Altra tappa nella vicenda Taricco: gli atti tornano alla Corte di giustizia Ue

Maria Hilda Schettino
10 Febbraio 2017

Nell'ordinamento giuridico italiano, la prescrizione è un istituto di natura sostanziale e il suo regime legale è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall'art. 25, comma 2, Cost. Pertanto, è necessario che essa sia analiticamente descritta da una norma vigente al tempo di commissione del fatto, al pari del reato e della pena, essendo un istituto che incide sulla punibilità della persona.
Massima

Nell'ordinamento giuridico italiano, la prescrizione è un istituto di natura sostanziale e il suo regime legale è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall'art. 25, comma 2, Cost. Pertanto, è necessario che essa sia analiticamente descritta da una norma vigente al tempo di commissione del fatto, al pari del reato e della pena, essendo un istituto che incide sulla punibilità della persona.

Il caso

Con l'attesa ordinanza in commento la Corte costituzionale ha segnato una tappa importante nell'ormai celebre caso Taricco senza, però, giungere ad una conclusione.

La questione prende le mosse dalla pronuncia della grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-105/14, Taricco, dell'8 settembre 2015, nella quale la Corte europea, interpretando l'art. 325 T.F.Ue – ai sensi del quale l'Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'unione stessa – chiarì che questo imponeva al giudice italiano di non applicare il combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p. e procedere nel giudizio quando ciò gli avesse impedito di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave lesivi degli interessi finanziari dell'Unione, ovvero quando le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato membro fossero soggette a termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per le frodi che offendevano gli interessi finanziari dell'Unione.

Questa pronuncia ebbe un forte impatto sulla giurisprudenza interna.

In un primo momento, la terza Sezione della Corte di cassazione (sent. 15 settembre 2015, dep. 20 gennaio 2016, n. 2210), diede un iniziale seguito alle argomentazioni della Corte sovranazionale perché, riconoscendo la natura processuale dell'istituto della prescrizione – sottratta, così, alle garanzie del principio di legalità – reputò integrati i requisiti individuati ai fini della disapplicazione delle disposizioni di cui all'art. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p., ovvero la rilevante gravità delle frodi agli interessi finanziari dell'Unione e la determinazione di una situazione di impunità in un numero rilevante di casi.

In un secondo momento, la seconda Sezione penale della Corte di appello di Milano negò l'orientamento della giurisprudenza di legittimità e (con l'ordinanza del 18 settembre 2015) sollevò una questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, l. 2 agosto 2008, n. 130 – l'ordine di esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona – nella parte in cui imponeva di applicare l'art. 325 T.F.Ue come interpretato dalla Corte di giustizia, anche se dalla disapplicazione degli artt. 160 - 161 c.p. potessero discendere degli effetti sfavorevoli per l'imputato, a causa del prolungamento del termine di prescrizione, perché in contrasto con il principio di legalità sancito dall'art. 25, comma 2, Cost.

Tornò, poi, sul tema la quarta Sezione della Corte di cassazione (sent. 25 gennaio 2016, dep. 26 febbraio 2016, n. 7914) ritenendo tuttavia non operante nel caso di specie l'obbligo di disapplicare gli artt. 160 e 161 c.p., dopo aver esaminato, senza però confutarli, gli aspetti fondamentali del percorso argomentativo della Corte Ue, ovvero, la soglia minima di gravità delle frodi e il diverso atteggiarsi dell'obbligo di disapplicazione a seconda che, al momento della pubblicazione della sentenza Taricco, la prescrizione fosse già maturata o meno.

In questo contrasto interpretativo intervenne nuovamente la terza Sezione della suprema Corte la quale, seguendo la strada tracciata dalla Corte di Appello di Milano, in due occasioni (ordinanze 30-31 marzo 2016, dep. 8 luglio 2016, n. 28346) ha risollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, l. 2 agosto 2008, n. 130, non solo per contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost., ma anche con gli artt. 3, 11, 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost.

Da ultima, sempre la terza Sezione (sent. 7 giugno 2016, dep. 24 ottobre 2016, n. 44584, con nota di SCHETTINO, La Cassazione torna sull'applicabilità delle indicazioni della sentenza Taricco, in attesa della pronuncia della Consulta), in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, ha cercato di riempire di contenuto il requisito della gravità della frode con il riferimento al primo comma dell'art. 133 c.p., senza però precisare né da quanti casi di frode il loro numero debba essere ritenuto considerevole, né il grado di autonomia giuridica di questo secondo requisito rispetto al primo, dal momento che anche una singola frode potrebbe da sola soddisfare il requisito del considerevole numero e giustificare la disapplicazione delle norme sulla prescrizione, purché di notevole entità.

La questione

Secondo i giudici rimettenti, dunque, l'interpretazione dell'art. 325 T.F.Ue data dalla Corte di giustizia sarebbe incompatibile con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona, espressi dagli artt. artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost., con particolare riguardo al principio di legalità in materia penale, ragion per cui la Corte Costituzionale dovrebbe attivare i c.d. controlimiti nei confronti dell'ordinamento europeo e far prevalere, su questo, il diritto interno.

È noto che il principio di legalità in materia penale implica che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal Legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore.

Ciò sarebbe pregiudicato dalla pronuncia dei giudici europei perché, da un lato, comporterebbe un aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva derivante dalla disapplicazione delle norme relative agli atti interruttivi della prescrizione, che riguarderebbe anche condotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza Taricco; dall'altro, per la mancanza di una normativa adeguatamente determinata e che rimette alla discrezionalità del giudice l'individuazione delle frodi gravi e del numero considerevole di casi di impunità tali da imporre la disapplicazione delle norme sulla prescrizione.

Alla Corte costituzionale viene, quindi, sottoposta un'importante questione, ovvero decidere se la statuizione contenuta nella sentenza Taricco soddisfi il requisito della determinatezza – che secondo la Costituzione deve caratterizzare le norme di diritto penale sostanziale – principio che appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri quale corollario del principio di certezza del diritto e quindi coerente con lo scopo di consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale e di impedire l'arbitrio applicativo del giudice.

È necessario, in sostanza, valutare se quella proposta dai giudici rimettenti sia davvero l'unica declinazione applicativa possibile dell'art. 325 T.F.Ue, oppure se si possano estrapolare interpretazioni anche in parte differenti, tali da escludere ogni conflitto con il principio di legalità in materia penale.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento, pur senza dare una soluzione definitiva al discusso caso Taricco, ha il pregio di dare dei chiarimenti sulla natura giuridica della prescrizione nell'ordinamento italiano e, di conseguenza, sui rapporti tra diritto nazionale e diritto europeo.

La Consulta, infatti, afferma che nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto della prescrizione ha natura sostanziale e che, pertanto, è soggetta al principio di legalità in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost., che rientra tra i principi supremi dell'ordine costituzionale e in base al quale le norme penali devono essere determinate, vigenti al tempo della commissione del fatto e non possono avere portata retroattiva.

Pur dando atto che, nella sua giurisprudenza, è riconosciuto il principio della primautè del diritto dell'Unione rispetto al diritto interno, la Corte chiarisce, però, che questo assunto è valido solo in quanto il diritto sovranazionale non entra in conflitto con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona tra cui, come appena visto, rientra il principio di legalità in materia penale.

Dunque, per verificare la compatibilità dell'art. 325 T.F.Ue come interpretato dalla sentenza Taricco con tale principio, la Consulta ha dovuto effettuare una doppia verifica: da un lato, se fosse ragionevolmente prevedibile che, in base al quadro normativo vigente al tempo del fatto, il diritto dell'Unione, e in particolare l'art. 325 T.F.Ue come interpretato dalla Corte di giustizia, avrebbe imposto al giudice, in presenza delle condizioni enunciate nella sentenza Taricco, la disapplicazione della normativa interna in materia di atti interruttivi della prescrizione; dall'altro, se sia stata rispettata la riserva di legge e il grado di determinatezza assunto dall'ordinamento penale in base all'art. 325 T.F.Ue, con riguardo al potere del giudice al quale, in un ordinamento di civil law come quello italiano, non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale, pena la compromissione del principio della separazione dei poteri di cui l'art. 25, comma 2, Cost., prevede una versione particolarmente rigida nella materia penale.

La prognosi è stata negativa in entrambi i casi.

In relazione alla prima verifica, la Corte ritiene che nessuno avrebbe potuto ragionevolmente pensare, prima della sentenza Taricco, che l'art. 325 T.F.Ue prescrivesse al giudice di non applicare gli artt. 160, comma 2, e 161, secondo comma, c.p., ove ne fosse derivata l'impunità di gravi frodi fiscali in danno dell'Unione in un numero considerevole di casi, ovvero la violazione del principio di assimilazione.

In relazione alla seconda verifica i giudici rilevano che non può̀ certo escludersi che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata quando ciò̀ venga prescritto dalla normativa europea ma, al contrario, non è possibile che il diritto dell'Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest'ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo.

Invero, i giudici chiariscono che gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri di civil law non affidano al giudice il potere di creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla legge approvata dal Parlamento e, in ogni caso, ripudiano l'idea che i tribunali penali siano incaricati di raggiungere uno scopo, pur legalmente predefinito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e in quali limiti ciò̀ possa avvenire.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude sostenendo che l'art. 325 T.F.Ue, pur formulando un obbligo di risultato chiaro e incondizionato, omette di indicare con sufficiente analiticità il percorso che il giudice penale è tenuto a seguire per conseguire lo scopo, aprendo alla possibilità, per il potere giudiziario, di disfarsi, in linea potenziale, di qualsiasi elemento normativo che attiene alla punibilità o al processo, purché́ esso sia ritenuto di ostacolo alla repressione del reato, così eccedendo il limite proprio della funzione giurisdizionale nello Stato di diritto, quanto meno nella tradizione continentale, e non pare conforme al principio di legalità̀ enunciato, non solo nella Costituzione italiana, ma anche dall'art. 49 della Carta di Nizza.

Osservazioni

Nonostante l'incompatibilità tra i principi supremi dell'ordine costituzionale e quanto statuito con la sentenza Taricco, la Consulta, come anticipato, invece di azionare i controlimiti e contrapporsi alla Corte di giustizia, in nome del principio di leale collaborazione che definisce i rapporti tra Unione e Stati membri, ha optato per una soluzione più diplomatica, nella convinzione che quest'ultima non abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dare applicazione alla regola anche quando essa confligge con un principio cardine dell'ordinamento italiano.

Secondo la Corte costituzionale, la Corte Ue si sarebbe invece limitata ad affermare l'applicabilità̀ della regola tratta dall'art. 325 T.F.Ue solo se compatibile con l'identità̀ costituzionale dello Stato membro, demandando il vaglio di siffatta compatibilità̀ agli organi nazionali competenti.

Tale lettura è avallata dai paragrafi 53 e 55 della sentenza Taricco, nei quali si legge che se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà̀ allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati, e che la disapplicazione va disposta con riserva di verifica da parte del giudice nazionale in ordine al rispetto dei diritti degli imputati.

Se così fosse, verrebbe a cessare qualsiasi profilo di contrasto e di conseguenza cadrebbero tutti i dubbi di legittimità̀ costituzionale.

Tuttavia, non verrebbe meno l'eventuale responsabilità dello Stato italiano per avere omesso di approntare un efficace rimedio contro le gravi frodi fiscali in danno degli interessi finanziari dell'Unione o in violazione del principio di assimilazione e, in particolare, per avere compresso temporalmente l'effetto degli atti interruttivi della prescrizione, che la Corte accompagna al monito rivolto al Legislatore ad intervenire sui termini prescrizionali, per assicurare un efficace repressione delle frodi in questione – fatta salva la verifica sull'efficacia delle recenti modifiche approntate nel settore penale tributario nel 2011, con l'aumento di un terzo dei termini di prescrizione dei reati puniti dagli artt. da 2 a 10 del d.lgs. 74 del 2000.

Dunque, alla luce di un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell'Unione, che è necessario risolvere per decidere la questione di legittimità costituzionale, la Consulta ha sospeso il giudizio per chiedere un nuovo chiarimento da parte della Corte di giustizia sul significato da attribuire all'art. 325 T.F.Ue a seguito della sentenza resa nella causa Taricco, invocando l'esigenza di salvaguardare il tasso di diversità̀ minimo, ma necessario per preservare la identità̀ nazionale insita nella struttura fondamentale dello Stato membro (art. 4, § 2, Tue) e sottolineando come, attraverso l'interpretazione proposta, verrebbe appunto preservata l'identità̀ costituzionale interna, senza compromettere le esigenze di uniforme applicazione del diritto dell'Unione.

La questione che ha ristabilito un dialogo tra le Corti è la seguente: se l'art 325 T.F.Ue debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell'Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più̀ brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando

  • tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata,
  • nell'ordinamento dello Stato membro la prescrizione sia parte del diritto penale sostanziale e soggetto al principio di legalità,
  • tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro.

Le soluzioni che potranno essere adottate dalla Corte di giustizia sono due e alternative: o, facendo tesoro delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e recependo lo spirito dialogico, essa potrebbe decidere di fare un passo indietro, sposando l'interpretazione correttiva costituzionalmente conforme della sentenza Taricco proposta nell'ordinanza in esame; oppure potrebbe proseguire nel suo cammino, accettando il rischio che la Corte costituzionale, dando corpo alle condivisibili rivendicazioni di principio sul ruolo fondante del principio di legalità in materia penale, possa azionare l'arma dei controlimiti che, però, nell'ordinanza si è ben guardata dal menzionare.

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