Il bilanciamento tra circostanze eterogenee nei confronti del recidivo reiterato torna alla Corte costituzionale
17 Luglio 2017
Massima
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3, e 32 della Costituzione. Ai fini della valutazione sulla sussistenza della recidiva il giudice deve valutare se ed in quale misura il precedente giudiziario abbia inciso rispetto all'elemento costitutivo della colpevolezza dell'imputato. In difetto di tale valutazione la questione di costituzionalità sui limiti imposti dall'art. 69, comma 4, c.p. al bilanciamento dell'attenuante del vizio parziale di mente con la recidiva reiterata si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, che di conseguenza ne determina l'inammissibilità. Il caso
Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Cagliari era stato investito (in sede di rito abbreviato) di un procedimento penale nei confronti di un soggetto imputato a titolo di concorso nel reato di cui agli artt. 110 e 628, comma 1, c.p. (rapina propria) per essersi impossessato della somma di euro 50 mediante una minaccia consistita nell'afferrare la persona offesa per il giubbotto e nell'avvicinarle il pugno chiuso al volto; al medesimo era stata contestata anche l'aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, avendo egli già riportato una decina di sentenze definitive per reati di furti e rapine commesse con modalità simili a quella oggetto del procedimento de quo. Nel corso del giudizio abbreviato, sulla base della documentazione prodotta dalla difesa ed in ragione delle conclusioni cui era pervenuta la perizia psichiatrica disposta dal giudice, era emersa in capo all'imputato un'infermità mentale tale da scemare grandemente la sua capacità di intendere e di volere. In particolare, la «visione egoica ed egocentrica» avrebbe limitato fortemente la capacità dell'imputato di riflettere sul significato delle sue azioni e gli avrebbe fatto ripetere «la condotta illecita un numero infinito di volte senza percepirne neanche il disvalore perché concentrato esclusivamente sul soddisfacimento del suo bisogno». Ad avviso del giudice il disturbo da cui risultava affetto l'imputato risultava di tale intensità da assumere rilievo causale determinante nella commissione degli illeciti; l'imputato infatti, ad avviso del giudice, avrebbe posto in essere la condotta illecita «non perché agisce liberamente in risposta ad impulsi criminali che potrebbe dominare ma perché "malato"». Allo stesso tempo, tuttavia, il giudice del merito, sul presupposto che la recidiva manifesta «una relazione qualificata tra i precedenti ed il nuovo illecito commesso, significativo di una maggiore pericolosità sociale», ha ritenuto che il reato commesso da ultimo dall'imputato fosse caratterizzato dalla stessa indole e da una concreta omogeneità rispetto alle condotte criminose precedenti (per ciò espressivo di una personalità delinquenziale), circostanza che non gli consentiva di poter escludere la sussistenza della recidiva reiterata contestata. Il giudice ha rilevato tuttavia che, in forza dell'art. 69, comma 4, c.p., l'attenuante della seminfermità mentale di cui all'art. 89 c.p. avrebbe potuto essere considerata al più equivalente rispetto alla recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.) contesta all'imputato, con la conseguenza che lo stesso giudice avrebbe dovuto infliggere una pena particolarmente severa se rapportata alla (ritenuta dal medesimo giudicante) lievità del fatto, all'immediata ammissione di responsabilità nonché all'efficacia causale rispetto alla specifica condotta criminosa del suo vizio di mente. La sanzione astrattamente applicabile, dunque, appariva al giudice rimettente sproporzionata e contrastante con la finalità rieducativa della pena. Conclusivamente il giudice ha dunque rilevato come il seminfermo di mente, ancorché recidivo reiterato, dovrebbe essere sottoposto a un trattamento sanzionatorio adeguato alla sua infermità, trattamento che nel caso sottoposto al suo vaglio avrebbe potuto essere assicurato esclusivamente dalla prevalenza dell'attenuante prevista dall'art. 89 c.p. sulla recidiva reiterata. Solo così nel caso di specie sarebbe risultato possibile «irrogare una pena adeguata alla concreta gravità del fatto (modestissima entità del danno patrimoniale e morale anche in termini di conseguenze per la vittima), alla personalità e colpevolezza dell'autore». La questione
Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Cagliari, con ordinanza del 30 giugno 2016 (r.o. n. 193 del 2016), ha pertanto sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3 e 32 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (legge c.d. ex-Cirielli), «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della diminuente della seminfermità di mente prevista dall'art. 89 codice penale sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, codice penale». La previsione della semplice equivalenza dell'attenuante del vizio parziale di mente con la recidiva reiterata costituirebbe, ad avviso del giudice rimettente, un automatismo in contrasto con esigenze essenziali di uguaglianza (art. 3 Cost.), con la finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.) e con il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Il giudice a quo ha in particolare rilevato come la deroga alla disciplina del bilanciamento di circostanze nel caso di specie appariva in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., in quanto avrebbe comportato l'applicazione di «pene identiche a condotte di rilievo sostanziale enormemente diverso»; in secondo luogo, tale deroga sarebbe apparsa in contrasto anche con il principio per cui la pena deve tendere a una finalità rieducativa (art. 27, comma 3, Cost.), in virtù del quale deve sussistere una necessaria proporzione «tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra»; infine, la norma doveva altresì ritenersi in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, il quale richiede che il seminfermo di mente, ancorché recidivo reiterato, sia sottoposto a un trattamento sanzionatorio adeguato alla sua infermità: trattamento che avrebbe potuto essere assicurato – a parere del giudice rimettente – solo attraverso il riconoscimento della prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulla contestata recidiva reiterata. A tali considerazioni il giudice a quo aggiungeva, peraltro, che il Legislatore stesso aveva riservato un trattamento particolare all'imputato minorenne, prevedendo per l'art. 98 c.p. una deroga al divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti rispetto all'aggravante della finalità di terrorismo o eversione introdotta dall'art. 1 d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (conv. con modif. in l. 6 febbraio 1980, n. 15) e rispetto all'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. con modif. in l. 12 luglio 1991, n. 203) in tema di associazionismo di tipo mafioso. Tale elemento sarebbe dunque, a detta del giudice rimettente, a sua volta dimostrativo – considerando che il minore imputabile e il seminfermo di mente devono ritenersi equiparabili sotto il profilo dell'immaturità intellettiva, affettiva e volitiva – dell'irragionevolezza della deroga al normale bilanciamento delle circostanze in tema di recidiva reiterata per il semimputabile. Ad avviso della difesa dello Stato intervenuta nel giudizio di legittimità costituzionale il giudice rimettente non avrebbe sollevato la questione in maniera adeguata, in quanto la valutazione effettuata in ordine all'applicazione della recidiva non appariva condivisibile. Una corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia avrebbe consentito, tenuto conto delle caratteristiche della personalità dell'imputato poste in evidenza dal giudice rimettente, di superare ogni dubbio di legittimità della norma censurata. L'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto altresì che, in ogni caso, la questione non risultava fondata in quanto la norma censurata non comporterebbe un'applicazione sproporzionata della pena, perché sanziona coloro che hanno commesso un altro reato essendo già recidivi, dimostrando così un alto e persistente grado di antisocialità. Nel caso in esame, poi, il divieto sarebbe giustificato in quanto «colpisce un'attenuante inerente la persona del colpevole ma lo "scalino" edittale determinato dal divieto di prevalenza non è manifestamente sproporzionato, valutando i dati soggettivi, connessi alla colpevolezza e alla pericolosità dell'agente, rispetto alla seminfermità mentale». La norma in questione inoltre non contrasterebbe con l'art. 27, comma 3, Cost.: la scelta legislativa di sanzionare la recidiva in modo più rigoroso, indipendentemente dalla gravità dei fatti commessi, dai loro tempi e modi e dalle sanzioni irrogate, rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore e sarebbe per ciò immune dalle censure formulate dal rimettente in quanto «il fatto stesso della persistenza nelle condotte antisociali, quali che esse siano, dimostra che la funzione rieducativa non ha potuto efficacemente esplicarsi». Infine non sarebbe violato neppure l'art. 32 Cost., perché il divieto di prevalenza dell'attenuante della seminfermità di mente sulla recidiva reiterata non inciderebbe sul diritto alla salute dell'imputato, il quale avrebbe ben potuto essere tutelato mediante la sottoposizione alla misura di sicurezza del ricovero nella casa di cura o di custodia. Le soluzioni giuridiche
La questione proposta dal Gup di Cagliari era dunque volta a ottenere una declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come già era in precedenza avvenuto a opera delle sentenze della Corte costituzionale n. 106 e 105 del 2014 e n. 251 del 2012. La Corte costituzionale ha preliminarmente ricordato, nel percorso argomentativo della pronuncia in commento, come successivamente all'entrata in vigore della legge 251 del 2005, la stessa Corte, posta di fronte a numerose questioni di legittimità costituzionale proprio dell'art. 69, comma 4, c.p. sollevate nel presupposto che la recidiva prevista dall'art. 99, comma 4, c.p. fosse obbligatoria, ne aveva dichiarato, con la sentenza n. 192 del 2007, l'inammissibilità considerando che esistevano invece solidi argomenti per ritenere tale recidiva facoltativa. Secondo la Corte, una volta caduto tale presupposto, il giudice sarebbe tenuto ad applicare «l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata solo qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo – in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo». Ciò posto, aveva aggiunto la Corte, allorché la recidiva reiterata concorra con una o più attenuanti, è possibile sostenere che il giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento – soggetto al regime limitativo di cui all'art. 69, comma 4, c.p. – unicamente quando, sulla base dei criteri dianzi ricordati, ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede; mentre, in caso contrario, non vi sarà luogo ad alcun giudizio di comparazione: rimanendo con ciò esclusa la censurata elisione automatica delle circostanze attenuanti (Corte Cost., sent. n. 192 del 2007; successivamente, ordinanze n. 171 del 2009, n. 257, n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008, n. 409 del 2007). L'indicazione della Corte era stata accolta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha statuito che «la recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma 4, c.p. opera quale circostanza aggravante facoltativa, nel senso che è consentito al giudice di escluderla ove non la ritenga in concreto espressione di maggior colpevolezza o pericolosità sociale del reo. Per l'effetto, dall'esclusione deriva la sua ininfluenza non solo sulla determinazione della pena, ma anche sugli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza sulle circostanze attenuanti di cui all'art. 69, comma 4, c.p., dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale e la continuazione di cui all'art. 81, comma 4, c.p., dall'inibizione all'accesso al patteggiamento allargato e alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444, comma 1 bis, c.p.p.» (Cass. pen., Sez. unite, 27 maggio 2010, n. 35738; nello stesso senso Cass. pen., Sez. unite, 24 febbraio 2011, n. 20798). La Corte costituzionale ha dunque ricordato che, tenuto conto dei precedenti penali, due sono le caratteristiche personali che il giudice deve valutare per decidere sulla recidiva: la pericolosità e la colpevolezza, intesa questa come rimproverabilità soggettiva per l'atteggiamento antidoveroso della volontà. È la maggiore colpevolezza dell'imputato che, unitamente alla sua pericolosità, dà fondamento alla recidiva. Fatte queste considerazioni preliminari la Corte ha dovuto rilevare come, nel caso di specie, il giudice rimettente, dopo aver ricordato i numerosi precedenti penali dell'imputato, aveva ritenuto di dover riconoscere la recidiva per l'esistenza di «una relazione qualificata tra i precedenti ed il nuovo illecito commesso, significativo di una maggiore pericolosità sociale», nulla osservando, invece, in merito al profilo della colpevolezza il quale, come rilevato, è l'altro elemento da considerare ai fini della recidiva. Sulla scorta di tali osservazioni la Corte costituzionale ha rilevato come l'argomentazione del giudice rimettente non avesse considerato che la diminuita colpevolezza dell'imputato avrebbe dovuto innanzi tutto essere valutata ai fini della recidiva, per stabilire se questa dovesse essere ritenuta esistente oppure no, perché solo dopo aver fatto ciò, una volta riconosciuta la recidiva, sarebbe stata rilevante, e si sarebbe potuta sollevare, la questione sui limiti imposti dalla norma censurata al bilanciamento dell'attenuante del vizio parziale di mente con la recidiva reiterata. Perciò la mancata considerazione della colpevolezza, ai fini della valutazione relativa alla recidiva, si è tradotta, ad avviso della Corte costituzionale, in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione che ne ha determinato l'inammissibilità. Osservazioni
Il giudice delle leggi in questo caso ha riscontrato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo vaglio nei termini sopra descritti. Fin dalla sentenza n. 192 del 2007, infatti, la Consulta ha più volte ribadito – a fronte delle numerose questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto proprio l'art. 69, comma 4, c.p. presentate successivamente alla riforma operata dalla legge c.d. ex Cirielli – che l'ipotesi di recidiva reiterata prevista dall'art. 99, comma 4, c.p. deve ritenersi in ogni caso facoltativa, di tal che il giudice sarebbe chiamato ad applicare il corrispondente aumento di pena «solo qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo – in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 c.p. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo». Ancora prima di procedere al giudizio di bilanciamento delle circostanze, pertanto, è compito del giudice quello di definire se l'aggravante della recidiva reiterata debba essere effettivamente applicata nel caso di specie, e nel fare ciò è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità dell'imputato. Ai fini della dichiarazione della recidiva, dunque, non è sufficiente la mera sussistenza del presupposto formale, rappresentato dalla previa condanna per uno o più delitti dolosi, ma occorre che il giudice accerti al contempo la sussistenza nel caso concreto del «presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla più elevata capacità a delinquere del reo». Come correttamente evidenziato dalla Corte costituzionale con la pronuncia in commento, dunque, l'atteggiamento psicologico che la recidiva mira a censurare è la peculiare insensibilità dell'imputato nei confronti delle condanne precedentemente riportate, che costituisce, cioè, un profilo di maggiore rimproverabilità soggettiva. Nel caso di specie, tuttavia, come inevitabilmente ha dovuto rilevare la Consulta, il giudice rimettente aveva omesso, al fine di vagliare la sussistenza di tali profili di maggiore rimproverabilità, di valutare la colpevolezza dell'imputato in ordine all'applicabilità della recidiva: il giudice a quo, infatti, aveva ritenuto di poter desumere l'applicabilità dell'aggravante ex art. 99, comma 4, c.p. semplicemente argomentando sulla base dell'esistenza di «una relazione qualificata tra i precedenti e il nuovo illecito commesso, significativo di una maggiore pericolosità sociale» e non aveva valutato la maggior colpevolezza dell'imputato. Tale omissione, che aveva viziato il percorso valutativo del giudice rimettente, è risultata tanto più evidente ai Giudici della Consulta in considerazione del fatto che, nel caso di specie, lo stesso giudice a quo aveva sostenuto la sussistenza in capo all'imputato di un'infermità mentale la quale, rivestendo i caratteri di cui all'art. 89 c.p., aveva proprio assunto un rilievo causale determinante rispetto alla reiterata commissione degli illeciti. Nondimeno il giudice a quo, mentre si era ampiamente concentrato sulla necessità di non derogare alle normali regole in materia di circostanze del reato al fine di adeguare il trattamento sanzionatorio all'evidente stato di salute psichica dell'imputato, non aveva per nulla considerato che la diminuita colpevolezza dell'imputato avrebbe dovuto innanzitutto essere valutata ai fini della recidiva, per stabilire se questa potesse o meno ritenersi esistente; solo laddove questa prima indagine avesse avuto esito positivo, infatti, la questione dei limiti imposti al bilanciamento di circostanze dall'art. 69, comma 4, c.p. avrebbe potuto assumere rilevanza. Per questo appare inevitabile, anche alla luce della pregressa giurisprudenza (sia costituzionale che di legittimità), la pronuncia di inammissibilità espressa con la sentenza in commento in merito alla questione di legittimità così come sottoposta all'attenzione dei Giudici della Consulta. Corte cost., 18 maggio 2009, n. 171;Corte cost., 7 luglio 2008, n. 257;Corte cost., 21 maggio 2008, n. 193; Corte cost., 31 marzo 2008, n. 90;Corte cost., 21 febbraio 2008, n. 33;Corte cost., 21 novembre 2007, n. 409;Corte cost., 5 giugno 2007, n. 192; Cass. pen., Sez. unite, 24 febbraio 2011, n. 20798;Cass. pen., Sez. unite, 27 maggio 2010, n. 35738.
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