Non punibilità per fatti commessi in danno di congiunti, una norma costituzionalmente legittima ma da aggiornare

Valentina Sellaroli
16 Dicembre 2015

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p. sollevata con riferimento agli artt. 3, commi 1 e 2, e 24, comma 1, della Costituzione. Il tribunale ordinario di Parma, in composizione monocratica, con ordinanza del 22 settembre 2014, sollevava questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 649, comma 1, c.p.
Massima

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p. sollevata con riferimento agli artt. 3, commi 1 e 2, e 24, comma 1, della Costituzione.

Il caso

Il tribunale ordinario di Parma, in composizione monocratica, con ordinanza del 22 settembre 2014, sollevava questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 649, comma 1, c.p.

I fatti oggetto del giudizio, asseritamente commessi dall'imputato ai danni della moglie all'epoca convivente e non separata, riguardavano condotte di dirottamento di fondi comuni verso conti a lui solo intestati, ottenimento di mutui garantiti da ipoteca su casa coniugale iscritta con una falsa procura notarile, emissione di assegni circolari con la falsa sottoscrizione della moglie, richiesta di prestiti in appoggio su conti comuni e, per impedire la scoperta delle sue condotte illecite, esibizione di falsi estratti conto, finendo pertanto rinviato a giudizio per i reati di truffa aggravata in relazione alla circostanza comune di cui all'art. 61, n. 5, c.p., falso pluriaggravato in scrittura privata e falso in atto pubblico.

Il tribunale rimettente, evidenziata l'applicabilità in questo caso, almeno con riferimento al delitto di truffa, della causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., rilevava un contrasto tra la detta norma e gli artt. 3 e 24 Cost. evidenziando che la ratio a base della normativa in oggetto, di prevenire il turbamento connesso ad eventuali indagini e condanne nei confronti di componenti il nucleo familiare, non può considerarsi più attuale. Semmai, si evidenzia nell'ordinanza di rimessione, il nucleo familiare sarebbe turbato dalla commissione di reati da parte di alcuni dei suoi componenti nei confronti di altri, creando oltretutto una situazione di disparità di trattamento ingiustificatamente favorevole nei confronti dei familiari rispetto a quello di soggetti esterni. Sarebbero inoltre violati anche i profili del secondo comma dell'art. 3 e dell'art. 24 Cost., per la preclusione che soggetti deboli patirebbero nella tutela dei loro interessi verso familiari; subirebbe pregiudizio infine anche la coerenza interna dell'ordinamento che vede, invece, in altre fattispecie di reati quando commessi in ambito familiare, ipotesi aggravate delle fattispecie base.

Le motivazioni a sostegno della legittimità costituzionale della disposizione in esame venivano esposte dall'Avvocatura dello Stato, per il presidente del Consiglio dei ministri intervenuto in giudizio, che evidenziava come l'esito del bilanciamento tra opposti interessi – punizione del colpevole contro riconciliazione familiare – rientri appieno nella discrezionalità del legislatore.

La questione

La questione di costituzionalità sollevata, dunque, riguarderebbe tre profili: il primo comma dell'art. 3 Cost., per il trattamento ingiustificatamente più favorevole riservato ai congiunti della persona offesa nei reati contro il patrimonio rispetto ad estranei; il secondo comma dello stesso articolo, per l'ostacolo posto all'esercizio del diritto di soggetti deboli nell'ottenere tutela contro i propri congiunti; l'art. 24 Cost., infine, per l'ingiustificata compressione al diritto della persona offesa di agire in giudizio.

La Corte, nel richiamare natura e scopo della disposizione in esame – disegnare una area di protezione dell'istituzione familiare rispetto all'intervento punitivo dello Stato – richiama anche i limiti tradizionalmente individuati dalla giurisprudenza costituzionale a questo potere (cfr. sentenza Cortecost., 302/2000) individuandoli nell'offensività della condotta diretta solo al patrimonio individuale del congiunto e secondo un grado di protezione alla vita familiare direttamente proporzionale all'intensità del vincolo familiare.

Questa è la ratio della graduazione tra il primo e il secondo comma della norma, prevedendo quest'ultimo, per i parenti meno stretti, solo la riserva della procedibilità a querela ed è anche la ratio della esclusione totale, da entrambe le disposizioni, dei reati commessi mediante violenza alla persona. È dunque vero che le ragioni di questo bilanciamento risiedono nella scelta del legislatore di garantire tutela all'istituzione familiare anche a discapito del singolo componente, il quale viene privato della tutela penale (Corte cost., 302/2000). È in questo contesto che viene esaminata dalla Corte anzitutto l'osservazione del rimettente secondo cui questo modello familiare ormai non è più attuale, sia perché in caso di commissione di reati da parte di un congiunto verso altri congiunti ci si troverebbe già in situazioni deteriorate che escludono la presenza di quella solidarietà familiare da tutelare, sia perché è anacronistica quella comunanza di sostanze presupposta dai vecchi modelli familiari. Ne deriverebbe una irragionevolezza, oltre che una dubbia opportunità, della disposizione e della disparità di trattamento da essa posta.

Le soluzioni giuridiche

Nel valutare preliminarmente l'ammissibilità della questione anche in relazione alle eccezioni poste dall'Avvocatura, la Corte evidenzia che, pure nella sinteticità della formulazione, che presenta carenze argomentative sotto il profilo delle eventuali novità della disciplina normativa e della realtà sociale dei rapporti intrafamiliare, non può ritenersi che la prospettazione del rimettente sia carente sotto il profilo dell'indicazione del parametro costituzionale violato e del tertium comparationis (l'estraneo che commette reati contro il patrimonio): la questione, cioè, per la Corte, rileverebbe sotto il profilo del merito e non dell'ammissibilità non lasciando oscuro il senso della censura proposta (cfr. Corte Cost. 178/2015, 126/2015, 120/2015, 113/2015, 100/2015, 70/2015 e 52/2015).

A parere della Corte, piuttosto, risultano palesemente inammissibili le questioni poste con riferimento agli artt. 3, comma 2, e 24 Cost. per la genericità della prospettazione che non indica perché i familiari vittime di reati siano per ciò stesso soggetti deboli e perché mai la compressione dell'azione penale implichi necessariamente una violazione del diritto di difesa. Non sussiste invece alcun profilo di inammissibilità per quanto attiene gli effetti eventuali in malam partem di una eventuale sentenza di accoglimento (ordinanza Cortecost. 285/2012): l'art. 649 infatti rientra in quelle norme penali di favore che sottraggono gruppi di soggetti all'applicazione di fattispecie criminose.

Secondo giurisprudenza costituzionale costante (Cortecost. 46/2014; Corte cost.5/2014; Corte cost. 273/2010; Corte cost. 28/2010; Corte cost. 57/2009; Corte cost. 325/2008 e 394/2006) la riserva al legislatore non verrebbe elusa da decisioni della corte in casi simili perché l'effetto in malam partem deriverebbe dall'automatica riespansione della fattispecie incriminatrice legislativamente prevista ed incostituzionalmente derogata e non dall'ampliamento delle fattispecie incriminate, direttamente o per effetto dell'aggiunta di una eccezione alla deroga.

In definitiva tuttavia anche la questione posta con riferimento all'art. 3, comma 1, è ritenuta inammissibile, non perché non siano valide e ragionevoli le osservazioni poste dal remittente in merito alla non attualità di un così congegnato sistema di tutela degli interessi familiari, specie patrimoniali, anche a prezzo dell'impunità per fatti lesivi dell'altrui patrimonio, ma piuttosto perché sono nel caso di specie prospettabili una molteplicità di alternative, costituzionalmente compatibili, per evitare che prevalga l'impunità assoluta nella cerchia familiare. Prima tra queste ipotetiche soluzioni alternative alla caducazione della norma impugnata sarebbe la procedibilità a querela della persona offesa. Oltretutto la prospettiva di caducare solo il primo comma della disposizione in oggetto, lasciandone intatto il secondo comma, produrrebbe inaccettabili irrazionalità nel sistema di bilanciamento evidentemente scelto dal legislatore creando un trattamento paradossalmente di favore per i congiunti meno stretti dell'autore di condotte criminose patrimoniali intrafamiliari.

Osservazioni

La portata delle osservazioni della Corte, dunque, sta più negli obiter dicta che nella decisione stessa. Sembra emergere, infatti, un concetto di famiglia che sia costituzionalmente ammissibile, non anacronistico e non nemico delle persone e dei loro diritti (Corte cost., 494/2002). La Corte dà per assodato che oggi una protezione assoluta del nucleo familiare non risponderebbe più all'esigenza di garantire i diritti individuali e gli stessi doveri di solidarietà familiare. Premesso dunque che ogni deroga al principio di eguaglianza tra cittadini innanzi alla legge deve essere congruo nei presupposti logici e negli effetti con riguardo alle condizioni di fatto e di diritto che, per definizione, sono soggette ad evoluzione, sarebbe del tutto legittimo l'intervento caducante della corte, ove ne ricorressero tutti i presupposti, anche per evitare l'ingiustificato trascinamento nel tempo di discipline nate in una differente realtà sociale. Chiaro ed esplicito, dunque, è l'invito della Corte, pur ferma nel rispetto dei limiti dei poteri del giudice costituzionale (Corte cost., 22/2007; ordinanza 145/2007), a che sia il legislatore ad aggiornare una disciplina ritenuta evidentemente non più congrua e coerente con la realtà sociale attuale ed a porre un nuovo bilanciamento tra diritti dei singoli ed esigenze di tutela del nucleo familiare.