L'imprescrittibilità del delitto di strage
13 Maggio 2016
Massima
I reati puniti con la pena astratta dell'ergastolo, tra cui il delitto di strage ex art. 422 c.p., devono ritenersi imprescrittibili anche nel vigore della disciplina dell'art. 157 c.p. precedente alla riforma operata con legge 251 del 2005 e ciò indipendentemente dalla concessione di circostanze attenuanti. Attesa la riconducibilità del delitto di strage nell'alveo dei crimini contro l'umanità di cui all'art. 7, comma 2, Cedu esso deve ritenersi sempre ed in ogni caso imprescrittibile. Il caso
Il caso oggetto della sentenza in commento attiene alla c.d. strage del bar Sayonara, avvenuta a Napoli nel 1989 nell'ambito di una faida tra clan camorristici per il controllo del territorio. Nell'episodio morirono sei persone e due rimasero ferite. Vi furono coinvolti anche soggetti estranei alle organizzazioni criminali, data l'ora pomeridiana in cui avvenne il fatto di reato. In primo grado, la Corte di assise di Napoli, con sentenza del 27 febbraio 2013, accertato il delitto di strage ex art. 422 c.p. in capo ai numerosi imputati, ha condannato alcuni di essi all'ergastolo; gli altri, previa concessione dell'attenuante della collaborazione con la giustizia ex art. 8 d.l. 152 del 1991, alla reclusione di anni 16. La Corte di assise di appello di Napoli, con sentenza del 23 gennaio 2015, pur confermando quanto affermato dal giudice di prime cure in relazione agli imputati condannati all'ergastolo, ha statuito di non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti degli imputati ai quali era stata riconosciuta l'attenuante della collaborazione con la giustizia sopra citata. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, il quale ha ritenuto doversi ammettere l'imprescrittibilità dei reati astrattamente puniti con la pena dell'ergastolo anche nella vigenza della precedente disciplina della prescrizione (che, come noto, è stata riformata con legge 251 del 2005, c.d. ex Cirielli). La questione
La questione rimessa alla Corte di cassazione, affine ad altra recentemente affrontata dalle Sezioni unite (n. 19756 del 24 settembre 2015, le cui motivazioni sono state depositate in data successiva alla pronuncia in commento), può essere così riassunta: se il delitto astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo, nella specie la strage ex art. 422 c.p., commesso prima della modifica dell'art. 157 c.p. per effetto della legge c.d. ex Cirielli, sia imprescrittibile, ancorché in presenza del riconoscimento di una circostanza attenuante dalla quale derivi l'applicazione di una pena detentiva temporanea (i.e. la reclusione). Le soluzioni giuridiche
Per maggiore chiarezza, nonostante la sentenza in commento sorvoli sul punto, è opportuno dare conto della diversa formulazione dell'art. 157 c.p., prima e dopo la riforma. In base all'art. 157, comma 2, c.p., nella versione precedente alla legge 251 del 2005, per determinare il tempo necessario alla prescrizione, doveva aversi riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti. Ai sensi del terzo comma, poi, in caso di concorso tra circostanze attenuanti ed aggravanti, trovava applicazione il bilanciamento ex art. 69 c.p. In base al “nuovo” comma 2 dell'art. 157 c.p., viceversa, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale. Il terzo comma specifica che non si applicano le disposizioni dell'art. 69 c.p. e l'ultimo comma sancisce che la prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo. Sulla base della nuova formulazione dell'art. 157 c.p., dunque, il delitto di strage ex art. 422 c.p., ancorché in concreto attenuato, è da considerare imprescrittibile. E tuttavia, attesa l'applicabilità al caso di specie della norma nella versione precedente alla legge 251 del 2005 (punto in realtà controverso, come si darà conto nel prosieguo), si tratta di capire se già allora fosse ammissibile l'imprescrittibilità dei reati astrattamente puniti con la pena dell'ergastolo, come sostenuto dal procuratore generale, ovvero se il calcolo del tempo necessario alla prescrizione dovesse operarsi solo successivamente all'avvenuta diminuzione per effetto della concessione dell'attenuante (nel caso di specie, quella di cui all'art. 8 d.l. 152 del 1991), come invece affermato dalla Corte di assise di appello. La questione è controversa in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, l'esclusione della prescrizione dei delitti per i quali la legge prevede astrattamente la pena dell'ergastolo è una regola antecedente alla riforma del 2005. Ne consegue che il reato punito con la pena dell'ergastolo commesso prima dell'entrata in vigore di essa è imprescrittibile, pur in assenza di una specifica disposizione in tal senso. Secondo altro orientamento, viceversa, si deve tenere conto del concreto trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice e, in particolare, del riconoscimento di eventuali circostanze attenuanti, come sembrerebbe desumersi dalla lettera dell'art. 157, comma 2 c.p. pre-riforma. La diatriba giurisprudenziale ha trovato composizione mercé l'intervento delle Sezioni unite che, con la sentenza n. 19756 del 24 settembre 2015 (le cui motivazioni sono state depositate in data successiva alla pronuncia in commento), hanno aderito alla prima opzione sopra descritta, affermando che i reati puniti in astratto con la pena dell'ergastolo sono da ritenersi imprescrittibili anche nel vigore della previgente disciplina dell'art. 157 c.p., indipendentemente dalla concessione delle circostanze attenuanti. A tale principio di diritto fa riferimento la sentenza in commento, laddove ritiene fondato il ricorso del procuratore generale di Napoli. Neppure può ritenersi, come prospettato dalla difesa di alcuni imputati, che tale mutamento giurisprudenziale sia assimilabile ad una modifica normativa in peius, con relativa irretroattività ex art. 2 c.p. Tale avanguardistica prospettiva, avanzata pure da alcune sentenze della suprema Corte, è stata definitivamente sconfessata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 230 del 2012, che ha ribadito la non sovrapponibilità, nell'ordinamento penale interno, tra diritto giurisprudenziale e legge penale, alla luce del fondamentale principio di legalità formale in materia penale di cui all'art. 25 Cost. Al fine di corroborare la posizione sopra esposta, la Corte di cassazione va oltre ed offre altri tre argomenti, invero di dubbia solidità, al fine di sostenere l'imprescrittibilità – da sempre e a prescindere da eventuali attenuanti – del delitto di strage ex art. 422 c.p. In primo luogo, il delitto di strage, in quanto crimine contro l'umanità di rilevanza transnazionale, è diretta espressione dell'art. 7, comma 2 Cedu, giustificandosi per esso una deroga al principio di legalità e, in particolare, di irretroattività della legge penale, qualora non fosse previsto e punito dall'ordinamento di uno Stato aderente alla Convenzione. Da questo particolare status del delitto in parola, i giudici di legittimità traggono la conseguenza dell'impossibilità che la prescrizione possa sottrarne gli autori a pena: un crimine contro l'umanità è in assoluto imprescrittibile. Ne consegue che qualora il legislatore introducesse un regime più favorevole per la prescrizione del delitto in parola (anche se nel caso de quo è avvenuto l'esatto contrario), esso non potrebbe trovare applicazione retroattiva, in deroga all'art. 2, comma 4, c.p. ed all'art. 7, comma 1, Cedu, come interpretato dalla Corte Edu (cfr. sentenza Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009). In secondo luogo, aderendo alla giurisprudenza della Corte europea in materia di prescrizione (cfr. le posizioni espresse nella sentenza Scoppola c. Italia, appena menzionata), la Corte di cassazione pare aderire a quella impostazione, invero minoritaria nel nostro Paese, che interpreta le norme sulla prescrizione quali norme di carattere processuale (e non sostanziale). Posto che per le norme processuali, a differenza di quelle sostanziali, vige il principio tempus regit actum, se ne deduce l'applicabilità nel caso di specie della normativa attuale, successiva alla legge c.d. ex Cirielli. E come sopra evidenziato, oggi nessuno dubita più della imprescrittibilità del delitto di strage, ancorché in concreto attenuato, in quanto punito con l'ergastolo (come emerge dal testo del “nuovo” art. 157 c.p.). Infine, con argomentazione del tutto fuorviante, viene richiamata la recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nel caso Taricco (erroneamente attribuito alla Corte Edu), ove è stato affermato il dovere per il giudice nazionale di procedere alla disapplicazione delle norme interne in materia di prescrizione, nel caso di violazione degli interessi dell'Unione. Osservazioni
Il primo argomento svolto dai giudici di legittimità, mercé il rinvio al dispositivo della sentenza a Sezioni unite n. 19576 del 24 settembre 2015 appare sicuramente dirimente. L'affermazione della imprescrittibilità dei delitti puniti astrattamente con l'ergastolo anche prima dell'intervento della legge c.d. ex Cirielli non lascia adito a dubbi circa l'erroneità della soluzione accolta dalla Corte di assise di appello di Napoli. È appena il caso di sottolineare, tuttavia, che il substrato ideale comune di entrambi gli orientamenti in contrapposizione (quello accolto dalla Corte di merito e quello fatto proprio dalla presente pronuncia) è ravvisabile nella interpretazione della prescrizione come istituto di carattere sostanziale, con relativa applicabilità dell'art. 2, comma 4 c.p. Per i giudici di seconde cure, la modifica in peius dell'art. 157 c.p., conseguente all'introduzione della legge 251 del 2005, lascia impregiudicata l'applicazione della normativa più favorevole precedente. Per i giudici di legittimità, viceversa, postulata l'imprescrittibilità del delitto di strage già nella disciplina previgente, il disposto dell'art. 157 c.p. pre-riforma si pone in rapporto di continuità normativa con la stessa norma nella nuova formulazione. L'argomento a fortiori della riconducibilità del delitto di strage ex art. 422 c.p. nell'alveo dei crimini contro l'umanità di cui all'art. 7, comma 2, Cedu appare invero “eccentrico” e forse non necessario nel caso di specie. Esso, tuttavia, risulta apprezzabile se si ritiene che la norma non trovi diretta applicazione nell'ordinamento interno (come, viceversa, sembra emergere dalle parole della Corte) ma venga impiegata quale parametro per l'interpretazione convenzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 422 c.p. e art. 157 c.p. pre-riforma, onde dedurne il regime di imprescrittibilità anche prima dell'intervento della legge 251 del 2005. L'ulteriore argomento dell'applicabilità del “nuovo” art. 157 c.p. al fatto concreto in esame, in forza del principio tempus regit actum, sulla base del quale trova applicazione la legge in vigore al momento dello svolgimento del processo (rectius della fase processuale), indipendentemente dal contenuto più o meno favorevole al reo, risulta sicuramente apprezzabile; ma è contrario al primo sopra esposto, perché muove da un'opposta concezione teorica di base, interpretando la prescrizione come istituto processuale (alla stregua dell'orientamento prevalente nella giurisprudenza della Corte edu), a dispetto della dominante impostazione della giurisprudenza e della dottrina nazionali, che concepiscono la prescrizione quale istituto di carattere sostanziale. Infine, l'ultimo argomento evocato dalla Corte, invero appena accennato, appare del tutto fuorviante ed erroneo. È evidente, infatti, la “confusione” dei piani (che emerge altresì in altri passaggi della sentenza) tra diritto dell'Unione europea e diritto convenzionale. La disapplicazione da parte del giudice nazionale delle norme interne in contrasto con il diritto euro-unitario è strumento che attiene precipuamente all'ambito di competenza dell'Unione europea ed alla rispettiva produzione normativa; altra cosa è la prospettata disapplicabilità delle norme interne in materia di prescrizione per contrasto con l'art. 7, comma 2, Cedu, operazione in più occasioni rifiutata ed avversata con forza dalla Corte Costituzionale: se il giudice nazionale ravvisa un contrasto insanabile tra diritto nazionale e norme della Convenzione, deve sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., che prescrive l'esercizio della potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. |