I limiti del giudice dell'udienza preliminare per rinviare a giudizio l'imputato latitante

Enrico Campoli
16 Dicembre 2016

Non è impugnabile per abnormità strutturale l'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare sospende il procedimento, ex art. 420-quater c.p.p., per l'impossibilità di affermare ...
Massima

Non è impugnabile per abnormità strutturale l'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare – a seguito della nullità del decreto che dispone il giudizio nei confronti del soggetto latitante da parte del giudice dibattimentale – sospende il procedimento, ex art. 420-quater c.p.p., per l'impossibilità di affermare, con certezza, che l'imputato – di nascita e cittadinanza estera e residente all'estero – abbia effettiva conoscenza dell'esistenza del procedimento in corso ovvero che si sia volontariamente sottratto ad essa o ad atti dello stesso.

Il caso

L'imputato, di nazionalità e cittadinanza estera, residente fuori del territorio nazionale, con apposito decreto, viene dichiarato latitante dal giudice per le indagini preliminari in seguito alle vane ricerche per l'esecuzione dell'ordinanza custodiale in carcere emessa nei suoi confronti in relazione a fatti (detenzione e porto d'armi; sequestro di persona; pirateria internazionale) commessi in acque internazionali (Mar Arabico – coste dell'Oman).

Una volta disposto il giudizio la Corte d'assise, rilevata la latitanza dell'imputato, dispone, ex art. 420-quater c.p.p., il rinvio dell'udienza per procedere ad una formale notifica all'imputato, personalmente ed a mani proprie, dell'avviso dell'udienza ad opera della polizia giudiziaria ai fini dell'eventuale sospensione del procedimento.

Nella successiva udienza i giudici della Corte d'assise, prendendo atto dell'esito negativo delle ricerche, con specifica ordinanza e, su parere difforme dell'ufficio del pubblico ministero, ritenuta la mancanza di prova certa in ordine all'effettiva conoscenza da parte dell'imputato dello svolgimento del procedimento, rilevando la nullità ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. in cui, a loro avviso, era incorso il giudice dell'udienza preliminare, dichiara la nullità del decreto che dispone il giudizio e restituisce gli atti a quest'ultimo.

Il giudice dell'udienza preliminare, una volta valutata l'estensione dell'applicazione dell'art. 296 c.p.p. alla disciplina introdotta dalla legge 28 aprile 2014 n. 67 (artt. 420-bis e 420-quater c.p.p.), sulla base della medesima nota della polizia giudiziaria già utilizzata dalla Corte d'assise, stante l'impossibilità di affermare con certezza che l'imputato avesse avuto conoscenza del procedimento ovvero che si fosse volontariamente sottratto ad essa, sospende il procedimento.

Ricorre per cassazione l'ufficio del pubblico ministero lamentando, sotto un primo profilo, l'abnormità del provvedimento […] nella parte in cui, sotto il profilo funzionale, determina una stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo e, sotto altro, la nullità, ex art. 178, comma 1, lett. b) e c), c.p.p., dello stesso in quanto ha disposto la sospensione del processo nonostante la dichiarazione di latitanza.

La questione

In seguito alle numerose condanne subite dall'Italia, in sede europea, per la disciplina riguardante i processi “in contumacia”, il Legislatore, con la legge 67 del 28 aprile 2014 – e l'introduzione della nuova disciplina dettata dagli artt. 420-bis e ss. c.p.p. – ha notevolmente limitato le ipotesi di processi in absentia ma, allo stesso tempo, non ha né modificato il sistema notificatorio né rivisitato, ed è quel che più rileva, l'istituto della latitanza laddove lo stesso sfocia nella fase giurisdizionale del processo.

Il primo assunto da cui partire nell'analisi della questione – questione che affonda le proprie antiche radici nella sentenza Cedu del 19 dicembre 1989 (Brozicek c. Italia) – è che mai lo stato di latitanza può essere, di per sé solo, equiparato alla rinuncia a comparire.

Proprio avendo tale parametro di riferimento si è giunti alla conclusione finalistica che, sotto il profilo processuale, un procedimento può essere legittimamente instaurato nell'absentia dell'imputato solo ove si possa dimostrare che quest'ultimo si sia, ed in modo evincibile da fatti concreti, sottratto al procedimento od a singoli atti dello stesso ovvero, quantomeno, alla conoscenza che esso esista.

Sulla base di tali assunti lo snodo fondamentale del processo – per i reati, ovviamente, che prevedono tale cornice edittale – è l'udienza preliminare in quanto sino all'esercizio dell'azione penale l'istituto della latitanza, anche nella sua rappresentanza in capo al difensore ed ai fini notificatori, ha la medesima efficacia di quella previgente alla legge 67/2014.

È per questo motivo che l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. – e così anche l'esercizio dell'azione penale nelle forme di cui agli artt. 453 e ss. c.p.p. che consentono lo scavalcamento dell'udienza preliminare – può svolgersi linearmente nei confronti del soggetto dichiarato latitante.

Quel che però era ed è tuttora “sufficiente” per l'esercizio dell'azione penale da parte dell'ufficio del pubblico ministero non lo è più, in seguito alle innovazioni normative citate, per la vocatio in ius: è su quest'ultimo piano che la giurisprudenza di merito e di legittimità aggiornano, continuamente, il modello minimo di conoscenza del procedimento – ovvero di conoscenza per sottrarvisi -, per poter disporre il rinvio a giudizio dell'imputato latitante.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, con la decisione in commento, hanno statuito il seguente principio di diritto:

  • l'ordinanza con la quale il giudice dell'udienza preliminare – nell'apprezzabile intento di attuare e coordinare i principi di cui agli artt. 296,420-bis e 420-quater c.p.p. – sospende il procedimento nei confronti dell'imputato (straniero e residente all'estero) latitante, non è strutturalmente abnorme in quanto resa in forza dei poteri espressamente riconosciuti al giudice dalla legge processuale ed è un atto che non determina la stasi del procedimento in quanto lo stesso prosegue secondo la tempistica di cui all'art. 420-quinquies c.p.p.;
  • in forza di un apprezzamento discrezionale, basato su indici concreti, il giudice può rivalutare la dichiarazione di latitanza resa in precedenza e ritenere che l'imputato non si sia volontariamente sottratto all'esecuzione dell'ordinanza restrittiva o alla conoscenza del procedimento per cui, in assenza di indici legali che dimostrino quest'ultima, deve sospendere il procedimento ovvero laddove la latitanza sia stata illegittimamente dichiarata dichiararne la nullità con tutti gli effetti processuali conseguenti.
Osservazioni

La decisione dei giudici di legittimità, solo in apparenza, riguarda, sotto il profilo dell'abnormità strutturale, lo stretto perimetro di impugnabilità dell'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare sospende il procedimento nei confronti dell'imputato latitante (straniero e residente all'estero) in quanto, di fatto, ha, sullo sfondo, il ben più rilevante tema dell'incidenza di tale status per una corretta decisione di rinvio a giudizio ex art. 429 c.p.p.

Il presupposto fondamentale affinché un processo in absentiapossa ritenersi legittimamente instaurato è che l'imputato, correttamente avvisato nelle forme di legge, decida di rinunciare ad essere presente ovvero che, laddove non raggiunto dagli avvisi di fissazione dell'udienza preliminare (ovvero di un altro atto di vocatio in ius) il giudice possa, in forza di elementi concreti, ritenere che egli abbia comunque una conoscenza del procedimento (presunzione legale) ovvero che vi sia una concreta e consapevole sottrazione a singoli atti del processo o anche alla conoscenza dell'esercizio dell'azione penale nei propri confronti.

È proprio in ragione di ciò che il Legislatore – fermo restando la situazione ottimale dell'avere l'imputato ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso d'udienza –ha individuato (art. 420-bis, comma 2, c.p.p.) dei precisi indici da cui desumere l'implicita conoscenza (legale) dell'esistenza del procedimento nei propri confronti :

  • il fatto di avere dichiarato o eletto domicilio;
  • l'essere stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare (personale);
  • l'avere nominato un difensore di fiducia.

Laddove non sussiste nessuna delle situazioni sin qui descritte l'altra possibilità è che il giudice possa, con certezza, affermare, – in base a specifici elementi concretamente valutabili e sottoponibili a controllo – che l'imputato abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia volontariamente sottratto ad essa ovvero, ancora, si sia sottratto a specifici atti del medesimo.

Tra gli indici di conoscenza (legale) presunta non rientra, però, attesa la tassatività di quelli elencati, la dichiarazione di latitanza ragion per cui occorre chiedersi se essa comporta una delle altre alternative sancite dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p.

Il nostro ordinamento – e solo per i casi in cui sia stata applicata una misura custodiale (carcere/arresti domiciliari) ovvero quella del divieto di espatrio e dell'obbligo di dimora (art. 296, comma 1, c.p.p.) – prevede la dichiarazione della latitanza nei confronti del soggetto che volontariamente si sottrae all'esecuzione: ne consegue, da un lato, che, in assenza di tale volontarietà, mai il giudice dovrebbe dar luogo al relativo decreto di latitanza e, dall'altro, che se vi ha dato luogo ciò non può che avere gli effetti processuali sanciti dalla legge tra cui quello, fondamentale, previsto dall'art. 165 c.p.p., secondo cui le notifiche all'imputato latitante […] sono eseguite mediante consegna al difenso, fosse anche quest'ultimo nominato di ufficio per la specifica evenienza (art. 296, comma 2, c.p.p.: Con il provvedimento che dichiara la latitanza il giudice designa un difensore d'ufficio al latitante che ne sia privo).

Alla luce di quanto sin qui detto qualora ci si sottrae volontariamente all'esecuzione dell'ordinanza applicativa di una delle misure cautelari personali sopra menzionate ciò comporta non solo la dichiarazione di latitanza ma anche la evidente equiparazione di tale situazione a quella – prevista dall'art. 420-bis, comma 2,c.p.p. – di sottrarsi volontariamente alla conoscenza di singoli atti del procedimento con la conseguenza che il giudice è legittimato a non sospendere il procedimento ed a proseguire in absentia essendo l'imputato latitante rappresentato dal difensore – (art. 420-bis, comma 3, c.p.p.: Nei casi di cui ai commi 1 e 2 l'imputato è rappresentato dal difensore).

Tali conclusioni consentono di affermare che il rinvio a giudizio dell'imputato latitante è possibile e legittimo processualmente in presenza dei puntuali presupposti sopra indicati.

Per la ragione opposta, e cioè se l'imputato non si è volontariamente sottratto all'ordinanza restrittiva ed il giudice non ha elementi concreti certi per affermare ciò, la latitanza non andrebbe dichiarata.

In tale ultimo caso – e solo per esso – laddove il giudice (che sia quello dell'udienza preliminare o quello dibattimentale) rimedita la dichiarazione di latitanza va da sé che ritenendola illegittimamente dichiarata ne consegue che viene travolto ogni atto ad esso conseguenziale (art. 185 c.p.p.) per cui se l'avviso ex art. 415-bisc.p.p. è stato notificato nelle forme di cui all'art. 165 c.p.p., cioè al difensore di ufficio, esso non potrà che essere dichiarato nullo ex art. 416 c.p.p.

In conclusione, quel che rileva è l'apprezzabilità discrezionale del giudice – sottoponibile ad impugnazione solo nella misura in cui si verta in ipotesi di abnormità – in merito sia alla genetica dichiarazione di latitanza che, in caso di esercizio dell'azione penale, alla succedanea, e conseguenziale, ordinanza di sospensione del procedimento tutte le volte in cui si ritenga che l'agente non abbia avuto in alcun modo conoscenza né del titolo restrittivo emesso nei propri confronti né che si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento, mentre laddove, invece, tale valutazione è positivamente svolta tanto da ritenere che quest'ultimo si sia, in forza di concreti elementi, sottratto all'ordinanza restrittiva ciò non solo rende legittima la dichiarazione di latitanza ma comporta anche che nei confronti dello stesso possa essere (debba essere) legittimamente emesso il decreto che dispone il giudizio essendo egli rappresentato dal difensore di ufficio.

Guida all'approfondimento

COLAIAVOCO, Instaurazione del processo contro soggetto latitante;

INDINNIMEO - PETROSINO, Le notifiche al latitante detenuto all'estero ed il processo in absentia.

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