Produzione e traffico illecito di stupefacenti. Il ravvedimento del reo può prevalere sulla recidiva
17 Maggio 2016
Massima
È costituzionalmente illegittima la norma contenuta nell'art. 69, comma 4, del codice penale, nella parte in cui esclude, che dal giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti, la circostanza attenuante speciale e ad effetto speciale prevista dall'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, possa essere dichiarato prevalente rispetto alla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. Il caso
Nella sentenza in commento, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Ancona, con ordinanza del 3 aprile 2015 (r.o. n. 165 del 2015), in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, se posti in relazione all'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990 sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. Il caso trae origine dalla sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari di Ancona, pronunciata in esito ad un giudizio abbreviato, nel quale, ai fini del computo della pena, erano state riconosciute all'imputato, a seguito del giudizio di bilanciamento, le circostanze attenuanti generiche in misura di equivalenza sulla contestata recidiva di cui all'art.99, comma 4, c.p. La Corte d'appello, investita della questione inerente la mancata concessione dell'attenuante prevista dall'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, aveva giudicato rilevante la questione, atteso che dalla documentazione prodotta, sarebbe risultato che l'attività di collaborazione resa dall'imputato ai sensi della circostanza attenuante invocata, sarebbe stata rilevante, e che quindi il suo riconoscimento nel giudizio, avrebbe avuto un “peso” tale da poter essere dichiarata prevalente nel giudizio di bilanciamento con la recidiva. In base a tali considerazioni, la Corte rimettente ritiene la questione di illegittimità costituzionale rilevante, in quanto in caso di suo accoglimento, data la notevole valenza della riduzione di pena prevista in caso di sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, la sua applicazione porterebbe ad una sostanziale riduzione del trattamento sanzionatorio. La questione
Le disposizioni che riguardano il concorso delle circostanze cosiddette eterogenee, ovvero aggravanti ed attenuanti, è disciplinato nell'art. 69 c.p. L'ultimo comma di tale disposizione, disciplina il giudizio di bilanciamento, in tutti i casi nei quali siano ravvisabili nel fatto storico, circostanze aggravanti ed attenuanti, comprese le circostanze di cui all'art. 70, comma 2, c.p., ovvero quelle inerenti la persona del colpevole, classificazione nella quale rientra la recidiva. La legge 251 del 7 dicembre 2005, ovvero Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze del reato per i recidivi, di usura e di prescrizione, ha inasprito il trattamento sanzionatorio riservato ai recidivi di cui all'art. 99, comma 4, c.p., inibendo che all'esito del giudizio di bilanciamento tra la recidiva reiterata e le circostanze attenuanti, queste ultime possano essere considerate prevalenti, cosi di fatto impedendo la riduzione di pena per effetto delle citate circostanze. Tuttavia prima della riforma dell'art. 69, comma 4, c.p., cosi come operata dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n.251, vi era la possibilità di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti anche ad effetto speciale, sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., per cui l'effetto premiale previsto dall'attenuante di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, avente natura sostanzialmente sinallagmatica in relazione all'attività collaborativa svolta, poteva dispiegare i suoi effetti, e rendere “retribuito” perlomeno sotto il profilo sanzionatorio, lo sforzo collaborativo operato dall'imputato, anche considerato che una delle finalità di tale circostanza attenuante era proprio quella di indurre quest'ultimo a porre in essere le condotte collaborative previste nella norma stessa, in cambio della previsione di una considerevole diminuzione della pena. Il rigore sanzionatorio introdotto dalla legge 251/2005, frutto di una scelta di politica legislativa, si basa sulla considerazione che i soggetti che si trovino nelle condizioni per essere dichiarati recidivi ai sensi del 4 comma dell'art. 99 c.p., abbiano un trascorso giudiziario tale, da impedire di considerare gli stessi come meritevoli di una diminuzione di pena dovuta alla valutazione della prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva, non tenendo in tal modo in considerazione quella che è la finalità rieducativa a cui deve “tendere” la pena ai sensi dell'art. 27, comma 2, della Costituzione e facendo di fatto venir meno la ragionevolezza su cui si basava la ratio dell'art. 73, comma 7, c.p. Per comprendere appieno la questione, è necessario considerare che la recidiva, è circostanza inerente alla persona del colpevole, secondo la definizione contenuta nell'art. 70, comma 2, c.p., e che la sua sussistenza in giudizio, è l'effetto dell'applicazione delle regole contenute nell'art. 99 c.p. ai precedenti giudiziari dell'imputato; tali precedenti, su cui si fonda la contestazione della recidiva, riguardano di norma un periodo di vita dell'imputato, precedente a quello riguardo al quale si riferisce il giudizio in cui se ne contesta la ricorrenza, e nel quale la stessa può essere oggetto del giudizio di bilanciamento con la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, che invece riguarda la condotta dell'imputato, posta in essere successivamente alla commissione del reato, in quanto descrittiva di una situazione di ravvedimento, posteriore rispetto ai fatti giudiziari sui quali si basa la contestazione della recidiva. Questa situazione, può portare a ritenere come il ravvedimento sia la conseguenza dalle precedenti condanne subite e che quindi la finalità rieducativa delle pene precedentemente irrogate, sia stata raggiunta, conformemente a quello che è il dettato dell'art. 27, comma 2, Costituzione. Non bisogna certo trascurare il fatto che la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. è solitamente espressione di un passato di reiterazione nella commissione di reati, anche della stessa indole, e pertanto magari non escludibile, ne bilanciabile in favore della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, perché indice di elevata capacità a delinquere, per cui il giudice potrebbe ritenere come non prevalente il fatto che l'imputato abbia deciso di collaborare nei termini descritti nella norma di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R.309/1990; tale giudizio di prevalenza o di equivalenza della recidiva di cui al quarto comma dell'art. 99 c.p., era riservato al giudice fino alla riforma introdotta dalla legge 251/2005, che invece, in base alla norma impugnata per illegittimità costituzionale, non aveva più poteri rispetto alla possibile dichiarazione di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990. Altra considerazione deriva dalla classificazione, rispetto agli effetti, della circostanza attenuante di cui si discute; infatti essa è classificabile come circostanza attenuante speciale, in quanto applicabile solo alle ipotesi previste nei commi da 1 a 6 dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 e ad effetto speciale in quanto la sua applicazione porta ad una diminuzione della pena da due terzi fino alla metà, rendendo in caso di sua applicazione, una considerevole diminuzione di pena, anche nelle ipotesi in cui la stessa sia considerata prevalente a seguito del giudizio di bilanciamento con la recidiva di cui al 4 comma dell'art. 99 c.p. Le soluzioni giuridiche
L'esclusione delle regole proprie del giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato di cui all'art. 69, comma 4, che il legislatore ha deciso di riservare ai casi di recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., è una scelta di politica legislativa rientrante nella signoria del legislatore, che ben può determinare quali debbano essere i fatti considerati come circostanze attenuanti del reato, quali debbano essere i loro effetti, e anche, come nel caso che interessa, quali debbano essere le circostanze sottratte al giudizio di bilanciamento; tale previsione però ha come conseguenza quella di vanificare quella che era l'ottica premiale, ispiratrice della riforma introduttiva della circostanza di cui all'art. 73, comma 7, d.lgs. 309/1990, legata alla possibilità di poter ottenere notevoli risultati investigativi con l'attività di collaborazione dell'imputato, altrimenti, magari, difficilmente raggiungibili; essa infatti prevede, per vero in maniera piuttosto indeterminata, che l'imputato si adoperi per evitare che l'attività delittuosa possa essere portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria a sottrarre risorse per la commissione dei delitti, condotte queste che, ove verificate come sussistenti, anche se finalizzate ad ottenere la notevole riduzione di pena prevista, sono sintomo perlomeno nei fatti, di un ravvedimento da parte del soggetto che le pone in essere, considerato che poi difficilmente potrà in futuro reiterare le sue condotte delittuose perlomeno in ordine alla commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti, viste le scelte, anche dissociative, che comporta l'attività di collaborazione. Osservazioni
La Corte costituzionale nella sentenza in commento rileva, peraltro molto fondatamente, come non si possa attribuire un valore tale agli elementi che hanno portato alla contestazione della recidiva di cui all'art.99, comma 4, c.p., da poterli ritenere, in qualunque caso, di valore superiore od eguale alla circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, in quanto gli elementi su cui si basa la contestazione della recidiva, erano quelli sussistenti precedentemente al momento di commissione del reato in contestazione, mentre quelli da cui dipende l'attribuzione dell'attenuante speciale in questione, sono sorti in un momento successivo alla commissione del reato, e sono quindi indice di un ravvedimento successivo, che ben potrebbe essere valutato di importanza prevalente rispetto ai precedenti penali sui quali si basa la contestazione della recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.
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