Inosservanza dei termini per la richiesta di giudizio immediato e sindacato del giudice
16 Luglio 2015
Massima
L'inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni previsti rispettivamente per la richiesta di giudizio immediato ordinario e di giudizio immediato c.d. cautelare è rilevabile da parte del giudice per le indagini preliminari, attenendo esso ai presupposti del rito. Il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, in esito alla valutazione della sussistenza dei presupposti, dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato. Il caso
Nella serata del 6 luglio 2009 veniva rinvenuto il cadavere di S.M.Z. La vittima era stata attinta da numerosi colpi inferti contro il distretto cranio-facciale, alla mano e all'avambraccio. Il giorno successivo, P.C. si presentava spontaneamente ai carabinieri e, sentito con le garanzie difensive quale indiziato di favoreggiamento personale, rendeva dichiarazioni etero-accusatorie nei confronti di D.S. in ordine alla responsabilità per l'omicidio di S.M.Z. In esito ai giudizi di primo grado e di appello, D.S. ha interposto ricorso per cassazione, denunciando, tra l'altro, la violazione degli artt. 453, commi 1 ed 1-bis, 454, comma 1, 455, comma 1, 178, comma 1, lett. c), c.p.p., atteso che né la richiesta del pubblico ministero né il decreto di giudizio immediato emesso dal giudice per le indagini preliminari specificano il tipo di giudizio immediato prescelto e che comunque non sussistevano i presupposti del rito. Rilevando altresì l'inosservanza dei termini per l'instaurazione del rito, considerato che le indagini sono proseguite fino al 1° luglio 2010 a fronte dell'iscrizione della notitia criminis in data 7 luglio 2009 e dell'esecuzione della misura custodiale in data 11 luglio 2009.
In motivazione Non è condivisibile il minoritario orientamento giurisprudenziale che, pur con diversità di accenti, ritiene ammissibile una qualche forma di sindacato del giudice del dibattimento sul decreto di giudizio immediato emesso dal giudice per le indagini preliminari, talora ritenendo non abnorme l'ordinanza del giudice del dibattimento che ne dichiari la nullità per insussistenza dei presupposti del rito, altre volte riconducendo impropriamente a tale ambito questioni concernenti l'utilizzazione degli atti. A giudizio degli Autori, la lettura delle norme che disciplinano l'ammissione del giudizio immediato offerta dai medesimi non solo è rispettosa dei principi desumibili dalla costituzione ma appare coerente con il complesso assetto del processo penale che attribuisce rilievo centrale al dibattimento quale sede fondamentale di verifica giurisdizionale in cui può esplicarsi con pienezza nel contraddittorio tra le parti il diritto di difesa. L'eventuale regressione del processo alla fase precedente, in accoglimento di eccezioni difensive volte ad ottenere la declaratoria di nullità del decreto di giudizio immediato per omesso rispetto dei termini previsti dagli artt. 453, comma 1-bis, 454 c.p.p., sarebbe contrario ai principi dell'ordinamento processuale e ad esigenze di razionalità e celerità. In un sistema tendenzialmente accusatorio, basato sulla centralità del dibattimento, una volta instaurato il giudizio immediato all'esito delle verifiche del giudice per le indagini preliminari, l'omesso rispetto dei termini è irrilevante, atteso il prevalente interesse dell'imputato alla celebrazione del giudizio in un tempo ragionevole. Inoltre l'unico momento in cui il giudice del dibattimento sarebbe in condizione di verificare la correttezza della precedente valutazione operata dal giudice per le indagini preliminari in ordine all'evidenza della prova è quello che si colloca al termine dell'istruttoria dibattimentale. Sulla base delle considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio di diritto: La decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato. La questione
La questione, rimessa alle Sezioni unite, è correlata all'interpretazione logico-sistematica degli artt. 453, 454, 455 c.p.p., nella prospettiva di comporre il contrasto interpretativo circa la seguente questione (più ampia rispetto al quesito proposto alle Sezioni unite): se l'inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, previsti, rispettivamente, per la richiesta di giudizio immediato ordinario e per quello custodiale, abbiano natura perentoria e se siano rilevabili dal giudice per le indagini preliminari. Le soluzioni giuridiche
La vicenda in esame ha posto chiarezza rispetto ad un annoso contrasto interpretativo che opponeva, da un lato, l'orientamento per il quale i termini ex artt. 453, comma 1-bis e 454 c.p.p. avrebbero avuto natura perentoria quanto al completamento delle indagini ma ordinatoria quanto alla richiesta del rito; dall'altro, la posizione di chi qualificava entrambi i termini perentori. La scelta esegetica trova origine nella precisa scelta del legislatore di soddisfare la necessità di imprimere velocità alle investigazioni nei casi in cui la prova appare evidente (nel caso del giudizio immediato ordinario) e di contenere in uno spazio cronologico predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato in stato di custodia cautelare (nel caso di immediato c.d. cautelare). La scelta, rispettosa della ratio del dettato codicistico, non limita le attribuzioni istituzionali del pubblico ministero laddove ricorrano accertamenti di maggiore complessità, attesa la possibilità per lo stesso di esercitare l'azione penale con altra forma. Rispetto a tali patologie è il giudice per le indagini preliminari l'organo investito delle funzioni di controllo: ad esso è affidato il compito di valutare non solo i profili di ammissibilità formale ma altresì la ricorrenza di tutti i presupposti previsti dalla legge, previo esame compiuto degli argomenti offerti dalla difesa in sede di interrogatorio o attraverso memorie ex art. 121 c.p.p., a censura della sussistenza delle condizioni utili all'instaurazione del rito. Il decreto che dispone il giudizio immediato chiude, pertanto, una fase di carattere endoprocessuale sulla quale non è previsto alcun ulteriore sindacato da parte del giudice del dibattimento. La regressione del processo alla fase precedente, in accoglimento delle eccezioni difensive per l'omesso rispetto dei termini normativamente previsti, sarebbe contrario ai principi dell'ordinamento processuale e ad esigenze di razionalità e celerità. Ciò in ragione del rilievo che, una volta instaurato il giudizio immediato in esito alle verifiche esperite dal giudice per le indagini preliminari, l'omesso rispetto dei termini appare irrilevante, considerato il prevalente interesse dell'imputato alla celebrazione del giudizio in un tempo ragionevole. Osservazioni
Un aspetto peculiare e discutibile dell'intervento delle Sezioni unite pare essere costituito dall'assunto secondo il quale sarebbe preclusa la sindacabilità del rispetto dei presupposti cronologici, allorquando essi non siano stati correttamente considerati dal giudice per le indagini preliminari. Non si comprende invero quale ostacolo si opponga alla sindacabilità, soprattutto ove si consideri che la violazione dei termini è lesiva del diritto di difesa e quindi determina una causa di nullità ex art. 178, lettera c), e 180 c.p.p. privando l'imputato della fondamentale garanzia costituita dal filtro dell'udienza preliminare, al di fuori dei casi consentiti dalla legge. Secondo alcuni autori la negazione della possibilità di intervento ad opera del giudice del dibattimento sarebbe foriero di un'irragionevole disparità di trattamento rispetto all'imputato che sia citato a giudizio con citazione diretta per un reato che preveda l'udienza preliminare. Mentre quest'ultimo, a tutela del proprio diritto, può rilevare lo specifico rimedio previsto dall'art. 550, comma 3, c.p.p., l'imputato che sia erroneamente rinviato a giudizio con rito immediato si vedrebbe privato del filtro dell'udienza preliminare, rimanendo privo di qualsiasi rimedio di carattere processuale. |