Quando il difensore inadempiente fa spirare il termine non sono invocabili caso fortuito o forza maggiore
09 Novembre 2016
Massima
L'inadempienza del difensore non costituisce caso fortuito né forza maggiore e dunque non giustifica la richiesta di restituzione nel termine. Il caso
Un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il difensore di fiducia di Tizio ha avanzato istanza per essere restituito nel termine ai sensi dell'art. 175 c.p.p. al fine di proporre ricorso per cassazione avverso la pronuncia con la quale il tribunale di Torino aveva dichiarato colpevole l'imputato del reato di cui all'art. 4 l. 110/1975, deducendo la sussistenza del caso fortuito o della forza maggiore per l'omessa tempestiva impugnazione dovuta all'inerzia del difensore che assisteva l'imputato nel corso del procedimento di primo grado, nominato di ufficio, il quale, non essendo iscritto nelle liste degli avvocati abilitati a patrocinare davanti alla Corte di cassazione, non aveva provveduto alla redazione dell'atto di impugnazione. Più precisamente, l'istante aveva evidenziato che il precedente difensore si era limitato ad indicare all'imputato che la condanna alla sola pena pecuniaria era inappellabile, senza specificare la sussistenza della possibilità di proporre ricorso per cassazione, senza indicare all'imputato la necessità di nominare un difensore ammesso al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione, senza predisporre un ricorso da far sottoscrivere direttamente all'imputato ovvero infine senza investire l'Autorità giudiziaria della necessità di nominare altro difensore di ufficio, iscritto nell'albo degli avvocati cassazionisti, al fine di valutare l'opportunità di predisporre il ricorso. Aveva altresì dichiarato l'istante di essersi avveduto dell'opportunità, ormai spirata, di impugnare la sentenza di condanna solo quando era stato investito della valutazione di una diversa domanda processuale da parte del condannato. Richiamando l'elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema di forza maggiore e caso fortuito, la suprema Corte ha ritenuto che nel caso sottoposto al suo esame il difensore di ufficio avesse violato gli obblighi di diligenza sullo stesso incombenti, avendo omesso di comunicare all'imputato che la sentenza, sebbene non appellabile, era comunque ricorribile per cassazione e che dal deposito della sentenza di condanna decorreva il termine per proporre detta impugnazione. La violazione degli obblighi di diligenza da parte del difensore non può, ad avviso della suprema Corte, equipararsi a forza maggiore o caso fortuito e pertanto l'istanza di restituzione nel termine è stata respinta. La questione
La questione posta all'esame della suprema Corte è se, in presenza di violazione degli obblighi di diligenza da parte del difensore, possa dirsi realizzata una situazione di evento irresistibile o imprevedibile che caratterizza, rispettivamente, la forza maggiore e il caso fortuito e che giustifica la restituzione nel termine, ai sensi dell'art. 175 c.p.p. Le soluzioni giuridiche
L'art. 175, comma 1, c.p.p. dispone che il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore. Il Legislatore non ha fornito una definizione normativa di caso fortuito e forza maggiore, limitandosi ad affermare che chi ha commesso il fatto in presenza di una di dette situazioni non è punibile (art. 45 c.p.); la definizione di dette situazioni è dunque rimessa alla dottrina e alla giurisprudenza. Il caso fortuito è pacificamente ritenuto un evento imprevedibile ed imponderabile con la normale diligenza e che non può essere imputato al soggetto né a titolo di dolo, né a titolo di colpa. Si differenzia dalla forza maggiore, qualificata come fatto umano o naturale irresistibile che, anche ove preveduto, non può essere impedito. Elemento comune delle due situazioni descritte è l'inevitabilità del fatto. Nel caso che ci occupa, il difensore di ufficio si era limitato a riferire all'assistito che la sentenza non era appellabile, trattandosi di condanna alla sola pena pecuniaria ma aveva omesso di prospettare all'imputato la possibilità di presentare ricorso per Cassazione avverso detta pronuncia. Detto difensore non si era nemmeno preoccupato di trovare soluzioni alternative alla (apparente) impasse determinata dalla mancata iscrizione del professionista nell'albo degli avvocati abilitati a patrocinare davanti alla Corte di cassazione, quale, ad esempio, la predisposizione di un atto di impugnazione da far sottoscrivere in proprio all'interessato. Si tratteggia una situazione non caratterizzata da assoluta imprevedibilità, giacché con la minima diligenza il professionista ben avrebbe potuto (e dovuto) fornire all'assistito le (invero scarne) informazioni necessarie per proporre una valida e tempestiva impugnazione alla sentenza di condanna e nessuna forza irresistibile ha impedito al difensore di eseguire compiutamente il mandato ricevuto. La giurisprudenza si è pronunciata a più riprese sul tema della richiesta di restituzione nel termine a seguito di inadempienza e scarsa diligenza da parte del difensore, stabilendo che il mancato o l'inesatto adempimento dell'incarico da parte del difensore (quale, ad esempio, quello di proporre impugnazione) non possono ritenersi idonei a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. In tali casi, infatti, non si è in presenza di forze impeditive non altrimenti vincibili (il fatto non appare inevitabile) ma si ha una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione da parte del professionista, che è tenuto a svolgere il proprio mandato con competenza e precisione per andare esente da responsabilità, anche sul piano disciplinare. Ancora, in giurisprudenza si è evidenziato come in ipotesi siffatte non può escludersi un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito, ove il controllo sull'adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (in tal senso, da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, n. 18716 del 2016). Analoghe considerazioni sono state svolte con riguardo ad ipotesi di mancata comunicazione non già all'assistito ma al difensore sostituito. È nota infatti la pronuncia con cui la suprema Corte a Sezioni unite ha ritenuto non sussistente alcuna ipotesi di caso fortuito o forza maggiore nella condotta del difensore d'ufficio che, in violazione degli obblighi di diligenza, abbia omesso di informare il difensore di fiducia in merito al mancato accoglimento dell'istanza di rinvio dell'udienza e non abbia presentato impugnazione in qualità di sostituto processuale ai sensi dell'art. 102 c.p.p. In tale circostanza, il supremo Collegio ha avuto modo di precisare che, con un comportamento improntato a normale diligenza, il difensore di fiducia, dotato delle conoscenze necessarie per la valutazione dei rischi cui si esponeva ed esponeva l'assistito rimanendo inerte, ben avrebbe potuto recarsi presso la cancelleria del giudice e chiedere informazioni, in modo da apprendere tempestivamente dell'esito dell'udienza celebrata per il tramite del suo sostituto e presentare impugnazione nei termini di legge (cfr. Cass. pen., Sez. unite, n. 14991 del 2006). Osservazioni
La soluzione cui è giunta – nel caso di specie e in altre più risalenti pronunce – la suprema Corte appare pienamente condivisibile. Pur riconoscendo le inevitabili difficoltà nelle quali può imbattersi l'assistito nell'effettuare un efficace controllo sull'operato del difensore, stante la comprensibile mancanza di adeguate cognizioni tecnico-giuridiche, come detto, ad avviso della prevalente giurisprudenza di legittimità incombe sempre su costui l'onere di vigilare in merito alla puntuale osservanza del mandato conferito. Ancora, sebbene in più occasioni la Cedu abbia richiamato il nostro Paese a restaurare i diritti processuali fondamentali dell'imputato dinanzi a carenze difensive, la suprema Corte ritiene che le omissioni ascrivibili alla negligenza del difensore non diano luogo ad un evento irresistibile, imprevedibile e inevitabile giacché l'errore o l'omissione causata da errore sono evitabili mediante la normale diligenza ed attenzione che ciascun professionista deve tenere nello svolgimento del mandato difensivo. Verrebbe a questo punto da dire che la negligenza non salva il difensore, mentre la sua ignoranza sì. La suprema Corte ha infatti ritenuto configurabile caso fortuito o forza maggiore in ipotesi di omessa proposizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore di fiducia dovuta ad una imprevedibile ignoranza della legge processuale penale da parte del professionista (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 35149 del 2009, relativa ad un caso nel quale l'assistito aveva richiesto a più riprese al difensore di presentare impugnazione avverso la pronuncia di condanna e il professionista aveva ritenuto di dover attendere la notifica di deposito della sentenza che in realtà era stata depositata nel termine indicato dal giudicante). In particolare, la Corte ha precisato di non poter condividere l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico (nel caso di specie, di proporre impugnazione) non è idoneo a realizzare l'ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che, come detto, legittimano la restituzione nel termine, affermando che se è vero che incombe all'imputato l'onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito (Cass., Sez. II, 11 novembre 2003, Sulli; Cass., Sez. I, 24 aprile 2001, Bekhit; Cass., Sez. V, 10 febbraio 2000, Bettili), non può pretendersi che egli, nell'effettuare la scelta del difensore, verifichi previamente (senza peraltro possedere le relative cognizioni culturali) la sua padronanza di ordinarie regole di diritto che dovrebbero costituire il bagaglio tecnico di qualsiasi soggetto legittimato alla professione forense attraverso il superamento dell'esame di Stato. Ad avviso della Corte, una tale situazione potrebbe configurare un'ipotesi di caso fortuito, integrata appunto da un dato della realtà imprevedibile che soverchia ogni possibilità di resistenza e di contrasto (v. per tutte Cass., Sez. un., ric. De Pascalis, cit.; nonché Corte Cost.,sent. n. 101 del 1993). Guida all'approfondimento
LOZZI, Lezioni di procedura penale, 2016, Torino, 2016; TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2016. |