – da emettersi quanto l'imputato non è punibile per un'altra ragione e non con sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. dal momento che l'istituto ha natura di causa di esclusione della punibilità e non di condizione di procedibilità. Per una corretta valutazione e scelta difensiva, occorre in primo luogo verificare: a) le conseguenze civili ed amministrative che l'imputato subirebbe a causa dell'accertamento della sua responsabilità penale in ordine al fatto reato contestato, accertamento che deriverebbe dall'applicazione della norma dell'art. 131-bis c.p.; b) le conseguenze di una iscrizione della sentenza sul casellario giudiziale e l'impossibilità di poter usufruire di nuovo dell'applicazione dell'istituto; c) non da ultimo, la possibilità che il reato si prescriva durante le fasi di merito, soluzione questa sicuramente più vantaggiosa per l'assistito. Necessita inoltre un particolare controllo del difensore sull'operato di chi dovrà emettere il provvedimento a seguito della richiesta della causa di non punibilità, in caso di sussistenza di tutti i presupposti indicati dall'art. 131-bis c.p., verificare la cessazione della permanenza in caso di reati permanenti e pretenderne l'applicazione, indipendentemente dal tempo in cui tale cessazione si sia verificata, privilegiando l'applicazione dell'istituto e lo spirito di politica giudiziaria ad esso sotteso, come licenziato dal legislatore. Qualora fosse invece già maturato il tempo per dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione o in procinto di maturare tale termine, privilegiare tale scelta, quale più favorevole al reo. |