I terzi estranei al reato sono legittimati ad appellare la sentenza che dispone la confisca dei loro beni?
14 Giugno 2016
Massima
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., degli art. 573, 579, comma 3, e 593 c.p.p. nella parte in cui non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca.
Il caso
Il Gup presso il tribunale di Messina, all'esito del giudizio abbreviato, disponeva la confisca – ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992, conv. legge 356/1992, c.d. confisca estesa – di numerosi beni formalmente intestati a soggetti terzi estranei al reato ma ritenuti nella disponibilità di fatto di due imputati (a loro volta condannati per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p.). I terzi, che nel corso del giudizio avevano presentato delle istanze di restituzione dei beni a loro intestati, rigettate dal Gup in via cumulativa con la sentenza di condanna, proponevano appello avverso la decisione di primo grado. La Corte d'appello di Messina, tuttavia, dichiarava inammissibili le loro impugnazioni, confermando per l'effetto la statuizione di prime cure: secondo la Corte, infatti, difettava la legittimazione ad impugnare il capo della sentenza relativo alla confisca. I terzi pertanto ricorrevano in Cassazione e, in particolare, censuravano: a) la normativa vigente in tema di appello che, escludendo l'intervento diretto nel giudizio del titolare dei beni oggetto di confisca, non gli consente di impugnare la decisione sfavorevole in tema di misure di sicurezza patrimoniali; b) l'omessa motivazione sulle doglianze difensive esposte negli atti di appello, stante la preliminare dichiarazione di inammissibilità delle impugnazioni. La questione
La questione di cui si sono occupati i giudici di legittimità nel provvedimento in commento è la seguente: è compatibile con il dettato costituzionale (nonché con i principi della Convenzione uuropea dei diritti dell'uomo) l'attuale regime delle impugnazioni nella parte in cui non consente ai terzi estranei al reato – formalmente intestatari di beni oggetto di confisca – di impugnare il solo capo della sentenza di primo grado relativo alle misure di sicurezza patrimoniali? Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, considerato vero e proprio “diritto vivente”, i terzi estranei al reato non sono legittimati a proporre appello. Tale conclusione s'impone alla luce delle disposizioni codicistiche in materia di impugnazioni ed, in particolare, dell'art. 568 c.p.p. (il cui terzo comma statuisce che il diritto ad impugnare spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce), del primo comma dell'art. 573 c.p.p. (secondo cui l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale), del terzo comma dell'art. 579 c.p.p. (per il quale l'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali) ed infine dell'art. 593 c.p.p. (che non contempla espressamente i terzi proprietari di beni confiscati fra i soggetti legittimati ad appellare). Gli unici rimedi esperibili dai terzi, pertanto, sono quelli cautelari (il riesame ex art. 324 c.p.p. e l'appello ex art. 322-bis c.p.p.) ovvero, una volta intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, l'incidente di esecuzione previsto dall'art. 676 c.p.p. La Corte di cassazione, tuttavia, è stata di diverso avviso, ritenendo – per le ragioni che si vanno ad esporre – che l'attuale assetto normativo sia incompatibile sotto più aspetti con il dettato costituzionale. Le soluzioni giuridiche
Al fine di sollevare una questione di legittimità costituzionale è necessario preliminarmente verificarne, ai sensi dell'art. 23 della legge 87/1953, la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Quanto al requisito della rilevanza, la Corte di cassazione ha ritenuto che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale: in caso di mancato accoglimento della stessa, infatti, la conseguenza sarebbe inevitabilmente quella di ribadire l'inammissibilità degli atti di appello proposti dai terzi; nell'ipotesi di accoglimento, all'opposto, risulterebbe certamente fondato il motivo di ricorso relativo alla carenza di motivazione della sentenza di appello, posto che i giudici di secondo grado, ritenendo gli appelli preliminarmente inammissibili, non avevano preso in esame i rilievi difensivi ivi espressi. Quanto al requisito della non manifesta infondatezza, i giudici di legittimità hanno rilevato la contrarietà degli artt. 573, comma 1, 579 comma 3, e 593 c.p.p. agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. (quest'ultimo con riferimento agli artt. 6, paragrafo 1, 13 ed 1 del protocollo addizionale della Cedu) nella parte in cui tali norme non prevedono che i terzi estranei al reato ma al contempo proprietari dei beni assoggettati a confisca con la sentenza di primo grado, possano proporre appello sul solo capo relativo alla misura di sicurezza patrimoniale. Osservazione
Con il provvedimento in commento la Corte di cassazione dimostra notevole sensibilità in ordine alle ragioni dei terzi intestatari di beni oggetto di confisca, i quali, pur essendo estranei al reato, sono comunque destinatari di provvedimenti che incidono profondamente sul loro diritto di proprietà. La Corte, in particolare, ha evidenziato un primo profilo di incostituzionalità, per violazione dell'art. 3 Cost., in relazione all'asimmetria esistente fra la posizione, da un lato, del terzo destinatario del sequestro funzionale alla confisca ex art. 12-sexies e quella, dall'altro, del terzo destinatario del sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione. Le due posizioni sono infatti sostanzialmente assimilabili, posto che, in entrambi i casi, i terzi rivestono una posizione ancillare: nel procedimento di cognizione non sono attinti dalle imputazioni (che si riferiscono al solo prevenuto) e nel procedimento di prevenzione sono estranei al giudizio di pericolosità (che concerne la sola figura del proposto). Ma diverse sono le forme di tutela che l'ordinamento prevede nelle due circostanze. Mentre nel giudizio di cognizione, infatti, il terzo non ha la possibilità di impugnare il capo della sentenza di primo grado che dispone la confisca (avendo a sua disposizione – come precisato dalla Corte costituzionale già con la sentenza 18/1996 – solo i rimedi cautelari di cui agli artt. 324 e 322-bis c.p.p.), il terzo nel procedimento di prevenzione è titolare di un vero e proprio diritto ad impugnare il provvedimento di primo grado (secondo quanto dispongono gli artt. 23 e 27 del decreto legislativo 159/2011). I giudici di legittimità, altresì, hanno ravvisato anche una possibile violazione dei principi del giusto processo ed in particolare del principio del contraddittorio, di cui all'art. 111 Cost. Nel giudizio di cognizione, infatti, il terzo vede accrescersi la probabilità di “spoliazione” del suo diritto di proprietà e non ha reale facoltà di “reazione immediata” alla decisione che dispone la confisca. Ciò avviene in quanto, dopo la sentenza di primo grado, il terzo non ha più alcuna possibilità di far valere i propri diritti sui beni in sequestro, posto che la statuizione di confisca contenuta nella sentenza – seppur non definitiva – non può essere messa in discussione: secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, infatti, non è possibile, nel corso del giudizio di secondo grado, restituire beni sottoposti a sequestro preventivo in quanto la confisca può intervenire fino al passaggio in giudicato della sentenza ovvero anche – in caso di confisca obbligatoria – in sede esecutiva. E nemmeno nel giudizio di esecuzione viene garantita la piena esplicazione del diritto di difesa del terzo. Osserva la Corte, infatti, che l'incidente di esecuzione risulta indubbiamente influenzato dalla esistenza della decisione irrevocabile posta a monte, nel cui ambito ben potrebbero essere stati presi in esame – senza contraddittorio effettivo con il titolare formale del diritto di proprietà – profili di ricostruzione probatoria e valutativi rilevanti anche in rapporto alla condizione giuridica del terzo. Con lo sviluppo progressivo della fase di merito si assiste, pertanto, ad una proporzionale diminuzione delle possibilità per il terzo di tutelare il suo diritto di proprietà; ed anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza le ragioni difensive del terzo potrebbero non trovare piena soddisfazione, atteso che nel giudizio di esecuzione il diritto alla prova (come dispone il quinto comma dell'art. 666 c.p.p.) si può esercitare solo in via mediata. La Corte di cassazione, infine, ha ravvisato anche la violazione dell'art. 117 Cost. con riferimento agli artt. 6, comma 1, 13 ed 1 del protocollo addizionale della Cedu, così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (ed all'uopo sono state richiamate le sentenze Grande Stevens contro Italia e Microintelect Ood contro Bulgaria del 2014, nonché Bongiorno contro Italia del 2010). In base a quanto previsto dall'art. 1 del prot. 1 della Cedu (in materia di protezione della proprietà) e dagli artt. 6 e 13 Cedu (in tema di giusto processo ed effettività dei rimedi), infatti, la tutela del terzo inciso nel diritto di proprietà deve avere carattere di effettività e tempestività, mentre l'attuale assetto normativo, secondo la Corte, non si rivela adeguato sia in riferimento ai caratteri strutturali dell'incidente di esecuzione che in rapporto alla dilatazione temporale della tutela apprestata: anche sotto questo profilo, pertanto, s'impone l'intervento risolutore della Consulta. |