Sull'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nel rito penale davanti al giudice di pace
13 Aprile 2017
Massima
La Corte di cassazione si è espressa, più volte, nel senso dell'inapplicabilità dell'art. 131-bis c.p. ai procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace […] tale orientamento, sebbene maggioritario, non può, però, essere condiviso. Sono proprio le differenze fra i due istituti – art. 34 d.lgs. 274/2000 e art. 131-bis c.p. – che inducono a ritenere che quest'ultima sia applicabile a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perché sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal Legislatore di minore gravità. Il caso
Il giudice di pace di Verona dichiarava non punibile l'imputato del reato di cui all'art. 582 c.p. per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p. Avverso la sentenza ricorreva il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello per erronea applicazione di legge, in quanto l'art. 131-bis c.p. troverebbe applicazione unicamente nei processi davanti al tribunale. La questione
Il d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'art. 1 c. 1 lett. m) l. 28/4/2014 n. 67, ha introdotto all'art. 131-bis c.p. una specifica causa di non punibilità, per i casi di c.d. irrilevanza del fatto, topograficamente collocata all'inizio del Capo I, Titolo V, del Libro I del codice penale. Si tratta di un istituto a finalità deflattiva endoprocessuale, depuratore della giurisdizione penale dalla trattazione di vicende bagatellari. L'obiettivo, in conformità agli altri interventi previsti dalla l. 67/2014, è quello di restituire funzionalità e snellezza alla giustizia penale, ormai obesa da ipotesi “criminali” di scarsa rilevanza e/o pericolosità sociale. In tal modo, si intendono aprire le porte laterali del procedimento al fine di consentire al fatto di particolare tenuità – recante un minimo coefficiente di lesione dell'interesse protetto – di saltarne fuori, con conseguente esclusione della prosecuzione dell'esercizio dell'azione penale o della punibilità. Il metodo di ricerca di tale causa di espunzione dall'area della punibilità si fonda su una complessa operazione che parte da una concezione gradualistica dell'illecito, sotto il profilo dell'an e del quantum, per sfociare in un fatto tipico, antigiuridico e colpevole – un reato – ma che, considerato il suo minimo disvalore complessivo, non giustifica la necessità della pena, che costituirebbe, invece, anche nel minimo edittale, una risposta sproporzionata per eccesso rispetto all'effettiva offesa al bene giuridico protetto: exigua iniuria nulla poena. Ne deriva un diritto penale meno enfatico, che prevede una soglia minima di accesso alla meritevolezza della pena ma più capace di prevenzione primaria, quale capacità della legge di ottenere consenso e adesione sociale anche da parte del trasgressore che riconosce, nella sua scelta sbagliata, l'autorevolezza della norma. La tutela degli interessi della persona offesa è garantita dalla mancanza di pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno, al fine di evitare effetti di denegata giustizia, nei confronti della vittima che si rivolge fiduciosa all'organo istituzionalmente destinato a risolvere i (micro)conflitti sociali, ne cives ad arma ruant. Nonostante l'espresso riferimento contenuto nella legge delega 67/2014 di prevedere disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia, il legislatore delegato ha scelto di non effettuare alcun intervento sistematico con gli analoghi istituti concernenti l'irrilevanza penale esistenti – sebbene in tal senso sollecitato anche dalle Commissioni parlamentari – sul rilievo dell'estraneità di tale attività rispetto alle indicazioni della delega, che concerne esclusivamente l'attività di adeguamento della normativa processuale penale. Orbene, mentre in relazione al meccanismo recato dall'art. 27 d.P.R. 22 settembre 1998 n. 448, non sembra porsi alcun problema di convivenza – stante la specificità “recuperatoria” strettamente correlata con le finalità proprie del processo a carico dei minori – altrettanto non può dirsi in relazione al rapporto intercorrente con l'ipotesi prevista dall'art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, quale definizione alternativa del procedimento; rectius, sull'applicabilità del nuovo istituto, nel rito penale davanti al Giudice di Pace. Ne deriva che nell'affrontare la quaestio iuris l'interprete resta, ancora una volta, abbandonato a se stesso.
Sulla “sensibile diversità” dei due istituti che configurano la (medesima) particolare tenuità del fatto in modo differente, uno come una causa di non punibilità, l'altro come causa di non procedibilità, si è pronunciata, fin da subito, la Consulta (Corte cost., 3 marzo 2015, n. 25). Ma è l'iter giurisprudenziale di legittimità che arriva a soluzioni diametralmente opposte. -Le prime pronunce, rese da diversi Collegi, dopo aver affermato che risulta indimostrato, quanto erroneo (il) presupposto secondo il quale l'art. 131-bisc.p. sarebbe applicabile nei procedimenti per reati di competenza del giudice di pace» (Cass.pen., Sez. IV, 14 luglio 2015, n. 31920; Cass. pen., Sez. VII, 4 dicembre 2015, n. 1510), hanno ritenuto che tra i due procedimenti penali – onorario e ordinario – esiste un rapporto di specialità reciproca e che il procedimento dinanzi avanti al giudice di pace (è) disciplinato secondo criteri di ius singulare(cfr. Cass. pen., Sez. fer., 20b agosto 2015, n. 38876). - L'indirizzo è stato condiviso anche dalla quinta sezione che ha sancito che la causa di esclusione della punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p. non è applicabile ai procedimenti davanti al Giudice di Pace, poiché in questi si applica la disciplina prevista dall'art. 34 d.lgs. 274/2000, da considerarsi norma speciale, e quindi prevalente, rispetto a quella dettata dal codice penale (Cass. pen., Sez. V, 31 marzo 2016, n. 13093). - Con il primo revirement interpretativo, si è osservato che nessuna indicazione normativa conforta la tesi negativa e, proprio le differenze fra i due istituti, inducono a ritenere che quest'ultima sia applicabile a tutti i reati ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace. Del resto sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che la disciplina sulla tenuità del fatto che trova la sua ispirazione proprio nel procedimento penale avanti al giudice di pace, sia inapplicabile per i reati attribuiti alla competenza di quel giudice, ove invece dovrebbe farsi unicamente riferimento a quella specifica e più stringente di cui all'articolo 34 citato (Cass. pen., Sez. IV, 29/9/2016, n. 40699). - L'inapplicabilità è stata, poi, nuovamente sostenuta affermando che tale soluzione (è) imposta dalla disciplina dettata dall'articolo 16 c.p. secondo cui nei rapporti fra il codice penale e le leggi speciali, le disposizioni del primo si applicano anche alle materie regolate dalle seconde in quanto non sia da queste diversamente stabilito (Cass. pen., Sez. V, 2/11/2016, n. 45996). Le soluzioni giuridiche
L'orientamento maggioritario è stato, tuttavia, recentemente qualificato come non condivisibile, proprio dalla quinta Sezione, nella sentenza qui in esame. Nell'occasione, il Collegio svolge un lungo excursus teso a dimostrare che i due istituti hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti. Infatti, mentre l'art. 131-bis c.p. prevede una causa di esclusione della punibilità allorché l'offesa all'interesse protetto sia particolarmente tenue; l'art. 34 d.lgs. 274/2000 contempla una causa di esclusione della procedibilità quando il fatto sia di particolare tenuità. Inoltre, in relazione ai presupposti applicativi, l'art. 131-bis richiede che sia solo sentita la persona offesa (artt. 411 e 469 c.p.p.), mentre l'art. 34 d.lgs. 274/2000 è subordinato, nella fase delle indagini preliminari, alla condizione che non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell'imputato che della persona offesa, tenuto anche conto del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze della persona cui il fatto è attribuito. Non si tratta di differenze di poco conto, giacché le due norme presuppongono situazioni solo parzialmente convergenti, che, in quanto tali, non consentono l'applicabilità dell'invocato principio di specialità di cui all'art. 16 c.p. Valga il vero: il fatto previsto dall'art. 34 d.lgs. 274/2000 potrebbe non integrare la particolare tenuità per mancanza di occasionalità – elemento da cui prescinde l'art. 131-bis che richiede, invece, il parametro della non abitualità del comportamento – mentre le diverse modalità e poteri di interlocuzione consentiti alla persona offesa, collocano i due istituti su piani diversi di praticabilità, subordinando l'operatività dell'art. 34 d.lgs. 274/2000 a condizioni più stringenti di quelle richieste dall'art. 131-bisc.p. Ne deriva che, un fatto non inscrivibile nell'istituto previsto dall'art. 34 d.lgs. 274/2000 – e.g. perché non occasionale o perché osta un interesse, o vi è opposizione, della persona offesa – potrà, invece, rientrare in quello recato dall'art. 131-bis c.p. – e.g. perché si tratta di lesioni lievissime; a contrariis, possono esservi casi definibili ex art. 34 d.lgs. 74/200, anche se l'offesa superi il livello di offensività presupposto dall'art. 131-bis – e.g. perché ostano alla procedibilità le particolari condizioni dell'imputato. In conclusione, secondo il Collegio, sono proprio le differenze fra i due istituti, uniti alla disciplina sostanziale di maggior favore prevista dall'art. 131-bis, che inducono a ritenere che la legge generale recata dal codice penale risulti applicabile anche ai reati devoluti alla competenza del giudice di pace. Osservazioni
Le conclusioni cui giunge la sentenza 9713/2017, da tempo condivise anche da parte della dottrina, meritano apprezzamento. Diversamente ragionando, deriverebbe l'irragionevole, oltre che inammissibile, conseguenza che una norma di diritto sostanziale, nata per evitare il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensività, risulti limitata proprio nei riguardi di reati ritenuti dal legislatore di minore gravità. Resta, tuttavia, necessario che si pervenga, finalmente, a un orientamento univoco sulla questione, onde evitare di addossare al ricorrente il rischio di pagare il prezzo della singola sezione davanti a cui capita, con le sue altalene interpretative. In merito, si ricorda che Cass. pen., Sezun., 27 ottobre 2015 n. 43264, pur avendo la possibilità, almeno incidenter tantum, di fare chiarezza sul punto, ha ritenuto di non dover prendere posizione in ordine al problema. NANNUCCI - PICCIONI, L'Accusa e la Difesa nel processo davanti al Giudice Penale di Pace, Roma, 2001; CICCIA - MANZELLI - PICCIONI, Competenze penali del Giudice di Pace e attività di Polizia Giudiziaria, guida pratica con formulario degli atti, Rimini, 2004; PICCIONI, Tenuità del fatto e non punibilità. Analisi ragionata del d.lgs. 16/3/2015, n. 28. - Exigua iniuria: nulla poena, Rimini, 2015. |