La competenza in tema di amministrazione dei beni in sequestro: una “storia” destinata a finire

Enrico Campoli
11 Dicembre 2015

In materia di amministrazione giudiziaria dei beni sottoposti a sequestro preventivo la competenza in tema di revoca/modifica del vincolo reale risponde alla regola processuale del giudice che procede (art. 279 c.p.p.), mentre le istanze attinenti la loro gestione rimangono in capo al giudice che ha emesso il provvedimento genetico.
Massima

In materia di amministrazione giudiziaria dei beni sottoposti a sequestro preventivo la competenza in tema di revoca/modifica del vincolo reale risponde alla regola processuale del giudice che procede (art. 279 c.p.p.), mentre le istanze attinenti la loro gestione rimangono in capo al giudice che ha emesso il provvedimento genetico.

(Nella prassi giudiziaria quest'ultimo è quasi sempre il giudice per le indagini preliminari).

Ne consegue che mentre il procedimento viene trasmesso da un giudice all'altro, secondo la scansione procedimentale stabilita dal codice di procedura penale, (Gip/Gup/giudice dibattimento/giudice appello), copia degli atti relativi ai beni sottoposti al sequestro rimangono presso l'ufficio del giudice che ha provveduto al sequestro e ciò, ovviamente, in modo del tutto disgiunto dal fatto che lo stesso possa anche non essere più la stessa persona fisica (soprattutto per tali tipi di processi i tempi di definizione, nei tre gradi di giudizio, sono, di sovente, superiore ai cinque anni).

Il caso

Il tribunale, quale giudice che procede, dispone la revoca parziale di beni sottoposti a sequestro, ex artt. 321 c.p.p. e 12-sexies d.l. 306/1992 (conv. con modif. l. 356/1992), dal giudice per le indagini preliminari di quella stessa sede, dichiarandosi contestualmente incompetente a provvedere sulle ulteriori richieste formulate dall'amministratore giudiziario richiamandosi all'orientamento dei giudici di legittimità secondo cui in tale ultima materia la competenza va ascritta al giudice che ha disposto il sequestro, in modo del tutto avulso dalla regola di cui all'art. 279 c.p.p.

Il giudice per le indagini preliminari, che si vede rimettere dal tribunale le richieste dell'amministratore giudiziario, trasmette gli atti alla suprema Corte di cassazione ex artt. 28 e ss. c.p.p., contestando sia l'interpretazione secondo cui il disposto normativo dell'art. 12-sexies, comma 4-bis, d.l. 306/1992 rinvia in modo totalizzante alla disciplina dell'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati nei procedimenti di prevenzione (legge 575/1975, come novellata dal d.lgs. 159/2011), trattandosi, invece, di un mero rimando al modello gestionale già sperimentato in quello specifico settore, e sia che l'avanzare del procedimento in tema di revoca/modifica del vincolo reale possa essere disgiunto dalla gestione dello stesso.

La questione

Per far fronte alla recrudescenza della criminalità organizzata nel peculiare settore del riciclaggio dei beni provenienti da attività delittuose il legislatore, nel corso degli anni, ha fornito la magistratura ordinaria di una serie di strumenti, sempre più aggressivi, che consentissero di colpire efficacemente i lucrosi proventi delle attività delittuose.

Dapprima gli interventi normativi hanno avuto riguardo specifici settori delinquenziali ed alcune figure di reato, entrambi prevalentemente di natura associativa, per poi, man mano, estendersi a sempre più ampi settori (pubblica amministrazione; reati tributari; etc. etc.) con quel che ne è conseguito in termini di allargamento dello spettro dei problemi attinenti alla gestione degli stessi.

L'art. 104-bis att. c.p.p. – introdotto con la legge 94/2009 –, in modo quasi didascalico, prendeva in carico il problema gestionale delle aziende, delle società e dei beni sottoposti a sequestro preventivo “inaugurando” la stagione del continuo rimando alle norme in materia di prevenzione (e cioè alle disposizione di cui alla legge 575/1965, ora rinverdite nel d.lgs. 159/2001), cioè attingendo a quella specifica esperienza “amministrativa” già in carico alla magistratura ordinaria.

Tale rimando si è reso necessario in quanto gli strumenti, sia pur processualmente tutti confluenti nella misura cautelare reale del sequestro preventivo, hanno, sin dall'inizio, nel loro aspetto gestionale, sofferto di evidenti approssimazioni riguardo a numerose ricadute operative che solo di recente si è incominciato a prendere in considerazione a mezzo di specifici interventi regolamentari (albo degli amministratori giudiziari; tabelle liquidazione amministratori giudiziari; etc. etc.).

Le modifiche della legge 228/2012. Con l'introduzione dell'art. 12-sexies, comma 4-bis, del d.l. 306/1992 – a mezzo della legge 228/2012 (art. 190) – oltre a ribadire il rimando alle disposizioni in materia di misure di prevenzione il legislatore ha preso atto delle difficoltà determinate dalla gestione dei sempre più ingenti beni sottoposti a sequestro preventivo sancendo due principi fondamentali: il primo, con il quale si è stabilito che l'Agenzia coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati sino al provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, il secondo che successivamente a tale ultima pronuncia provvede direttamente ad amministrare i beni medesimi.

L'entrata in vigore di tali principi è stata posticipata dal legislatore all'emissione di tutti i regolamenti attuativi dettati dalle norme in materia, efficacia che, a distanza di oramai tre anni, non ha ancora visto piena attuazione.

Le soluzioni giuridiche

Sono stati affermati, dai supremi giudici di legittimità, nella decisione in commento, i seguenti principi di diritto :

  • La competenza in materia di amministrazione dei beni giudiziari spetta al giudice che lo ha disposto in quanto risponde alla ratio di attribuire la gestione di patrimoni spesso ingenti e caratterizzati da problematiche articolate e complesse ad un giudice specializzato ovvero collocato in una specifica posizione di conoscenza e di esperienza delle problematiche connesse alla materia.
  • Il richiamo svolto dall'art. 12-sexies, comma 4-bis, del d.l. 306/1992 alla disciplina in punto di gestione ed amministrazione dei beni sequestrati e confiscati nel procedimento di prevenzione è inequivoco e determina la cristallizzazione della competenza a decidere sulle istanze che la riguardano in capo al giudice che lo ha emesso.
  • Mentre, pertanto, sulle istanze di revoca/modifica del vincolo reale la competenza risponde alla regola di cui all'art. 279 c.p.p. (“giudice che procede”) per le istanze attinenti prettamente l'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro essa rimane ferma in capo al giudice che ha emesso il provvedimento.
Osservazioni

La prima considerazione da svolgere è che mai, come in questo caso, la regola che affida ad un sola Sezione penale della Corte di cassazione (la prima) la risoluzione dei conflitti di competenza dimostra tutti i propri limiti e ciò a difesa proprio delle prerogative affidate a tale organo di nomifilachia che necessitano, per definizione, della più ampia dialettica.

Accade, difatti, che una volta assunta una decisione in materia di competenza, anche laddove potenzialmente erronea, l'asse delle decisioni assai difficilmente trova “nuove” prospettive preferendo assestarsi su sterili e ripetitivi, richiami dei precedenti in modo, spesso sordo, ad argomentazione diverse.

La decisione assunta in tema di competenza sulle istanze attinenti l'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro ex artt. 321 e 12 cit. parte da un presupposto indiscutibile – e cioè il rimando alle norme in materia di prevenzione – per giungere ad una conclusione non solo distonica ma anche del tutto disancorata da una lettura sistematica delle norme in materia.

Se, difatti, è senz'altro vero che il richiamo alla disciplina in tema di misure di prevenzione è stato utile nel creare punti di riferimento certi in una materia vergine ed, in particolare, priva di quegli strumenti che solo di recente i regolamenti attuativi al nuovo testo sulle leggi antimafia stanno fornendo, lo è altrettanto che il parallelismo tra le due materie non può fuoriuscire da una corretta lettura (= interpretazione) sistematica.

I giudici di legittimità pur di avvalorare il loro pervicace orientamento a “schiacciare” sul giudice che ha disposto il sequestro preventivo tutto il peso dell'amministrazione dei beni – anche a distanza di anni dalla decisione genetica e, quindi, senza alcuna certezza che sia sempre lo stesso giudice ad occuparsene – decidono, scientemente, di ignorare che il procedimento ordinario e quello di prevenzione rispondono a realtà giurisdizionali del tutto diverse.

Il giudice delle misure di prevenzione è figura ordinamentale ben distinta dal giudice per le indagini preliminari non solo per la materia specializzata in carico al primo e non al secondo, che è, invece, inserito, nel meccanismo riguardante un procedimento teso ad affermare la colpevolezza o meno dell'imputato, ma anche in forza del fatto che quest'ultimo (art. 328 c.p.p.) è un giudice ad acta che provvede solo nei casi previsti dalla legge e solo sulle richieste formulategli dalle parti.

Appare quantomeno paradossale che l'interpretazione su cui la I Sezione della Corte di cassazione ha, da anni, sedimentato la propria opinione in tema di competenza riguardante l'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo, stravolga completamente la figura ordinamentale del giudice per le indagini preliminari: disegnato dal legislatore come un giudice ad acta finisce per diventare, e solo in questo specifico settore, un giudice perpetuo.

Tale interpretazione formalistica finisce per comportare una concentrazione di poteri-doveri in capo ad una sola persona ed ad un solo gruppo di amministratori “oggettivamente pericolosa”, declinandosi la pericolosità anche in capo a chi viene in tal modo sovraesposto e cioè giudice ed amministratori giudiziari.

Il buon senso vorrebbe che così come il processo avanza dall'uno all'altro giudice, secondo le fasi ed i gradi del giudizio, lo stesso dovrebbe accadere per la gestione dei beni sottoposti a sequestro preventivo rendendo tutti gli attori del processo non solo meno autoreferenziali nelle scelte ma anche consapevoli del controllo che altri svolgeranno sulle stesse, e tutto ciò, ben inteso, a loro stessa garanzia.

È paradossale, difatti, che mentre per le misure cautelari personali (carcere; arresti domiciliari; etc.) vi sia un continuo vaglio da parte del giudice che ne è, volta per volta, investito altrettale cosa non avvenga per la gestione dei beni facendo sì che, per anni ed anni, ad occuparsene sia sempre lo stesso giudice per le indagini preliminari e lo stesso gruppo di amministratori giudiziari in tal modo, palesemente, sovraesponendoli e rendendoli, al di là di ogni loro volontà, più vulnerabili.

Ebbene, nelle more che entri in vigore la disposizione normativa sopra riportata di cui alla legge 228/2012, che, invero, in modo approssimativo ed altrettanto pericoloso, cassa ogni controllo dell'autorità giudiziaria dopo lo svolgimento dell'udienza preliminare, sarebbe importante ripristinare il criterio che la gestione dei beni viaggi parallelamente al progredire del processo.

La suddivisione delle responsabilità non solo incentiva la trasparenze delle scelte ma costituisce anche una regola elementare di protezione del giudice, e di quelli che operano sotto il suo controllo.

Accanto alla regola certamente condivisibile di un giudice specializzato deve trovare spazio anche quella che un giudice deve controllare ed a sua volta dev'essere controllato: solo la continua sottoposizione al giudizio altrui rende il giudice specializzato più libero e meno esposto.

Guida all'approfondimento

Francesco Menditto, Misure di prevenzione in ilPenalista.it

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