Riforma in pejus e obbligo del giudice di appello di rinnovare la prova
09 Settembre 2015
Massima
Secondo il costante orientamento oramai espresso dalla Corte di Cassazione, per riformare in pejus una sentenza assolutoria emessa all'esito di giudizio abbreviato condizionato, il giudice di appello è obbligato – in base all'art. 6 Cedu, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c. Moldavia – a rinnovare l'istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice in sede di integrazione probatoria Il caso
Tizio e Caio, finanzieri, vengono processati per fatti di concussione e di rivelazione di segreti d'ufficio. In esito al giudizio di primo grado, celebratosi con le forme del rito abbreviato condizionato all'escussione del soggetto beneficiato dalla rivelazione, Tizio viene condannato per concussione, rivelazione di segreti d'ufficio e tentata rivelazione di segreti d'ufficio con riferimento ad un capo di imputazione contestatogli in concorso con Caio. Quest'ultimo, invece, viene assolto per non aver commesso il fatto. Propongono appello sia il pubblico ministero sia Tizio. La Corte d'Appello conferma la condanna a carico del Tizio e, in riforma della prima sentenza, condanna Caio (ed anche Tizio) per rivelazione (consumata) di segreto d'ufficio. Avverso questa sentenza propongono ricorso Tizio e Caio. Il ricorso di Tizio, viene dichiarato inammissibile, mentre viene annullata con rinvio la condanna, intervenuta in appello, di Caio. In motivazione si osserva che il giudizio abbreviato venne ammesso siccome condizionato alla escussione del teste Sempronio, soggetto che nella vicenda sarebbe stato il destinatario delle rivelazioni fornitegli da Tizio e da Caio. Il giudice di primo grado aveva assolto Caio sul rilievo che le dichiarazioni rese in giudizio (in sede di abbreviato condizionato al suo esame) da Sempronio escludevano la responsabilità di Caio. Il giudice di appello aveva, invece, dato rilievo alle distoniche dichiarazioni rese da Sempronio nel corso delle indagini preliminari. Su queste aveva quindi fondato la pronuncia di riforma, condannando Caio, senza rinnovare la testimonianza di Sempronio. La questione
La questione in esame è la seguente: nel caso in cui il giudice di appello intenda riformare la sentenza assolutoria attraverso una rivalutazione della attendibilità e del contenuto delle dichiarazioni testimoniali, è o no obbligato a procedere alla rinnovazione della testimonianza? Le soluzioni giuridiche
È ormai principio consolidato nella giurisprudenza della Corte EDU che quando impugnante è il pubblico ministero contro una sentenza assolutoria, il giudice d'appello non può riformare la sentenza e pronunciare condanna senza avere assunto nuovamente in contraddittorio le prove dichiarative disponibili a carico dell'imputato (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sez. III, 5 luglio 2011, Dan vs Moldavia). Il chiaro approdo della giurisprudenza comunitaria è stato recepito timidamente dalla nostra giurisprudenza di legittimità. Quest'ultima, in alcune pronunce, ha cercato di ridurne la portata innovativa, disquisendo sui concetti di decisività e di attendibilità, così da escludere la necessità della rinnovazione in tutti i casi in cui la riforma in appello non fondasse sulla rivalutazione della attendibilità del teste ovvero non fosse decisiva (Cass. pen. Sez. V, 2 ottobre 2012 n. 38085), così limitando l'obbligo di rinnovazione ad un diverso, da parte del giudice di appello, apprezzamento di attendibilità di una prova orale (Cass. pen. Sez. VI, 12 aprile 2013 n. 16566). Si è così arrivati ad affermare che “i principi della Corte EDU espressi nel procedimento Dan/Moldavia non obbligano il giudice dell'appello a riassumere le prove, ove la difforme valutazione non derivi da una diversa valenza attribuita alle prove dichiarative assunte, poiché quel che è vietato è la difforme valutazione della prova, in difetto di percezione diretta della stessa, ove tale differente valutazione sia l'unico elemento a sostegno dell'opposta decisione” (Cass. Sez. VI, 9 luglio 2014, n. 40306). Il tema è che il nostro giudizio di appello è sopravvissuto, immutato, alla riforma del codice “Vassalli”. La prima e più immediata conseguenza è che l'attuale processo di appello costituisce un'eccezione ai canoni accusatori che ispirano il processo penale. Primi fra tutti l'oralità e l'immediatezza. Era in quest'ottica che la l. 46/2006, c.d. legge Pecorella, aveva limitato il doppio giudizio di merito avverso le pronunce di proscioglimento. La declaratoria di incostituzionalità della legge ha però “riportato indietro le lancette dell'orologio”, restituendo attualità al vulnus, in particolar modo nel caso in cui il giudizio di appello riformi la pronuncia assolutoria. In casi simili, come s'è osservato in dottrina, all'imputato è sottratta la possibilità di ottenere una revisione nel merito della res judicanda (Nuzzo F., L'appello nel processo penale, Milano, 2008, p. 40). In qusto contesto, però, la Corte di Strasburgo si è pronunciata anche con le decisioni Hanu contro Romania del 4 giugno 2013, Manolachi contro Romania del 5 marzo 2013 e Flueras contro Romania del 9 aprile 2013. Secondo la Corte europea il giudizio di riforma in pejus pronunciato senza la riassunzione della prova a carico non è equo ai sensi dell'art. 6, par. 1 della Convenzione, perché assente qualsivoglia attività̀ istruttoria e con decisione assunta sulla scorta delle sole prove acquisite in primo grado. I principi “europei” sono stati recepiti nella relazione (n. 18/13) della Corte di Cassazione laddove s'è chiarito che per essere rispettosa dell'art. 6 Cedu “l'affermazione di responsabilità̀ in sede di gravame … richiede ... l'esame diretto dei testimoni da parte del giudice dell'appello” (rel. cit.). La sentenza in commento (e le altre in essa richiamate: Cass. pen. Sez. III n. 11658/2015; Sez. VI n. 14038/2014) si segnala per la decisa virata rispetto al primo, timido, recepimento che i principi della giurisprudenza europea avevano ricevuto da parte del nostro giudice di legittimità. Inoltre, la sentenza in commento ribadisce l'importanza epistemologica del metodo accusatorio, attribuendo prevalenza alla prova assunta in contraddittorio rispetto a quella formatasi nella fase delle indagini preliminari e, nel caso di specie, utilizzabile come prova giusta la scelta di accedere al rito abbreviato operata dall'imputato Caio. Nel caso in esame, infatti, il teste Sempronio venne rivalutato dalla corte d'appello per fondare la condanna sulla base delle dichiarazioni da lui rese in sede di indagine preliminare e con “svalutazione” di quelle, a favore di Caio, rese dal teste nel contraddittorio tra le parti. Osservazioni
Secondo l'insegnamento della Corte EDU (sentenza Dan c/ Moldavia e successive) “coloro che hanno la responsabilità̀ di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità̀. La valutazione dell'attendibilità̀ di un testimone è un compito complesso che generalmente non può̀ essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate …”. Deve aggiungersi che la pronuncia in riforma dell'assoluzione non può essere pronunciata da un giudice che ha soltanto “letto” le prove assunte in primo grado. Un giudice, quindi, a conoscenza “depotenziata” rispetto a quello di prima istanza, perché privato dei cosi detti metadati di conoscenza. Il tutto con buona pace del principio del giusto processo costituzionalizzato all'art. 111. In quest'ottica, deve darsi atto dell'arresto in commento per aver, sia pure con obiter dictum, ristabilito il primato della prova orale ed assunta in contraddittorio. |