Mancato mantenimento del figlio. Il reato sussiste anche in caso di cessazione del rapporto di convivenza
10 Luglio 2017
Massima
In tema di reati contro la famiglia, il reato di omesso versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies della l. 1 dicembre 1970 n. 898, richiamato dall'art. 3 della l. 8 febbraio 2006 n. 54, non è configurabile esclusivamente nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ma anche nel caso di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza. Il caso
Con sentenza datata 7 ottobre 2015, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa dal tribunale dello stesso capoluogo, riduceva ad euro 500,00 di multa la pena inflitta dal primo giudice a S.R., in relazione al reato di cui all'art. 3 l. 54/2006 – contestato all'imputato per aver omesso, «talora solo in parte, di corrispondere il contributo mensile disposto dal Tribunale per i minorenni con decreto 15 aprile 2010 in proc. 340/09 R.G. in favore delle figlie minori S. e Si. e complessivamente ammontante ad Euro 1.300,00» non corrispondendo alcunché per il mese di novembre 2011 e riducendo di euro 500,00 l'importo versato per tutte le mensilità successive – e contestualmente eliminava le statuizioni civili a seguito della revoca della propria costituzione ad opera della parte civile B.S., quale esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori S. e Si., nate dalla relazione extraconiugale con l'imputato. Avverso la menzionata pronuncia il difensore di fiducia dello S. ha interposto tempestivo ricorso, alla stregua del quale ha dedotto:
La Corte di cassazione annullava la sentenza impugnata, limitatamente all'omesso riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, beneficio che concede. Rigettava nel resto il ricorso. La questione
In tema di reati contro la famiglia, il reato di omesso versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54) è configurabile esclusivamente nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, mentre, nel caso di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza può configurarsi il solo reato di cui all'art. 570, comma 2, n.2, c.p. (così Sez. VI, n. 2666 del 7 dicembre 2016, v. nota di VENTURA, Violazione degli obblighi di mantenimento del figlio. La Cassazione distingue tra matrimonio e convivenza). Reputa il Collegio di non poter condividere siffatta affermazione, dalla quale deve pertanto discostarsi. Indubbiamente ineccepibile è l'impostazione della menzionata sentenza, là dove afferma che la disposizione dettata dall'art. 3 della legge 54 del 2006 – in forza della quale, appunto, in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'art. 12-sexies della legge 1 dicembre 1970 n. 898, deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 e, in particolare, dell'art. 4, comma 2, che recita: «Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati». Ciò che non convince, per contro, è l'esegesi proposta della norma testé trascritta. Secondo la prospettazione della pronuncia in esame, la dizione utilizzata dal legislatore procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, in ragione della differenza linguistica dell'enunciato rispetto agli altri casi contemplati ed oggetto della elencazione immediatamente precedente, non sarebbe casuale, bensì sintomatica della "distinzione" introdotta dal Legislatore "tra le diverse classi di ipotesi". Di tanto darebbe ragione la constatazione che la disciplina dettata dalla legge 54 del 2006 – oltre a prevedere le disposizioni penali di cui all'art. 3 e le disposizioni finali di cui all'art. 4 – regola, all'art. 1, i provvedimenti che il giudice deve adottare in relazione ai figli allorché interviene la separazione tra i genitori, modificando l'art. 155 c.c. e introducendo gli artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies c.c., nonché, all'art. 2, profili processuali relativi alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento, modificando l'art. 708 c.p.c. e introducendo l'art. 709-ter c.p.c. Donde la conclusione che, «mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla legge 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai procedimenti relativi agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l'ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla legge 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all'art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale». Con l'osservazione finale che la soluzione patrocinata, oltre ad essere ritenuta conforme al dato testuale, «risponde anche al principio del c.d. diritto penale minimo e non lede la posizione sostanziale dei figli di genitori non coniugati, per la cui tutela è possibile il ricorso a tutte le azioni civili e ferma restando, inoltre, l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p.». Tanto premesso, il Collegio è dell'avviso che la complessiva interpretazione della norma non legittimi la pur meditata costruzione giuridica proposta. In primo luogo, la lettera del dettato normativo pare rispondere semplicemente alla difficoltà del Legislatore di individuare una diversa locuzione: invero, mentre rispetto ai casi di unione siglata da vincolo matrimoniale, agevole è stato il riferimento ai procedimenti appositamente previsti per lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili e la nullità del matrimonio e tali espressamente denominati, altrettanto non può certo dirsi per i casi di unioni in assenza di detto vincolo formale, tenuto conto che solo con la recente legge 20 maggio 2016 n. 76 è stata introdotta nell'ordinamento la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, che ne contempla altresì, rispettivamente, i casi di scioglimento e di cessazione. D'altro canto, non è senza rilievo notare che la legge 154 del 2013, cui si deve la risistemazione in senso paritetico – a prescindere, dunque, dall'essere la prole nata in costanza di matrimonio o al di fuori di esso – della materia della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, ossia la riscrittura della disciplina dettata dagli artt. da 155 a 155-sexies c.c., frutto giusto della legge 54 del 2006, ha titolato il Capo II del Libro IX del codice civile Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio, utilizzando una formula pressoché sovrapponibile a quella utilizzata dal legislatore del 2006. E, ancora, che l'art. 337-bis c.c., dalla stessa legge del 2013 inserito appunto nel corpo codicistico, prevede l'applicazione delle disposizioni contenute nel detto capo in caso di separazione, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio'. Quanto precede introduce alla seconda e più pregnante considerazione alla base del convincimento del Collegio, legata all'interpretazione di ordine sistematico della norma per cui è processo. È innegabile che la soluzione proposta si risolverebbe nella legittimazione di una diversità di trattamento: da una parte, la più ampia e severa tutela penale prevista per i figli di genitori coniugati, con ovvia ricaduta nei riguardi dei loro genitori; dall'altra, una ben minore tutela per i figli nati fuori del matrimonio, i cui genitori beneficerebbero pertanto di un più limitato spettro penale a loro carico. Essendo appena il caso di osservare che la sentenza n. 2666/2017, nel momento in cui sottolinea la copertura comunque assicurata sul piano penale dall'art. 570 cpv. n. 2 c.p., altro non fa che confermare di fatto la rilevata disparità, in ragione delle ben diverse caratteristiche che sono proprie della fattispecie testé citata, notoriamente ancorata a presupposti – lo stato di bisogno dell'avente diritto, persona offesa; la dimostrazione del venir meno dei mezzi di sussistenza di quest'ultimo, per effetto dell'inadempimento civilistico – estranei alla previsione della norma di cui all'art. 3 della legge 54/2006. In conclusione, si perverrebbe ad una differenziazione priva di una reale motivazione sottostante, in contrasto con la tendenza perequativa che ha connotato tutti i più recenti sviluppi legislativi nell'ambito civile e perciò distonica rispetto a principi ormai sedimentati nel comune sentire, di assai dubbia conformità sul piano della legittimità costituzionale. D'altro canto, a supporto della tesi sostenuta dal Collegio – che s'inserisce nel solco della interpretazione ampia e, per così dire, tradizionale, della norma incriminatrice di cui trattasi – non è senza rilievo constatare che questa Corte, nella sua più alta composizione, già con sentenza n. 23866 delle Sezioni unite del 31 gennaio 2013 (ric. S.), nel dar conto di come la violazione del primo comma dell'art. 570 c.p. non sanzionasse affatto la sola violazione degli obblighi di assistenza morale fra i coniugi – secondo una tralaticia interpretazione giurisprudenziale affermatasi in epoca antecedente alla riforma del diritto di famiglia e di poi pedissequamente seguita – ebbe ad interpretare in senso ampio il contenuto dell'art. 143 c.c., che definisce i diritti ed i doveri dei coniugi, risultando perciò determinante ai fini della corretta interpretazione del precetto contenuto nel detto art. 570, comma 1, c.p., che sanziona appunto chi si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge. Dopodiché estese detta ampia esegesi anche alla definizione degli obblighi gravanti sui genitori, significando come l'obbligo di assistenza verso i figli, il dovere di mantenere i figli minori e maggiori non autosufficienti, tale da comportare il dovere dei genitori di «far fronte ad una molteplicità di esigenze», di seguito elencate nella motivazione della pronuncia dell'Alto Consesso, operasse non solo nei confronti dei genitori in costanza di matrimonio' e, per effetto dell'allora vigente art. 155 c.c. (come modificato dalla legge 54 del 2006, per i genitori separati, ma fosse applicabile anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché a beneficio dei figli di genitori non coniugati, in forza dell'art. 4, comma 2, della stessa legge n. 54/2006; così fornendo una del tutto condivisibile interpretazione antitetica della disposizione valorizzata dalla citata sentenza n. 2666/2017. Così ribadita la correttezza dell'inquadramento giuridico della vicenda per cui è processo, può ora farsi luogo alla disamina delle censure poste a base del proposto ricorso. Totalmente destituiti di fondamento sono i primi due motivi di doglianza, di cui è opportuno l'esame congiunto. È sufficiente il semplice elenco dei cespiti reddituali dello S. a dar conto della piena capacità economica dello stesso, che, d'altro canto, non risulta aver mai formalizzato, innanzi alla competente A.G., richiesta di riduzione della contribuzione mensile fissata a suo carico dal tribunale per i minorenni, né, dal punto di vista sostanziale, risulta aver dato atto di eventi particolari che possano aver comportato la contrazione dell'anzidetta capacità economica, a nulla valendo, in senso contrario, le generiche dissertazioni sulla oscillazione del reddito di un libero professionista e sui necessari investimenti nell'aggiornamento professionale. Dissertazioni aventi valenza di mera strategia processuale, come concretamente dimostrato dalla revoca della costituzione di parte civile, avendo quest'ultima ottenuto coattivamente il saldo delle sue ragioni, a seguito dell'assegno dell'importo di Euro 16.000.00 corrispostole il 16 aprile 2013.Ovviamente quanto precede vale altresì a dar conto della inconsistenza della censura che investe l'elemento soggettivo proprio della contestata fattispecie, non vedendosi come possa essere messa in discussione la consapevolezza dell'imputato di aver fatto luogo, con la propria condotta, alla non consentita riduzione dell'obbligo economico stabilito nei suoi confronti dal tribunale per i minorenni. Va del pari disattesa la censura relativa all'omessa applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p. È principio consolidato che «Il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito» (così Sez. IV, sent. n. 4491 del 17 ottobre 2012; v. anche, ancor più di recente, la parte motiva di Sez. III, sent. n. 48317 dell'11 ottobre 2016).Tanto premesso, ancorché la complessiva inadempienza dello S. configuri un unico reato di carattere permanente (cfr. Sez. VI, n. 5423 del 20 gennaio 2015), nondimeno è indubitabile – in conformità a quanto emerge con chiarezza dalla sentenza impugnata – che ci si trovi in presenza di condotte plurime e reiterate, protrattesi senza soluzione di continuità dal novembre 2011 quanto meno fino al 16 aprile 2013: il che vale a dar atto della sussistenza di una delle cause ostative indicate dal pur invocato art. 131-bis c.p., sub specie dell'abitualità del comportamento del soggetto agente, onde si attaglia pienamente alla presente fattispecie, in applicazione del principio generale sopra enunciato, la massima per cui «L'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con motivazione implicita» (cfr. la già citata sentenza della Sez. III, n. 48317 dell'11 ottobre 2016). Coglie invece nel segno il ricorso della difesa, nella parte in cui lamenta la mancata risposta, da parte della Corte territoriale, alla richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, in effetti sollecitata con l'atto di appello: ciò che, tuttavia, non conduce all'annullamento con rinvio richiesto dal P.G. d'udienza, in linea con il condiviso orientamento giurisprudenziale per cui «Deve essere annullata senza rinvio la sentenza d'appello che abbia immotivatamente disatteso la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna, proposta con specifico motivo di gravame, potendo il predetto beneficio essere direttamente disposto dalla Corte di cassazione allorché non implichi alcun accertamento di fatto» (così, di recente, Sez. V, n. 25625 del 25 febbraio 2006). Detta situazione è infatti ravvisabile nella presente fattispecie, in cui, per un verso, il mancato riconoscimento è ascrivibile a mera omissione, come si deduce con certezza dalla constatazione della mancata riproduzione del motivo in questione, da parte della Corte territoriale, nel novero delle censure formalizzate dall'appellante; per altro verso, il comportamento processuale dell'incensurato imputato, consistito nell'adempimento degli obblighi economici a suo carico con conseguente revoca della costituzione di parte civile, già apprezzato dalla Corte milanese, che l'ha posto a base della sintomatica riduzione del trattamento sanzionatorio fissato a suo carico dal primo giudice, consente di reputare sussistenti, in assenza di qualsivoglia elemento di segno contrario, i requisiti per il riconoscimento dell'invocato beneficio (con la puntualizzazione finale, per mero scrupolo di completezza, che l'omessa concessione della sospensione condizionale si ricollega all'evidenza alla natura meramente pecuniaria della sanzione penale irrogata, come implicitamente – ma chiaramente – conferma la circostanza obiettiva che mai l'interessato abbia sollevato doglianze in proposito). La Corte dunque annullava la sentenza impugnata, limitatamente all'omesso riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, beneficio che concede e rigettava in ricorso. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha stabilito che in caso di coppie di fatto, il genitore che non vive più con il figlio minore e che omette il versamento del mantenimento, commette un reato. Gli Ermellini, con la presente pronuncia, hanno voluto equiparare, sia dal punto di vista civile sia da quello penale, la situazione dei figli di genitori separati i divorziati a quella dei figli di coppie di fatto che si lasciano. Pertanto, conclude la Suprema Corte, il reato di omesso versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54) è configurabile nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, così come nel caso di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza. Tale equiparazione, può configurarsi anche per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. Osservazioni
Si configura il reato di violazione degli obblighi di natura economica ex art. 3 l. 54/2006 nei casi in cui un genitore nega alle figlie minori, nate da una relazione extraconiugale, l'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies della l. 1 dicembre 1970 n. 898. Sul punto la Suprema Corte da una risposta positiva in contrasto con precedenti giurisprudenziali in materia. Secondo i giudici di legittimità la soluzione opposta si risolverebbe nella legittimazione di una diversità di trattamento: da una parte, la più ampia e severa tutela penale prevista per i figli di genitori coniugati, con ovvia ricaduta nei riguardi dei loro genitori; dall'altra, una ben minore tutela per i figli nati fuori del matrimonio, i cui genitori beneficerebbero pertanto di un più limitato spettro penale a loro carico. In conclusione, si perverrebbe ad una differenziazione priva di una reale motivazione sottostante, in contrasto con la tendenza perequativa che ha connotato tutti i più recenti sviluppi legislativi nell'ambito civile e perciò distonica rispetto a principi ormai sedimentati nel comune sentire, di assai dubbia conformità sul piano della legittimità costituzionale. |