Sulla responsabilità dei magistrati in caso di scarcerazione oltre i termini di durata della custodia cautelare
17 Novembre 2016
Massima
Sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell'ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscono in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare il fondamentale diritto di libertà. Qualora la condotta del difensore abbia concorso a non allertare il P.M., la stessa potrà incidere unicamente sulla determinazione della sanzione nella misura minima di legge della censura. Il caso
Un sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia, è stato incolpato all'esito di un'ispezione ordinaria del tribunale di Pisa, per avere omesso in due occasioni di chiedere al Gip la revoca degli arresti domiciliari per intervenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare. Precisamente, allorché, in data 2 novembre 2012, il sostituto procuratore della Repubblica aveva espresso parere favorevole sulla domanda dell'imputato di modifica dell'orario di lavoro esterno e, in data 28 novembre 2012, quando aveva presenziato all'udienza preliminare, sicché la cessazione dello stato custodiale era intervenuta, con un ritardo di 111 giorni, in data 15 febbraio 2013, allorquando gli atti erano pervenuti al tribunale di Pisa, competente per il giudizio. Con sentenza n. 39 in data 8 marzo 2016 la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) ha ritenuto il sostituto procuratore della Repubblica responsabile dell'incolpazione ascrittagli e – esclusa l'applicazione del d.lgs. 109 del 2006, art. 3-bis – gli ha irrogato (unitamente al Gip cui era stata ascritta analoga incolpazione) la sanzione della censura, osservando che: a) in via di principio sussiste la responsabilità del magistrato, quando sia rilevabile una carenza di controllo da parte del giudice, depositario dell'obbligo di vigilanza sul rispetto dei termini custodiali e al quale compete l'adozione delle misure organizzative idonee a mantenere sempre sotto controllo i termini di scadenza; b) nella specie, lo stato di privazione della libertà personale dell'imputato era noto sia al P.M. che al Gip, già in epoca antecedente all'udienza preliminare, come si evinceva dallo stesso parere espresso dal primo e dal conseguente provvedimento del secondo; ed una normale diligenza avrebbe imposto – sia per il P.M. che per il Gip – di acquisire gli atti del procedimento per effettuare, già in quella sede, un controllo sulla situazione del soggetto ristretto e in attesa di giudizio, quantomeno al fine di conoscere i motivi che avevano determinato l'applicazione della misura o il titolo dei reati ascritti all'imputato, anche perché, avuto riguardo al titolo di reato contestatogli, non era indifferente l'individuazione dell'orario in cui lo stesso sarebbe stato libero di circolare per svolgere il suo lavoro di badante; c) le condotte negligenti emergevano per tabulas anche in sede di udienza preliminare del 28 novembre 2012, risultando nel modulo prestampato presente nel fascicolo di udienza e intestato “udienza preliminare”, l'annotazione che l'imputato era stato autorizzato a comparire sotto scorta, con la conseguenza che andava disattesa ogni difesa, sia del P.M. che del Gip, intesa a far valere la concreta assenza di elementi in ordine alla sottoposizione dell'indagato a misura restrittiva, essendo emerso dai riscontri documentali che, a tal fine, sarebbe stato sufficiente sfogliare il fascicolo di udienza. Avverso questa sentenza proponeva ricorso principale l'incolpato. In motivazione […] il comportamento del magistrato che omette di rilevare la scadenza dei termini custodiali è sicuramente idoneo a integrare la "grave violazione di legge" derivante da palese "negligenza inescusabile", violativa anche del dovere di "diligenza" dei magistrati nell'esercizio della funzione di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo sugli illeciti disciplinari del 2006 (cfr. ex multis, Sez. Unite 3 luglio 2012 n. 11069). […] la disapplicazione della norma che impone la liberazione dell'indagato può essere giustificata solo da un elemento esterno all'illecito, necessario a delimitarne portata e funzione, cioè da una circostanza che rientri nella categoria delle c.d. "condizioni di esigibilità" dell'ottemperanza al precetto normativo, che impone i termini di carcerazione preventiva nella fase cautelare, oltre i quali la lesione del diritto di libertà diviene ingiustificata ed evidenzia la gravità della violazione di legge in rapporto all'inviolabile diritto fondamentale di libertà tutelato dalla carta costituzionale. In tale prospettiva è stato affermato da queste Sezioni Unite che sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero, in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell'ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscano in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare la lesione del fondamentale diritto di libertà (sentenza 29 luglio 2013, n. 18191). Orbene, nessuna delle circostanze su cui si appunta la difesa del ricorrente presenta siffatti caratteri, dovendo - con specifico riferimento alla condotta tenuta all'udienza preliminare - evidenziarsi come le deduzioni del ricorrente s'infrangono contro la considerazione, in diritto, che eventuali carenze del fascicolo non si risolvono in cause di esonero da responsabilità e contro l'accertamento in fatto - quale svolto nella decisione impugnata e non sindacabile in questa sede - che entrambi i magistrati incolpati (sia il G.U.P. sia il P.M.) erano in grado di evincere la situazione custodiale dall'annotazione circa il trasferimento dell'imputato nell'aula di udienza. Quanto, poi, al fatto che, in ultima analisi, abbia per così dire "concorso" a non allertare il P.M. la stessa condotta del difensore dell'imputato, è sufficiente osservare che - quali che siano state le ragioni di tale condotta ("strategia difensiva" o, all'opposto, negligenza del legale) - si tratta di circostanza che, unitamente alle altre richiamate dalla ricorrente e allo stesso fatto (concorrente) eventualmente ascrivibile al titolare del fascicolo (anche per il periodo successivo all'udienza preliminare), può incidere (ed evidentemente ha inciso) sulla determinazione della sanzione nella misura minima di legge della "censura", ma che non evidenzia una condizione di "inesigibilità" della condotta, nei termini sopra precisati. […] Quanto, poi, all' applicazione dell'esimente di cui all'art. 3bis cit., ad avviso del Corte costituiscono compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, da svolgere sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche oggettive della vicenda addebitata. Orbene siffatta valutazione, nel caso specifico, vi è stata ed è stata, altresì, sufficientemente motivata, avendo la sezione disciplinare escluso l'esimente "alla luce della evidente grave compromissione dell'immagine del magistrato, nonchè del danno arrecato dalla privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo. La questione
Le questioni in esame sono le seguenti: nella fase delle indagini preliminari, chi ha l'obbligo di vigilanza sulla scadenza dei termini di custodia cautelare? La competenza spetta esclusivamente al magistrato assegnatario del procedimento? Anche nella fase dell'udienza preliminare vi è un compito di vigilanza del P.M.? Quando può essere esclusa la responsabilità del magistrato ex art. 3-bis d.lgs. 2006 n. 109? Vi è connessione tra gli illeciti disciplinari di cui all'art. 2, lett. a) e g), d.lgs. 109/2006? In realtà, la sentenza in commento esclude che il Gip abbia una prerogativa esclusiva di vigilanza sulla scadenza del termini di custodia cautelare, spettando detto controllo anche al P.M. Inoltre, esclude che ciò spetti esclusivamente al P.M. assegnatario del fascicolo e che possa costituire un esimente il comportamento inerte del difensore. Il tutto, in linea con l'orientamento maggioritario della Cassazione. Nella decisione, in particolare, si rileva che nessuna preclusione di controllo può mai operare nei confronti di un P.M. che tratti la posizione di un indagato sottoposto a misura cautelare, richiedendosi sempre un obbligo di vigilanza sul rispetto dei termini di custodia cautelare. Le soluzioni giuridiche
Le soluzioni offerte alle questioni in esame sono pressoché costanti. In realtà, preme rilevare che, la problematica afferente la vigilanza e il controllo sulla scadenza dei termini relativi alle misure cautelari (artt. 297, 299, 303 e 308 c.p.p.) è stata prevalentemente esaminata da parte della giurisprudenza disciplinare (Sezioni unite civili della Cassazione e Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura). Inoltre, per ciò che ci riguarda, va osservato che, sebbene inizialmente, dopo l'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1989, si sostenne che il compito di vigilare sul rispetto dei termini di durata delle misure cautelari personali spettasse al giudice e, durante la fase delle indagini preliminari, in particolare, al Gip senza che sul P.M. potesse gravare alcun compito di controllo, successivamente detto orientamento è decisamente cambiato. In specie, si ritenne di escludere un obbligo di controllo del P.M., sulla base di quanto disposto con la circolare del Ministero della giustizia, Direzione generale degli affari penali, del 20 giugno 1990, n. 131.52.542/90, secondo la quale, a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina processuale penale, la competenza in ordine all'adozione dei provvedimenti di liberazione conseguenti all'estinzione, per qualsivoglia motivo, delle misure cautelari era stata trasferita dal P.M. al giudice, ex art. 306 c.p.p. Pertanto, la Sezione disciplinare del C.S.M. affermò che, secondo la predetta circolare, era compito del giudice delle indagini preliminari vegliare sulla custodia cautelare e scarcerare l'indagato al momento della scadenza dei termini. Tuttavia, l'orientamento disciplinare che poteva comportare un esonero di responsabilità del P.M., stante la mancanza per lo stesso di un potere dispositivo in materia, fu comunque rettificato. Infatti, si aggiunse che, il P.M. non può del tutto disinteressarsi della posizione processuale di un indagato detenuto, specie quando abbia presso di sé gli atti del procedimento e abbia avuto modo di visionarli per formulare al Gip alcune richieste. Anzi, si consolidò un orientamento secondo cui il Gip nella fase delle indagini preliminari non avendo potere d'ufficio e non disponendo degli atti del procedimento nessun obbligo di vigilanza poteva richiedersi in capo allo stesso (Cass. pen., Sez. unite 19097/2003); sicché vigeva per il Gip il criterio della disponibilità degli atti del procedimento. Pertanto, secondo il consolidato orientamento, si affermò che, se nell'udienza preliminare e nel corso del giudizio, la revoca potrà intervenire anche di ufficio, durante le indagini preliminari la sollecitazione del provvedimento sarà rimessa all'iniziativa delle parti, configurandosi, dunque, a carico del pubblico ministero un potere-dovere di richiedere l'intervento del giudice quando siano venuti a mancare i presupposti della misura cautelare; e si precisò che solo quale correttivo di tale anomala situazione si è previsto, nel medesimo comma 3 dell'art. 299 c.p.p., che anche il Gip possa intervenire ex officio allorché, però, sia investito del procedimento per l'esercizio di taluno dei suoi poteri funzionali. È evidente il cambiamento di rotta nei confronti del P.M. Infatti, da un orientamento disciplinare che inizialmente dubitava fino quasi a escludere la responsabilità del P.M. in tema di custodia cautelare, si è passati a un orientamento che individua una competenza di vigilanza quasi esclusiva del P.M. nella fase delle indagini preliminari, poiché il Gip non disponendo del fascicolo non potrebbe controllare alcunché. Peraltro, proprio con riferimento ad un caso simile a quello della vicenda in esame, si affermò che l'elemento costitutivo negativo dell'illecito disciplinare, consistente nell'indisponibilità del fascicolo, non può essere esteso fino a comprendervi un'indisponibilità meramente formale (Sezione disciplinare del C.S.M. 12 maggio 2006 n. 84). Precisamente, la Sezione disciplinare ha escluso che, a seguito dell'emissione da parte del sostituto procuratore assegnatario del procedimento dell'avviso di chiusura delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., lo stesso avesse perso la disponibilità (giuridica) degli atti, con conseguente impossibilità per lo stesso di provvedere (fra l'altro) ad eventuali scarcerazioni per decorrenza dei termini; e ciò anche quando (come nel caso di specie) nell'ufficio di appartenenza fosse prevista la (materiale) trasmissione del fascicolo ad una articolazione interna (Ufficio deposito atti) dove, nella fase procedimentale in questione, gli atti venissero messi a disposizione delle parti per la consultazione e la richiesta di copie. Per completezza, va sottolineato come attualmente permangano dei contrasti in merito alla responsabilità del Gip, rilevando la Sezione disciplinare che non sono integralmente equiparabili la decisione di revoca della misura (art. 299 c.p.p.) e la decisione di liberazione della persona sottoposta a una misura che abbia perso la sua efficacia (art. 306 c.p.p.) sicché spetta al Gip, nella fase procedimentale la principale responsabilità di vigilare sulla legittima durata delle misure custodiali (Sez. disciplinare C.S.M. del 20 gennaio 2012, n. 21); mentre per il pubblico ministero si ribadisce che ha sempre il dovere di verificare la legittimità dello stato di custodia e di richiedere al giudice la dichiarazione di cessazione della misura cautelare estinta. In definitiva, secondo la Sezione l'obbligo di rilevare la scadenza dei termini di custodia cautelare incombe sia sul giudice (in via principale), sia sul pubblico ministero. Sulla base di quanto appena esposto, si comprende chiaramente la corresponsabilità, nel caso de quo, del Gip e del P.M. in merito alla scadenza dei termini di custodia cautelare, poiché grava su entrambi un obbligo di controllo di perdita di efficacia della misura. Anzi nella fase delle indagini preliminari, sembrerebbe sia maggiore la responsabilità del P.M., perché ha la materiale disponibilità del fascicolo. Peraltro, il predetto obbligo di vigilanza del P.M. non può essere soltanto formale e quindi legato all'effettiva assegnazione del fascicolo e con ciò rispondendo al secondo quesito. Infatti, in modo assolutamente costante nella giurisprudenza disciplinare e di legittimità, l'obbligo di vigilanza del P.M. sussiste, a prescindere dall'assegnazione del fascicolo, quando per qualsivoglia ragione il P.M. abbia presso di se gli atti del procedimento per formulare o esprimere pareri da dare al Gip In altri termini, non si può accettare che un magistrato non assegnatario del fascicolo, gestisca delle istanze cautelari relative al medesimo fascicolo come fosse un mero “passacarte”. Parimenti va affermato per quanto riguarda l'udienza preliminare, spettando sempre al P.M. un obbligo di vigilanza e d'intervento in merito alla scadenza dei termini di custodia cautelare, e comunque di collaborazione con il Gip. Sulla questione relativa al riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 3-bis della disciplina in esame, non vi sono dubbi interpretativi. Infatti, richiamando un consolidato orientamento, si ribadisce come soltanto dei fattori eccezionali ed esterni che impediscano la liberazione dell'indagato, possono costituire delle esimenti per escludere la responsabilità. Invero, dinanzi al diritto fondamentale di libertà in concreto leso, solo un'esimente di grande rilievo può giustificare la violazione della situazione soggettiva del diritto alla libertà, tutelato direttamente dalla Costituzione all'art. 13. Ne deriva come la lesione non possa essere giustificata invocando la capacità e la laboriosità dimostrata dal magistrato nelle altre attività giudiziarie. Infatti, anche nell'ipotesi di un singolo episodio, in una situazione di evidenziata operosità del magistrato, la gravità dell'infrazione è palesata dalla lesione del diritto fondamentale di libertà per il soggetto indebitamente trattenuto in carcere in seguito all'omissione negligente del magistrato. Ne consegue, che le mere carenze organizzative o la non titolarità del fascicolo possono, quindi incidere unicamente sul tipo e sulla misura della pena, non certo valere come esimenti dell'infrazione disciplinare, in quanto è dovere specifico del giudice che deve disporre la liberazione dei detenuti verificare la legittimità della detenzione e provvedere alla scarcerazione quando non vi siano i presupposti per proseguire lo stato di arresto. Salvo che non vi siano circostanze di fatto che impediscano in modo assoluto la scarcerazione (Cass. pen., Sez. unite, 29 luglio 2013, n.18191). Infine,per quanto attienealle fattispecie d'illecito disciplinare previste, rispettivamente, dalle lett. a) e g) dell'art. 2, comma 1, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 – che sanzionano l'una la violazione dei doveri d'imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della dignità della persona che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti, e l'altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile – è pacifico come le stesse non siano tra loro in rapporto di specialità. Infatti, la prima fattispecie si caratterizza per la conseguenza (ingiusto danno e vantaggio indebito) derivante dalla violazione dei doveri del magistrato, mentre gli elementi, caratterizzanti la seconda fattispecie (la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile) riguardano essenzialmente la condotta e l'elemento psicologico dell'illecito, sicché è la loro diversa natura d'illeciti di evento e di pura condotta a comportare che un unico comportamento possa integrare entrambi gli illeciti. Osservazione
Il codice disciplinare, introdotto dal d.lgs. 109 del 2006 con l'indicazione precisa e tassativa dei comportamenti che hanno rilievo disciplinare, ha segnato certamente una svolta nell'evoluzione degli illeciti. Peraltro, ha portato a una maggiore trasparenza della giustizia disciplinare, dando più conoscibilità agli illeciti, alle sentenze e agli orientamenti della sezione disciplinare del C.S.M. Invero, com'è noto, la riforma del 2006, ha introdotto due novità di grande rilievo e cioè la tipizzazione degli illeciti disciplinari (il codice disciplinare appunto) e l'obbligatorietà dell'azione disciplinare in capo al procuratore generale presso la Cassazione. Inoltre, va segnalata un'altra importante novità, frutto della collaborazione tra la Corte di Cassazione, la procura generale e la Sezione disciplinare del C.S.M.: la pubblicazione sul sito italgiureweb di tutte le sentenze e le ordinanze disciplinari per esteso (e in forma anonima), con le varie massime sui diversi capi d'incolpazione. In questo modo, sembrerebbe volersi accrescere la funzione preventiva del codice disciplinare, il cui scopo non è solo quello di sanzionare il magistrato che ha tenuto un comportamento antidoveroso, ma anche quello di prevenire future infrazioni. Ciò posto, occupandoci del caso in esame, è palese che il magistrato, per i rilevanti poteri che deve esercitare sulla libertà degli indagati, sia tenuto a una particolare attenzione la cui violazione (incidendo su un diritto fondamentale direttamente tutelato dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo), se non necessitata da circostanze di fatto che impediscano in modo assoluto la scarcerazione, non può in alcun modo essere giustificata. Per questa ragione e condivisibile che la competenza in materia di vigilanza sulla scadenza dei termini di custodia cautelare gravi sia sul P.M. che sul giudice competente del procedimento. Inoltre, appare corretto che la competenza prescinda da un requisito formale di assegnazione del fascicolo, spettando la tutela su qualunque magistrato abbia a trattare questioni che riguardano un indagato/imputato detenuto. È certamente condivisibile, quindi, il rigore prestato nel sanzionare il difetto di vigilanza sulla scadenza dei termini di custodia cautelare da parte dei magistrati, tuttavia non si può trascurare che talune volte ciò accade non soltanto per colpa del singolo magistrato ma della carenza strutturale e organizzativa del sistema giustizia; un sistema che sembra volto più a garantire la quantità che la qualità della risposta giudiziaria. Pertanto, si ritiene che la sola sanzione disciplinare appaia inadeguata a evitare il verificarsi di nuovi episodi simili a quello commentato. Infatti, anziché fare ricadere sul singolo magistrato, segnando addirittura il suo percorso professionale, il controllo dell'effettivo rispetto dei termini di custodia cautelare, sarebbe sufficiente l'utilizzo di strumenti tecnologici che già hanno permesso, in altri settori del sistema giustizia, di conseguire risultati fino a dieci anni fa impensabili. Permanendo, invece, la situazione com'è adesso, appare comprensibile domandarsi, se detto obbligo di vigilanza mira a tutelare l'interessato, o la credibilità dell'ordine giudiziario. In ogni caso, è auspicabile, che seguendo la scia definita in tema cautelare, l'obbligo di vigilanza del P.M. si rivolga anche al procedimento e all'acquisizione di prove a favore dell'indagato, richiedendosi sempre di più allo stesso una rigorosa applicazione dell'art. 358 c.p.p. In quest'ambito, infatti, potrebbe incidere maggiormente la deontologia e il rigore del magistrato, e peraltro si tutelerebbe inevitabilmente sia l'indagato, sia la ragionevole durata del processo. |