Confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per il reato tributario commesso dal suo organo

16 Giugno 2015

In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e art. 322-ter c.p. non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.
Massima

In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e art. 322-ter c.p. non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.

È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica.

Il caso

Il tribunale di Trento, su appello del P.M. avverso l'ordinanza con cui il G.I.P. aveva rigettato la richiesta di misura cautelare reale avanzata dal P.M. medesimo, disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile di proprietà del legale rappresentante di una società, sottoposto ad indagine per il reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000, per aver omesso di versare per conto della società l'Iva.

La persona sottoposta ad indagini proponeva ricorso per cassazione sostenendo, tra gli altri motivi, che si sarebbe dovuto procedere al sequestro per equivalente nei confronti della società, in quanto, nel caso di reato tributario commesso dall'amministratore, la società non può essere considerata terza estranea.

Investita del ricorso, la terza Sezione della Cassazione lo ha rimesso alle Sezioni unite, stante l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale circa la possibilità di aggredire i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa.

Le Sezioni unite, in virtù delle argomentazioni che di qui a breve si riassumeranno, hanno affermato la non applicabilità nel caso esaminato della confisca per equivalente ai beni della societas, dichiarando il ricorso inammissibile.

La questione

La questione – di notevole rilevanza pratica e assai dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza – riguarda la possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante o da altro organo della stessa.

Le soluzioni giuridiche

Sulla questione testé indicata, si erano formate due diverse linee di pensiero.

Alle sentenze che riconoscevano la possibilità di aggredire i beni della persona giuridica (anche al di là dei casi di società-schermo create appositamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali) se ne opponevano altre che tale possibilità negavano recisamente.

  • Le prime, in particolare, sostenevano che la società, ancorché non responsabile ex d.lgs. n. 231/2001 (non figurando i reati tributari tra i reati-presupposto), non potrebbe essere considerata estranea al reato allorché il profitto fosse rimasto nelle casse della società medesima.
  • Le seconde, invece, evidenziato che le violazioni tributarie non rientrano nel catalogo di reati suscettibili di fondare la responsabilità dell'ente, ammettevano la confisca nel solo caso in cui la struttura aziendale fosse risultata un mero apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti (in una simile evenienza, ogni cosa fittiziamente intestata alla società sarebbe di fatto immediatamente riconducibile alla disponibilità dell'autore del reato).

Tali essendo i due opposti orientamenti che in giurisprudenza si sono fronteggiati circa la questione che ci occupa, le Sezioni unite hanno optato per quello che nega la possibilità di disporre a carico di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente qualora non sia stato reperito il profitto diretto del reato tributario compiuto da un suo organo, salvo che la persona giuridica non sia che uno schermo fittizio.

Volendo enucleare i passaggi salienti della sentenza oggetto di esame, va anzitutto detto che la Suprema Corte sottolinea la necessità di non confondere la confisca per equivalente con la confisca diretta del profitto del reato: mentre la prima colpisce somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile, la seconda ha per oggetto il profitto storico del reato, da intendersi come qualsiasi utilità comunque ottenuta mediante il reato stesso, anche in via indiretta o mediata (come ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato dall'attività illecita).

Muovendo da tale distinzione, le Sezioni unite, innanzitutto, escludono la possibilità di assoggettare a confisca per equivalente i beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salvo che la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l'amministratore agisce quale effettivo titolare. L'opposto orientamento – pur sostenuto in talune pronunce, come supra rammentato – non convince la Suprema Corte.

Anzitutto, fa notare la Corte, il rapporto tra l'ente e il suo organo non può di per sé valere a legittimare la confisca per equivalente. Né può sostenersi che l'ente sia coautore del reato, atteso che, in base al diritto vigente, a carico dell'ente non è prevista una responsabilità penale bensì una responsabilità amministrativa al ricorrere di determinati reati (tra cui non figurano quelli tributari, come già precisato).

Ma, soprattutto, avvertono gli Ermellini, non v'è una base normativa che consenta la confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per gli illeciti penali tributari commessi dai suoi organi.

  • Tale confisca (ed il sequestro ad essa finalizzato) non può essere disposta ai sensi dell'art. 19, d.lgs. n. 231/2001, atteso che detto decreto – lo si ribadisce – non contempla i reati tributari tra quelli idonei a fondare la responsabilità dell'ente.
  • Né può venire in aiuto l'art. 322-ter c.p. (il cui ambito di operatività è stato esteso ai reati tributari ad opera dell'art. 1, c. 143, l. 244/2007): detta disposizione si rivolge all'autore del reato e, come si è detto, la persona giuridica non può essere considerata tale.
  • Nemmeno può farsi ricorso, in via d'analogia, all'art. 11, l. n. 146/2006, che prevede la confisca obbligatoria, anche per equivalente, per i reati transnazionali: il carattere eminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente impedisce l'applicazione analogica della citata norma, stante il divieto di analogia in malam partem vigente nella materia penale.

Pur sposando la tesi che esclude la confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto del reato tributario compiuto da un suo organo, le Sezioni unite non mancano però di segnalare i profili di irrazionalità che la situazione delineata presenta. Alla Suprema Corte appare, infatti, irragionevole che i reati tributari non figurino, nel tessuto del d.lgs. n. 231/2001, tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti. Una simile lacuna – tenuto conto che, verosimilmente, la persona fisica che realizza la violazione tributaria opera nell'interesse dell'ente – finisce per vanificare le esigenze di tutela delle entrate tributarie sottese all'introduzione dell'art. 1, c. 143, l. 244/2007: basterà intestare alla persona giuridica i beni non direttamente riconducibili al profitto del reato affinché gli stessi possano sfuggire alla confisca per equivalente.

La denunciata irrazionalità del sistema non può però superarsi per il tramite dell'intervento della Consulta: per costante giurisprudenza costituzionale, il secondo comma dell'art. 25 Cost. osta all'adozione di una pronuncia additiva che fondi o peggiori la responsabilità penale; simili esiti potendo promanare soltanto da una scelta legislativa.

La sentenza in commento si conclude pertanto con l'auspicio di un intervento del legislatore volto ad innestare i reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto suscettibili di fondare la responsabilità dell'ente ex d.lgs. n. 231/2001.

D'altro canto, va notato che la stessa sentenza delle Sezioni unite lascia incidentalmente uno spiraglio all'ablazione del vantaggio ottenuto da una persona giuridica per il tramite di reati tributari commessi dal legale rappresentante o da altro organo dell'ente: la confisca diretta del profitto storico dell'illecito, in particolare quando tale profitto sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica beneficiata.

È da notare, però, che essendo il vantaggio da illecito tributario costituito di norma da un risparmio di spesa (imposta evasa), aderendo a questa logica si finisce per qualificare come confisca diretta quella avente ad oggetto un profitto materiale, e quindi un valore, piuttosto che cose materialmente affluite nel patrimonio dell'ente e pertinenzialmente legate al reato (come tipico dell'archetipo codicistico ex art. 240 c.p.).

Osservazioni

Volendo tirare le fila di quanto sin qui osservato, può dunque dirsi che, a parte i casi di reati transnazionali (cfr. l. n. 146/2006), l'unica ipotesi in cui, secondo le Sezioni unite della Cassazione, può legittimamente pervenirsi alla confisca per equivalente di beni societari, a fronte di reati tributari commessi dagli amministratori, è quella in cui la società sia un mero “schermo” attraverso cui l'amministratore agisce. Sul punto, come segnalato dalla stessa Cassazione successivamente alla pronuncia delle Sezioni unite (cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 marzo 2014, n. 18311), il provvedimento che dispone il sequestro (o la confisca) deve fornire precisa e solida motivazione.

Al di là di ciò, il massimo organo della nomofilachia ritiene sempre legittimo nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario; con tutti i dubbi che ne discendono in punto di estensione del concetto di confisca diretta ad un profitto immateriale quale il risparmio di imposta.

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