Reati tributari e limiti alla confisca per equivalente

15 Febbraio 2017

La Corte di cassazione con la sentenza n. 30995 del 20 luglio 2016 è tornata ad esprimersi in tema di sequestro per equivalente, focalizzando l'attenzione sull'onere probatorio relativo alla dimostrazione dell'impossibilità di procedere al sequestro del profitto diretto del reato.
Massima

Non è consentito il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi quando sia possibile sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato (così anche Cass. pen., Sez. unite, n.10561/2014).

Il caso

Con ordinanza del tribunale di Teramo emessa il 21 maggio 2015 veniva dichiarata l'inammissibilità dell'appello proposto da M.C., indagato del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000 in qualità di amministratore unico di S.R.L., avverso l'ordinanza del Gip di Teramo del 21 aprile 2015 di rigetto dell'istanza di dissequestro delle quote di comproprietà di due unità immobiliari ubicate in Roseto degli Abruzzi.
Il tribunale di Teramo riteneva che la censura riguardasse in realtà non già l'ordinanza di rigetto dell'istanza di dissequestro del 21 aprile 2015 bensì il decreto genetico di sequestro dei 21 ottobre 2014, con il quale veniva disposto il sequestro per equivalente di beni mobili e immobili nella disponibilità di M.C., per un valore non superiore ad € 340.987,00; in tal senso, essendo il decreto genetico coperto da giudicato cautelare e non essendo stata proposta impugnazione, la richiesta di revoca della misura ed ogni mezzo di gravame avverso l'ordinanza di rigetto devono ritenersi inammissibili.
Nel merito, peraltro, aggiungeva che il sequestro per equivalente doveva ritenersi legittimo, per l'oggettiva impossibilità di procedere al sequestro del profitto "diretto" del reato, rappresentato dal risparmio di spesa, e non avendo la difesa dell'indagato dedotto specifici elementi probatori dai quali desumere l'effettiva esistenza in capo alla società di beni o disponibilità finanziarie riconducibili all'eventuale utilizzo di somme non versate all'erario; in tal senso deporrebbe altresì la richiesta di rateizzazione del debito avanzata da M.C. nella veste di legale rappresentante della S.R.L.

Avverso tale provvedimento l'indagato ricorreva per cassazione chiedendo l'annullamento dell'ordinanza, deducendo i seguenti motivi:

  • violenza di legge processuale in relazione all'art. 597 c.p.p;
  • violazione di legge processuale in relazione alla regola del giudicato cautelare;
  • violazione di legge processuale in relazione all'inversione dell'onere della prova;
  • violazione della legge sostanziale in relazione all'omessa motivazione sulla natura derivativa e non originaria della confisca.

La Corte di cassazione dichiarava il ricorso fondato e annullava la sentenza impugnata senza rinvio, con trasmissione degli atti al tribunale di Teramo.

La questione

La Corte di cassazione con la sentenza n. 30995 del 20 luglio 2016 è tornata ad esprimersi in tema di sequestro per equivalente, focalizzando l'attenzione sull'onere probatorio relativo alla dimostrazione dell'impossibilità di procedere al sequestro del profitto diretto del reato.

Nella fattispecie oggetto della pronuncia in commento, l'amministratore unico di una società, indagato per il reato di omesso versamento dell'Iva di cui all'articolo10-ter d.lgs. 74/2000, aveva proposto appello avverso l'ordinanza del Gip di Teramo di rigetto dell'istanza di dissequestro delle quote di comproprietà di due immobili appartenenti al medesimo. Il tribunale di Teramo aveva però respinto l'appello ritenendo, nel merito, che tale sequestro per equivalente doveva ritenersi legittimo per l'oggettiva impossibilità di procedere al sequestro del profitto diretto del reato, rappresentato dal risparmio di spesa e non avendo la difesa dell'indagato dedotto specifici elementi probatori dai quali desumere l'effettiva esistenza in capo alla società di beni o disponibilità finanziarie riconducibili all'eventuale utilizzo di somme non versate all'Erario; inoltre, secondo il tribunale, la richiesta di rateizzare il debito tributario proposta dalla società sarebbe stata ulteriore indice di mancanza di liquidità della stessa. L'indagato ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale lamentando, altresì, che il sequestro avrebbe dovuto essere eseguito prima sui beni della società e poi, solo in caso di incapienza, sui beni personali dell'amministratore.

La suprema Corte ha accolto il ricorso sulla base di un orientamento già consolidato in materia di sequestro preventivo per equivalente. In particolare, è stata richiamata la sentenza delle Sezioni unite secondo cui Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato (cfr. Cass. pen., Sez. unite, n. 10561/2014). La Corte ha osservato che, nel caso in esame, il sequestro per equivalente si basava sull'impossibilità di procedere al sequestro del profitto diretto del reato, rappresentato dal risparmio di spesa, in quanto la difesa dell'amministratore della società non avrebbe provato l'esistenza, in capo alla medesima, di disponibilità finanziarie o di beni derivanti dall'eventuale utilizzo delle somme non versate all'Erario.

Il supremo Collegio ha cosi rilevato come l'impossibilità di procedere al sequestro del profitto diretto del reato derivava da un'asserita carenza difensiva, anziché, in ossequio ad una corretta distribuzione degli oneri probatori, all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che aveva tratto vantaggio dalla commissione del reato. Ed ancora, il tribunale di Teramo non aveva neppure valutato la possibilità che, nel caso in cui il profitto di un reato sia rappresentato da denaro o altre cose fungibili, la confisca delle somme rinvenute nella disponibilità del soggetto (persona fisica o giuridica) che le aveva percepite, anche sotto forma di un risparmio di spesa attraverso l'evasione dei tributi, avviene, in ragione della sua fungibilità, sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per equivalente; principio di diritto recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, “qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Cass. pen., Sez. unite, n. 31617/2015). Ebbene, secondo la Corte di cassazione, la pronuncia in esame era meritevole di essere annullata per avere rigettato la richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo per equivalente senza che fosse stata, neppure sommariamente, verificata o risultasse dagli atti l'impossibilità di procedere al sequestro diretto, e senza alcuna motivazione circa l'esistenza ex actis di tale impossibilità.

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte, ponendosi in continuità con il proprio orientamento consolidato in materia, ha ribadito che nel caso in cui profitto di un reato presupposto ex d.lgs. 231/2001 sia il denaro od altre cose fungibili la confisca delle somme rinvenute nella disponibilità del soggetto che lo ha percepito, anche sotto forma di risparmio di spesa, avviene sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per equivalente. L'impossibilità di procedere al sequestro diretto va dimostrata ex actis e spetta all'accusa.

Osservazioni

La Corte di cassazione frena nuovamente sulla confisca per equivalente in materia di reati tributari nel caso in cui il prezzo o il profitto del reato sia costituito da denaro. Due gli orientamenti che si sono succeduti sul tema.

Secondo un primo orientamento, nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante nell'interesse della società, il sequestro preventivo e la successiva confisca per equivalente possono avere ad oggetto i beni della persona giuridica (Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2011 -dep. 19 luglio 2011, n. 28731). La suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante. Nella giurisprudenza di merito, invece, hanno seguito questo orientamento: trib. Foggia, 27 dicembre 2010, Gip Protano e trib. Milano, Sez. riesame, 28 novembre 2011 - dep. 15 dicembre 2011, Pres. Micara, Est. Tacconi. Tali pronunce hanno evidenziato come, sebbene la responsabilità per il reato tributario sia riferibile alla sola persona fisica (stante la mancata previsione, nel d.lgs. 231 del 2001, di una specifica ipotesi di responsabilità dell'ente per i reati tributari), le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale il legale rappresentante ha agito. Nel caso in cui il reato sia stato commesso dall'amministratore della società e il profitto sia rimasto nelle casse della società medesima, questa non potrebbe considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa all'utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati, a prescindere dalla previsione o meno della responsabilità amministrativa dell'ente.

Per un secondo e contrastante indirizzo giurisprudenziale, invece, non sarebbe ammissibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni appartenenti alla persona giuridica, quando si procede per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, salvo nel caso in cui la struttura societaria costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo all'esclusivo scopo di farvi confluire i profitti illeciti derivanti dai reati tributari (Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2012- dep. 10 gennaio 2013, n. 1256). Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno sostanzialmente seguito il secondo orientamento sopra richiamato, in particolare affermando i seguenti principi di diritto: È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio».«Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato».«L'impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. Pertanto, si deve escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, salva l'ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l'amministratore agisce come effettivo titolare.