Guida in stato di ebbrezza e assunzione di farmaci: una pronuncia di merito controcorrente
11 Gennaio 2016
Massima
In caso di accertamento del tasso alcolemico mediante alcol test l'imputato può provare la non corrispondenza tra il risultato di tale accertamento e l'effettiva concentrazione di alcol nel sangue, dimostrando l'interferenza da parte dei farmaci assunti. Il caso
Nel giudizio di primo grado il tribunale di Busto Arsizio riteneva l'imputato colpevole del reato di guida in stato di abbrezza, di cui all'art. 186, comma 2, lett. b), cod. strada aggravato ai sensi del comma 2-sexies dello stesso articolo, per essere stato commesso il fatto dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Il tribunale, riconosciute le attenuanti generiche, condannava l'imputato alla pena di 20 giorni di arresto e 600 euro di ammenda, pena detentiva sostituita con 5000 euro di ammenda, unitamente alla sospensione della patente per 6 mesi. Il tribunale aveva posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato da un lato i risultati dell'alcool test, che aveva mostrato, ad una prima verifica, un tasso pari a 1,05 g/l e, ad una seconda prova, un tasso pari a 1,10 g/l, e, dall'altro lato, la sua condotta colposa, consistita nell'essersi messo alla guida consapevole di aver assunto bevande alcoliche e, successivamente, un farmaco contro la tosse, contenente un'elevata percentuale di alcool etilico. L'imputato proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, sostenendo che il risultato dell'alcool test era stato alterato dell'assunzione di un farmaco contenente alcool etilico nella misura del 96%, farmaco che, pur non in grado, combinato con il vino assunto dall'imputato, di determinarne lo stato di ebbrezza, comportava un aumento dell'etanolo contenuto nell'aria espirata, che alterava il risultato del test. La questione
La questione affrontata dalla Corte d'appello di Milano riguarda la prova dello stato di ebbrezza e la rilevanza dell'assunzione di farmaci contenenti alcool, ai fini di tale accertamento. Prima di approfondire lo specifico tema affrontato nella pronuncia in esame è opportuno ricordare che il reato di guida in stato di ebbrezza è previsto dall'art. 186, comma 2, cod. strada, che configura due fattispecie caratterizzate dal superamento di diverse soglie, individuate sulla base del tasso alcolemico. In particolare, la fattispecie di cui alla lett. b) è integrata qualora il tasso alcolemico sia superiore a 0,8 g/l ed inferiore a 1,5 g/l, mentre la più grave ipotesi prevista alla lett. c) è integrata con il superamento della soglia di 1,5 g/l. Alla lett. a) è invece previsto un illecito amministrativo, nel caso in cui il tasso alcolemico sia compreso tra 0,5 g/l e 0,8 g/l. L'accertamento dello stato di ebbrezza – definito dal comma 6 dell'art. 186 cod. strada, che considera un soggetto in stato di ebbrezza in presenza di un tasso alcolemico superiore a 0,5 g/l – si effettua, ai sensi dell'art. 379, d.P.R. 495/1992, reg. cod. strada, tramite l'analisi dell'area alveolare espirata, da effettuarsi, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo, mediante etilometro, con il quale devono essere effettuati due accertamenti a distanza di 5 minuti l'uno dall'altro, ai sensi del comma 3.
Pur nella consapevolezza dell'eccezionalità del ricorso, da parte del legislatore penale, a questo tipo di meccanismi probatori, va rilevato che l'accertamento mediante etilometro si fonda su due presunzioni: a) che vi sia una rapporto tra la concentrazione di alcol nel sangue e quella contenuta nell'aria espirata e b) che ad una concentrazione pari a quella indicata dalla legge affinché sussista lo stato di ebbrezza corrisponda una effettiva condizione di alterazione psico-fisica che consistente nell'ebbrezza. La giurisprudenza ritiene che l'esito positivo dell'alcol-test costituisca prova della sussistenza dello stato di ebbrezza e ammette l'imputato a fornire prova contraria della prima presunzione, consentendogli di dimostrare che la concentrazione di alcol nell'aria espirata, rilevata dall'etilometro, non corrisponda all'effettiva concentrazione di alcol nel sangue, in ragione, ad esempio, di un guasto dell'apparecchio o dell'incidenza di altri fattori in grado di alterare il risultato dell'accertamento (cfr. fra le altre Cass. pen., Sez. IV, 24 marzo 2011, n. 17463). È opportuno fin da ora precisare che, affinché venga raggiunta la prova contraria, è necessario che vi sia una prova effettiva dell'alterazione dell'alcol test, non essendo sufficiente la mera allegazione di fattori che possono averlo “falsato” (Cass. pen., Sez. IV., 30 marzo 2004, n. 45070, Cass. pen., Sez. IV, 24 marzo 2011, n. 17463, Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 2011, n. 42084). L'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, invece, considera la seconda presunzione come assoluta e non ammette l'imputato a provare che, nonostante il superamento del tasso alcolemico consentito, non sussiste lo stato di ebbrezza (cfr., fra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 29 settembre 2011, n. 38793, Cass. pen., Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 43729, Cass. pen., Sez. IV, 5 febbraio 2013, n. 39490). Come anticipato, il nodo centrale della decisione della Corte d'appello è rappresentato dal rilievo che può avere l'assunzione di farmaci in relazione allo stato di ebbrezza e al suo accertamento mediante etilometro. In relazione alla rilevanza dell'assunzione di farmaci al fine della sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza, è opportuno delineare una prima fondamentale distinzione circa le tipologie di farmaci che, secondo la letteratura medico legale, sono in grado di incidere sul tasso alcolemico o sul risultato del suo accertamento mediante etilometro. In particolare si distinguono: a) farmaci che rallentano il metabolismo epatico post-assorbimento, che non alterano la concentrazione dell'alcol nel sangue, ma rallentano lo smaltimento dell'alcol ingerito; b) farmaci contenenti alcol, idonei a incrementare il tasso alcolemico presente nel sangue; c) preparati che possono influire sulla quantità di alcol presente nel cavo orale – e di conseguenza nell'aria espirata –, in grado quindi di alterare il risultato dell'accertamento mediante etilometro, senza incidere sull'effettiva concentrazione di alcol nel sangue. In ragione delle diverse caratteristiche che connotano le tipologie di farmaci sopra elencate, differente è la loro rilevanza ai fini della sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza e del suo accertamento, come si evince anche dalla giurisprudenza di legittimità e di merito formatasi in materia.
In particolare: a) farmaci che ritardano lo smaltimento di alcool nel sangue: è da escludere che l'assunzione di tali farmaci possa incidere sulla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, dal momento che essi non influiscono sul tasso alcolemico, unicamente derivante dalle bevande alcoliche assunte, ma semplicemente aumentano i tempi in cui l'alcol permane nel sangue. L'assunzione del farmaco potrebbe, in ipotesi, rilevare al fine di escludere l'elemento soggettivo, qualora l'imputato non fosse a conoscenza delle proprietà del farmaco e si fosse messo alla guida solo dopo aver atteso il tempo normalmente necessario per evitare il permanere di un tasso alcolemico vietato per chi guida. In merito va però ricordato che la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza è punita sia a titolo di dolo che di colpa e, pertanto, la responsabilità dell'imputato, nella maggior parte dei casi, sussisterà in ragione della possibilità di muovere, nei suoi confronti, un rimprovero di colpa, fondato sul dovere e sulla possibilità per l'imputato che assuma bevande alcooliche e farmaci e si metta alla guida, di informarsi sulle proprietà delle sostanze che assume, ad esempio, leggendo il foglietto illustrativo. Del resto, in casi di assunzione di questo tipo di famaci, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la responsabilità dell'imputato. Nella sentenza 29 settembre 2011, n. 38793, ad esempio, la suprema Corte ha ritenuto colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza l'imputata che aveva allegato e dichiarato agli operanti di assumere farmaci che potevano prolungare il tempo di permanenza dell'alcol nel sangue, derivante dal vino bevuto poche ore prima dell'accertamento, senza, però, incidere sul tasso alcolemico. Nella sentenza la Corte precisa che il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentato dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue: una volta accertato che il valore risultante dal test con l'etilometro corrisponde alla effettiva concentrazione di alcol nel sangue, vi è la prova dello stato di ebbrezza, non potendo, come anticipato, essere fornita, da parte dell'imputato, prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e l'insussistenza dello stato di ebbrezza. Nella sentenza, comunque, per escludere qualsiasi dubbio sulla rilevanza dell'assunzione di questo tipo di farmaci, si precisa, in relazione all'elemento soggettivo, che chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale. b) farmaci che incidono sulla concentrazione di alcol nel sangue: in astratto l'interazione di tali farmaci con l'alcol ingerito può incidere sull'elemento oggettivo, innalzando il tasso alcolemico derivante dall'assunzione di altre bevande alcoliche. Tuttavia, si rendono opportune alcune precisazioni, che la giurisprudenza di legittimità in materia ha avuto modo di evidenziare e che conducono ad una elisione delle potenzialità di una linea difensiva fondata sull'assunzione della categoria di farmaci in esame. In primo luogo, la suprema Corte ha ritenuto i farmaci con composizione alcolica compresi nella nozione di bevande alcoliche di cui all'art. 186 comma 1, cod. strada, la cui assunzione concorre a determinare lo stato di ebbrezza (Cass. pen., Sez. IV, 14 ottobre 2010, n. 38121) e quindi l'elemento oggettivo del reato. In secondo luogo si è evidenziato che la finalità terapeutica del prodotto assunto non esclude l'antigiuridicità della condotta. L'elemento oggettivo, alla luce dei principi di diritto affermati dalla Cassazione, nell'ipotesi in esame, non è dunque escluso: lo stato di ebbrezza rilevante ex art. 186 co. 2 può derivare dall'assunzione di farmaci a base di alcol, che rientrano nella nozione di bevanda alcolica, cosi come estensivamente interpretata dalla S.C. La suprema Corte ha anzi sottolineato che l'assunzione di tali farmaci impone l'astensione dalla guida o l'utilizzo di strumenti, disponibili sul mercato, per mezzo dei quali è possibile verificare il tasso alcolemico (Cass. pen., Sez. IV, 14 ottobre 2010, n. 38121 e, nella giurisprudenza di merito, cfr. ad esempio Trib. Como, sent. 20 dicembre 2013, n. 1570). Anche in relazione all'elemento soggettivo, dunque, poco spazio, residua per la rilevanza dell'assunzione di farmaci che influiscono sul tasso alcolemico. La giurisprudenza di legittimità, ha, infatti, evidenziato, ricordando che i reati di cui all'art. 186, comma 2, cod. strada sono puniti anche a titolo di colpa, che è sufficiente che l'imputato potesse venire a conoscenza degli effetti del farmaco assunto, perché ad esempio indicati nella prescrizione medica o nel foglietto illustrativo (Cass. pen., Sez. IV, 14 ottobre 2010, n. 38121). Anche l'elemento soggettivo potrà, dunque, essere difficilmente escluso, in caso di assunzione di farmaci in grado di incidere sulla concentrazione di alcol nel sangue. c) preparati che possono influire sulla quantità di alcol presente nel cavo orale: l'assunzione di sostanze appartenenti a questa tipologia non incide sulla concentrazione di alcol nel sangue ma è idonea ad alterare il risultato dell'alcoltest. Si tratta, dunque, di un fattore suscettibile di incidere non tanto sull'elemento oggettivo (né soggettivo) del reato, quanto sul suo accertamento ed in particolare sulla prova dello stato di ebbrezza. In relazione a questa tipologia di farmaci, va precisato che la dottrina medico-legale ha avuto modo di evidenziare che l'alcol contenuto in questa classe di preparati (come ad esempio i collutori) permane nel cavo orale per un ridotto periodo di tempo: l'arco temporale che intercorre tra il primo ed il secondo test (5 minuti, come previsto dall'art. 379 d.P.R. 495/1992, reg. cod. strada) è normalmente tale da consentire la neutralizzazione dell'effetto del farmaco sul tasso alcolemico accertato. Da quanto ora esposto emerge che le tre tipologie di farmaci sopra illustrate possono influire su profili diversi della responsabilità penale: i farmaci che ritardano lo smaltimento dell'alcol non influiscono sull'elemento oggettivo del reato ma possono – in un numero verosimilmente limitato di casi – incidere sull'elemento soggettivo; i farmaci che alterano la concentrazione di alcol nel sangue, incidono sull'elemento oggettivo del reato ma difficilmente potrà essere esclusa la responsabilità penale dell'inputato, in ragione della sussistenza, nella normalità dei casi, dell'elemento soggettivo (è sufficiente la colpa); i preparati che, pur non incidendo sulla quantità di alcol nel sangue – e quindi sullo stato di ebbrezza – possono alterare il risultato dell'accertamento mediante etilometro, rilevando solo ai fini della prova del reato. In relazione alle ipotesi in cui i farmaci incidono sullo stato di ebbrezza o sul suo accertamento, va peraltro rilevato che la giurisprudenza costante ritiene che non sia sufficiente che l'imputato prospetti l'avvenuta assunzione di farmaci potenzialmente in grado di alterare la concentrazione di alcol nel sangue, effettiva o accertata ma è necessario che egli fornisca risultanze probatorie specifiche in grado di supportare tale affermazione, che consentano di valutare l'effettiva incidenza dei farmaci sul tasso alcolemico (Cass. pen., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 50607). Si è affermato, infatti, che è necessario l'effettivo riscontro della avvenuta assunzione del farmaco e della sua incidenza sul risultato del test, non essendo sufficiente la mera allegazione della certificazione medica attestante, ad esempio, l'assunzione di farmaci idonei ad influenzare l'esito del test (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 8 aprile 2015, n. 15187).
Alla luce di quanto sopra esposto, è agevole comprende come gli spazi di rilevanza dell'assunzione di farmaci siano assai ridotti. In definitiva, la linea difensiva basata sull'assunzione di farmaci potrebbe avere maggiori probabilità di essere accolta, pur sempre in un numero limitato di casi, nell'ipotesi di assunzione di preparati a base di alcool che non incidono sullo stato di ebbrezza ma che alterano il risultato dell'alcol test. Anche in questo caso, comunque, va tenuto presente che, da un lato, l'alcol contenuto in tali prodotti rimane nel cavo orale per un ridotto periodo di tempo e, dall'altro, che l'imputato deve fornire precisi e specifici riscontri circa l'effettiva assunzione del farmaco e la concreta influenza esercitata sull'accertamento. Le soluzioni giuridiche
La Corte d'appello, nella sentenza in commento, ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la piena prova che l'esito dell'accertamento mediante etilometro non fosse stato alterato dall'ingestione di due fiale di Aminomal Elisir, farmaco contenente il 96% di alcol. L'assunzione del farmaco è stata ritenuta provata sulla base della testimonianza della passeggera che viaggiava al fianco dell'imputato, la quale ricordava di aver fornito ella stessa il farmaco all'amico, un paio di ore prima. Tale circostanza veniva inoltre confermata da un secondo teste, anch'egli amico dell'imputato e medico, il quale sottolineava che il preparato ingerito dall'amico poteva essere rimasto nel cavo faringeo e aver alterato l'accertamento. La stessa Corte d'appello riconosce, nella sentenza, che la linea difensiva prospettata dall'imputato rappresenta una giustificazione spesso addotta per contestare l'esito degli accertamenti alcolmetrici. Tuttavia, la Corte ritiene che nel caso di specie non vi siano ragioni per dubitare della genuinità delle concordi dichiarazioni dei testimoni e che a favore della prospettazione difensiva deponeva il fatto che l'imputato, fermato per un controllo di rutine mentre procedeva regolarmente alla guida, si presentasse lucido e che l'unico elemento sintomatico riscontrato dagli operanti era rappresentato dell'alito “vinoso”, secondo la Corte di Appello, riconducibile anche al farmaco assunto. Sulla base di queste argomentazioni, la Corte d'appello di Milano assolveva l'imputato, ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., in ragione del permanere del dubbio circa l'effettivo stato di ebbrezza. Osservazioni
La sentenza in commento si pone indubbiamente in controcorrente rispetto alla giurisprudenza di legittimità in materia e presenta alcuni profili di interesse, che meritano alcune osservazioni. In primo luogo va rilevato che il farmaco che l'imputato allegava di aver assunto può essere ricondotto alla categoria dei prodotti che non influiscono sulla concentrazione di alcol nel sangue e, quindi, sull'effettivo stato di ebbrezza ma sono in grado di alterare il risultato dell'accertamento mediante etilometro, per il permanere di un quantitativo di alcool nel cavo orale. Vale la pena ricordare che la letteratura medico legale evidenzia che l'alcol residuante nel cavo orale vi permane per un periodo ridotto di tempo e che l'intervallo che intercorre tra un test e l'altro (5 minuti) è normalmente idoneo a neutralizzate il suo effetto sull'accertamento. La Corte d'appello ha, invece, dato rilevanza, nella pronuncia in esame, ad un farmaco assunto un paio d'ore prima, farmaco che, secondo la letteratura medico legale sopra riportata, non dovrebbe più manifestare, dopo un lasso così prolungato di tempo, i sui effetti sulla concentrazione dell'alcol nell'aria espirata. In secondo luogo, a fronte della consolidata giurisprudenza di legittimità che richiede l'effettiva prova contraria, non solo dell'avvenuta assunzione del farmaco ma anche della concreta interferenza con l'accertamento mediante etilometro, la Corte ha ritenuto che l'imputato dovesse essere assolto sulla base del dubbio sullo stato di ebbrezza, per la possibile interazione del farmaco assunto con i test effettuati. A fondamento di tale decisione la Corte d'appello ha, infatti, posto l'assunzione del farmaco, accertata sulla base delle testimonianze degli amici dell'imputato e sulle affermazioni di uno di essi, di professione medico, il quale ha dichiarato genericamente che il farmaco poteva essere rimasto nel cavo orale e aver falsato il test. In merito ci pare opportuno ricordare che l'accertamento mediante alcoltest si fonda su una presunzione, che può essere vinta dall'imputato solamente fornendo l'effettiva prova contraria, non bastando l'insinuazione del dubbio circa la non corrispondenza fra il risultato del test alcolimetrico e l'effettiva concentrazione di alcol nel sangue. Un ultimo rilievo riguarda la circostanza che l'imputato non manifestasse i sintomi tipici dell'ebbrezza, cui la Corte d'appello fa riferimento per rafforzare le argomentazioni poste a fondamento della decisione. In merito è opportuno evidenziare che la concentrazione di alcol risultante dall'alcool test era pari ad 1,05 g/l, all'esito del primo accertamento e a 1, 10 g/l, nella seconda prova. La letteratura medico legale rileva che, in presenza di tassi alcolimetrici inferiori ad 1 g/l, lo stato di ebbrezza è normalmente asintomatico e che al di sopra di esso, si iniziano a riscontrare, in alcuni soggetti, gli effetti dell'alterazione psico-fisica dovuta all'alcool. In relazione al caso oggetto della sentenza va quindi evidenziato che il fatto che l'imputato non manifestasse segni evidenti dello stato di abbrezza, a parte l'“alito vinoso”, potrebbe non essere determinante, in ragione del fatto che il tasso alcolemico risultante dall'alcol test di poco superava la soglia al di sotto della quale lo stato di ebbrezza è normalmente asintomatico. |