Il privato quale persona offesa nel reato di peculato ed il diritto al contraddittorio in caso di richiesta di archiviazione

Gianluca Bergamaschi
19 Gennaio 2016

È nullo il decreto di archiviazione, non preceduto dall'avviso della richiesta del P.M. al privato danneggiato dal pubblico ufficiale con la condotta p. e p. dall'art. 314 c.p., in quanto reato plurioffensivo che lede anche l'interesse.
Massima

È nullo il decreto di archiviazione, non preceduto dall'avviso della richiesta del P.M. al privato danneggiato dal pubblico ufficiale con la condotta p. e p. dall'art. 314 c.p., in quanto reato plurioffensivo che lede anche l'interesse privato espressamente considerato nella norma e sotteso al buon andamento, imparzialità e correttezza della P.A., per cui anche al portatore dello stesso deve riconoscersi la qualifica di persona offesa e, se ne abbia fatto richiesta nella notizia di reato o successivamente, ha diritto di essere avvisato e di proporre opposizione.

Il caso

La vicenda è semplicissima, il P.M. chiese al competente Gip l'archiviazione del procedimento, senza avvisare del fatto la persona offesa, che pure ne aveva fatto richiesta nell'atto di denuncia-querela, ciò nondimeno il Giudice procedette de plano col decreto di archiviazione, avendo ritenuto che il privato danneggiato dal reato di peculato non rivestisse la qualifica processuale di persona offesa stante la natura squisitamente pubblicistica dell'interesso giuridico protetto dalla norma e, pertanto, non avesse diritto all'avviso di cui all'art. 408, comma 2, c.p.p..

Contro tale provvedimento, non appena avutane contezza, ricorse in Cassazione il difensore della persona offesa e la suprema Corte gli diede ragione, giacché ritenne e ritiene che il delitto di peculato sia plurioffensivo, perché, oltre all'interesse al buon andamento e all'imparzialità della P.A., tutela anche l'interesse, patrimoniale e non, del privato titolare delle cose che siano nella momentanea disponibilità del pubblico ufficiale che se ne appropri, conseguentemente anche a costui deve essere notificato l'avviso della richiesta di archiviazione del P.M., pena la nullità del decreto di archiviazione per violazione del contraddittorio, ex artt. 408, comma 2, 409, comma 6, 127, comma 5, 178, lett. c), c.p.p.

La natura plurioffensiva del peculato è motivata dalla Corte, innanzitutto, attraverso l'esegesi storica della novella del 1990, che ebbe a fondere nella nuova fattispecie di peculato, anche la figura della malversazione a danno dei privati di cui all'abrogato art. 315 c.p., con l'introduzione nell'art. 314 c.p. della nozione di altruità, ossia dell'indifferenza che la titolarità del denaro o di altra cosa mobile sia pubblica o privata.

Inoltre, fa notare la Corte, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato applicabili al fatto le circostanze di cui agli artt. 61, n. 7, e 62, n. 4, c.p., proprio perché l'art. 314 c.p. ben può rientrare nei reati che offendono il patrimonio; cosi come, di contro, la mancanza di danno patrimoniale non esclude il reato, proprio in virtù della sua plurioffensività, che fa permane l'offesa al bene pubblico; e ancora la restituzione del maltolto al privato non comporta l'attenuante della riparazione del danno, restando intatto quello inferto al prestigio della P.A.

Infine la Corte richiama i propri precedenti che, sotto altro profilo, ebbero a riconoscere la natura plurioffensiva ad altri reati contro la P.A., quali l'abuso d'ufficio e l'omissione degli atti d'ufficio, concludendo per la sostanziale univocità dell'assunto e ritenendo non pertinente la contraria sentenza citata nel provvedimento del Gip, riguardando essa il diverso reato di peculato per errore altrui, ex art. 316, c.p. e attribuendo, alle particolari modalità di realizzazione del caso, le diverse conclusioni dei colleghi della Cassazione, Sez. VI, 22 febbraio 1999 (dep. 30 marzo 1999), n. 4074.

La questione

La questione in esame è la seguente: il reato di peculato, p. e p. dall'art. 314 c.p. e allocato in testa al Capo I del Titolo II del codice dedicato ai Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, oltre che l'interesse pubblico al buon andamento della P.A., tutela anche l'interesse patrimoniale e non del privato che sia titolare dei beni di cui il pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni o servizio, si appropri, facendo del primo una vera e propria persona offesa, con i connessi diritti procedimentali riconosciuti dal codice, tra cui quello di ricevere, ove nella notizia di reato o successivamente ne abbia fatto richiesta, l'avviso dell'istanza di archiviazione?

Le soluzione giuridiche

La risposta della sentenza in commento, per le ragioni supra esposte, è sicuramente affermativa ma, a dispetto del tentativo di minimizzazione contenuto nella stessa, non può considerarsi l'unico indirizzo della suprema Corte.

Come già riferito, il decreto di archiviazione del Gip conteneva la citazione di un arresto giurisprudenziale di legittimità conforme alle sue conclusioni, che la suprema Corte ha disatteso ma non ha voluto sconfessare, avendo preferito congedarlo come non riferibile al caso in questione, in quanto riguardante un diverso reato contro la P.A. e avente struttura attuativa, nel caso di specie, offensiva del solo interesse patrimoniale pubblico.

Invero, la sentenza della Cass. pen., 4074/1999, citata dal Gip. e bollata dalla Corte come non pertinente, non può essere liquidata in questa forma, giacché sembra fare un'affermazione perentoria e sistemica, ossia prescindente dal caso concretamente considerato.

Dice, infatti, testualmente la predetta sentenza: Il concetto di "persona offesa dal reato" non coincide con quello di "danneggiato" riferendosi esclusivamente al titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale (e perciò stesso riguardando un elemento che appartiene alla struttura del reato) e non anche al titolare di interessi che solo in via eventuale possano essere pregiudicati dalla azione delittuosa; conseguentemente, nei reati contro la pubblica amministrazione non può riconoscersi la qualità di "persona offesa" a chi sia stato solo di riflesso "danneggiato" dal reato (Cass. pen., Sez. VI, 10 aprile 1997, n. 3967; Cass. pen., Sez. VI, 24 agosto 1993, n. 8009; Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 1987, n. 4153) ; con il che la Corte si indusse, tra l'altro, ad escludere l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p.

L'affermazione appare, dunque, applicabile a tutti i reati contro la P.A., indipendentemente dal fatto che, subordinatamente all'interesse pubblico, prevedano “di riflesso” la possibilità di un danno ulteriore di natura non pubblicistica, cosicché la sentenza deve considerarsi un vero e proprio indirizzo differente della giurisprudenza di legittimità, chiaramente inteso a restringere l'alveo dell'interesse propriamente tutelato dalle norme del Titolo II del codice penale e, conseguentemente, il novero di coloro a cui possa riconoscersi la qualifica di persona offesa ed i relativi diritti procedimentali, allorché vengano poste in essere le condotte in esse considerate.

Osservazioni

Orbene, la soluzione adottata nella giurisprudenza in commento appare senz'altro condivisibile, giacché, da un lato, se è vero che si può parlare di persona offesa solo circa il titolare del bene giuridico leso dal reato, in quanto questo corrisponda ad un interesse espressamente considerato e tutelato nella struttura della fattispecie incriminatrice, dall'altro, è fuor di dubbio che il generico e onnicomprensivo riferimento alla altruità del denaro o di altra cosa mobile, testualmente contenuto nell'art. 314 c.p., stia a significare proprio che la norma considera e tutela strutturalmente non solo l'interesse sistemico e sistematico del buon andamento della P.A., ma pure il riflesso negativo sui terzi privati, che la sua lesione può direttamente determinare attraverso i comportamenti impropri dei P.U. o degli incaricati di pubblico servizio.

Non pare, quindi, condivisibile l'indirizzo alternativo e minoritario, perché la possibilità che vi sia un danno privato, connesso e conseguente alla cattiva condotta che offende la P.A., non è lasciato nell'alveo dell'implicito o dell'accidentale e formalmente estraneo alla norma incriminatrice ma è esplicitamente immesso nel novero degli elementi costitutivi del reato in modo da configurare una struttura deliberatamente concepita come aperta a due soluzioni alternative, l'una lesiva solo dell'interesse pubblico, l'altra comprensiva di quest'ultimo e lesiva anche dell'interesse privato, che, dunque, viene espressamente e direttamente tutelato dalla norma.

L'indirizzo che nega la qualifica dipersona offesa al privato danneggiato va, dunque, respinto, non per la differente struttura del reato di peculato mediante profitto dell'errore altrui, ex art. 316 c.p., ovvero, secondo la sentenza in commento, per le «concrete modalità di realizzazione» del caso specifico che coinvolgevano, propriamente, i soli interessi patrimoniali dell'amministrazione finanziaria dello Stato, giacché il reato predetto è solo una specializzazione di quello p. e p. dall'art. 314 c.p., da cui si differenzia solo per la particolare modalità dell'azione, fondata non sul semplice possesso o disponibilità precostituite e funzionali all'appropriazione ma sull'approfittamento dell'errore altrui prodromico alla ricezione dell'indebito, mentre hanno in comune proprio l'orizzonte dei beni giuridici tutelati, resi palesi dall'espresso riferimento alla nozione di altruità, testualmente richiamata in entrambe le norme, giacché anche l'altrui errore può indifferentemente essere di un altro soggetto pubblico ovvero di un privato, con il relativo danno e la conseguente riconoscibilità della qualifica di persona offesa e dei diritti correlati.

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