L'omessa liquidazione delle spese di parte civile: mero refuso o ragionato silenzio?
19 Gennaio 2017
Massima
La procedura prevista dall'art. 130 c.p.p. è idonea per correggere la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di liquidare le spese di costituzione della parte civile. Il caso
Il tribunale, in composizione monocratica, applica all'imputato, su concorde richiesta delle parti, ex artt. 444 e ss. c.p.p., la pena negoziata omettendo di pronunciarsi sulla liquidazione delle spese per la costituita parte civile. La parte civile – anziché richiedere al giudice di cognizione di provvedere a colmare l'omissione con la procedura di correzione dell'errore materiale – ricorre per cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.) in quanto la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare la condanna dell'imputata al pagamento delle spese in favore della costituita parte civile che, conseguentemente, risulterebbe pregiudicata nel successivo giudizio civile per il risarcimento dei danni. La questione
L'articolo 444, comma 2, c.p.p. prevede, che il giudice, nell'avallare l'accordo negoziale raggiunto tra le parti sulla pena, provveda anche alla liquidazione delle spese di costituzione della parte civile atteso che ogni pronuncia in merito al danno è, in tale sede, interdetta. Tale novella si è resa necessaria in considerazione del precedente silenzio della norma sul punto e, prim'ancora, per l'intervento della Corte costituzionale (sent. n. 443/1990) che ha determinato la legittimità della costituzione di parte civile anche in sede di patteggiamento. Invero, quella della mancata liquidazione delle spese della costituita parte civile non è una questione riguardante il mero perimetro delle sentenze di applicazione della pena concordata ma riguarda anche tutti gli altri casi in cui il giudice, all'esito del giudizio, debba pronunciarsi, sul punto, in dispositivo e non lo abbia fatto. Mentre, però, il quarto comma dell'art. 535 c.p.p., nel caso di omissione della liquidazione delle spese (processuali), statuisce, espressamente, la possibilità di far ricorso al meccanismo riparatorio dettato dall'art. 130 c.p.p. quest'ultimo – che prevede, a secondo del momento processuale, l'intervento del giudice che ha emesso il provvedimento, di quello dell'impugnazione o, infine, del giudice dell'esecuzione – non è, significativamente, richiamato nell'art. 541 c.p.p. La questione, più volte scrutinata in sede di legittimità, ha, pertanto, un perimetro più ampio di quello preso in esame dalla sentenza in commento, il cui oggetto è, invece, circoscritto alle sentenze di patteggiamento. In quest'ultima, difatti, non solo si affronta la questione, proveniente dall'interno della stessa sezione, con il minimo argomentare ma si evita, con un inchino formale – pur prendendosi atto delle pregevoli argomentazioni di segno contrario – di affrontare la stessa nella sua ampiezza e, soprattutto, di svolgere una qualche confutazione dell'opinione contrastante. In definitiva: l'omessa liquidazione delle spese di costituzione della parte civile – a prescindere dal tipo di sentenza in cui ciò accada – è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale, rientrando essa in un mero refuso, ovvero deve essere oggetto di specifica impugnazione presupponendo un ragionato silenzio (= un implicito rigetto) del giudice? Le soluzioni giuridiche
Si vanno formando, in sede di legittimità, due orientamenti contrastanti in merito alla situazione in cui il giudice – allorché pronuncia sentenza – abbia omesso di provvedere alla liquidazione delle spese di costituzione di parte civile: c'è chi sostiene che tale errore è emendabile con la procedura di correzione ex art. 130 c.p.p. e chi, invece, ritiene che tale lacuna decisoria vada impugnata, – ed annullata con rinvio – non risolvendosi in una mera operazione tecnico-esecutiva (Cass. pen., Sez. V, n. 13111/2016). I giudici di legittimità, con la sentenza in commento – rigettando il ricorso ed implicitamente rimettendo la questione al giudice procedente – hanno affermato i seguenti principi di diritto :
Osservazioni
Con la sentenza n. 7945/2008 le Sezioni unite – a loro volta ispirate dai principi dettati, molti anni prima, dalla sentenza n. 443/1990 della Corte costituzionale – avevano messo un punto in ordine al tema della liquidazione delle spese di costituzione della parte civile qualora il giudice, nell'avallare l'accordo negoziale sulla pena da applicare, avesse omesso di pronunciarsi sulle stesse: in tali circostanze, si affermò in quella sede, può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale (art. 130 c.p.p.) purché non emergano circostanze idonee a giustificare l'esercizio, da parte del giudice, della facoltà di compensazione (totale o parziale) delle stesse avendo quest'ultima necessità di una delibazione nel merito. Lo sforzo interpretativo svolto in quella sede – a mezzo della ricostruzione storico-normativa del concetto di errore materiale – è stato, in massima parte, rivolto a circoscrivere l'omessa pronuncia nell'ambito della mera dimenticanza assumendo che non si potesse attribuire ad essa, al contrario, una effettiva volontà cosciente del giudice indirizzata in tale senso. Sulla scia di tale impostazione si sono, poi, susseguite plurime decisioni tutte concordi nel ritenere che laddove la statuizione sulla liquidazione delle spese di costituzione di parte civile non potesse essere ricondotta ad alcuna volontà cosciente del giudice la stessa dovesse essere corretta nelle forme di cui all'art. 130 c.p.p. La deroga introdotta dalle Sezioni unite, e cioè la necessità di accertare che la dimenticanza non fosse da attribuire alla volontà cosciente del giudice, ha finito, però, per dare la stura ad una nuova messa in discussione del principio di diritto affermato. In sostanza, la stessa affermazione secondo cui la procedura di correzione dell'errore materiale trova ingresso solo nel caso in cui il giudice non debba compiere scelte discrezionali, finisce per determinare la non applicabilità dell'istituto ex art. 130 c.p.p. tout court, e ciò a prescindere del se si tratti di una sentenza di patteggiamento ovvero di una sentenza di altro tipo in cui tale pronuncia debba intervenire. Solo in presenza, difatti, di una omissione di una statuizione obbligatoria, di natura accessoria ed a contenuto predeterminato […] che prescinde da qualsivoglia vaglio di merito della domanda […] – si è sostenuto – il compito del giudice si risolve in una mera operazione tecnico-esecutiva, ancorata a precisi presupposti e parametri oggettivi, e non priva, quindi, la statuizione de qua del requisito del contenuto predeterminato. È per tali ragioni, quindi, che si è andato, nel corso degli anni, formando un diverso orientamento, critico, teso ad evidenziare la (possibile) valenza discrezionale della decisione del giudice in merito alla liquidazione delle spese di costituzione di parte civile (Cass. pen., Sez. I, n. 41571/2009; Cass. pen., Sez. IV, n. 46840/2011). Nella sentenza n. 13111/2016 della stessa V Sezione della Cassazione, nell'affrontare l'orientamento contrario, si è avuto modo di rimandare anche alla giurisprudenza delle sezioni civili formatasi sul punto, la quale è fermamente attestata sulla non emendabilità dell'omissione della liquidazione delle spese in quanto la pronuncia, in tali casi, sarebbe affetta dalla mancanza di un giudizio del giudicante sulla attività difensiva svolta. Quello in cui incorre il giudice – non liquidando le spese di costituzione della parte civile – sarebbe, pertanto, secondo tale impostazione, non solo una dimenticanza, alla luce del fatto che chi tace non acconsente, chi tace non dice niente, bensì un vero e proprio errore tecnico strettamente attinente alla sua competenza funzionale anche in ordine a tale materia e non emendabile con un mero automatismo correttivo : esattamente il contrario del perimetro d'intervento disegnato dall'art. 130 c.p.p. Del resto, un successivo intervento delle Sezioni unite penali (Cass. pen., Sez. unite, n. 40288/2011), pur ponendosi nel solco della decisione antecedente, ha tenuto ad escludere ogni automatismo ben potendo l'omessa pronuncia corrispondere ad una volontà cosciente del giudice. Si è avuto modo di osservare in quest'ultima sede che non sempre l'omessa pronuncia sul punto da parte del giudice può essere ascritta ad una mera negligenza dello stesso – tanto da produrre una sorta di refuso automaticamente emendabile – in quanto essa può anche costituire la risultanza di una precisa volontà di diniego dello stesso per mancanza di alcuni presupposti, a seconda dei casi fattuali o legali. Sono state così evidenziate, per rendere concreta la lacunosità del ragionamento avverso, due situazioni in cui l'omessa pronuncia del giudice non può essere ricostruibile come una mera dimenticanza: quella in cui essa è addebitabile alla mancata legittimazione del soggetto leso dal reato e quella, già qui più volte citata, allorché in sede di patteggiamento viene affidata al giudice la facoltà di compensare (anche parzialmente) le spese. In tali casi, si è notato, si è al di fuori di un meccanico automatismo tra condanna dell'imputato e condanna al pagamento delle spese di costituzione della parte civile esistendo uno spazio di delibazione discrezionale del giudice che impedisce di poterlo colmare con la procedura di correzione dell'errore materiale, la quale, invece, presuppone, come sopra detto, ben precisi presupposti atti a confinare la lacuna in un mero refuso e la correzione in un mero automatismo. Quel che la sentenza in commento definisce pregevoli argomentazioni di segno contrario delle quali prendere atto appaiono, invece, pur rimanendo ovviamente tali, lacunose su di un aspetto fondamentale e cioè che nei casi citati – ma come di ogni altro che in concreto si volesse individuare – quel che il giudice dovrebbe adottare non è affatto un ragionato silenzio – confondibile con un mero refuso – bensì un vero e proprio provvedimento di rigetto. Così come difatti in caso di compensazione (parziale e/o totale) delle spese il giudice in sede di patteggiamento (e non solo) deve esprimersi, esplicitando prima in dispositivo (e poi in motivazione) la misura, e le ragioni, della sua determinazione altrettanto è a dirsi per la situazione in cui vi sia una assenza di legittimazione del soggetto interessato ovvero quest'ultimo sia diverso da quello che si è costituito in giudizio, e così ancora: in tutti questi casi, in presenza di un motivato rigetto il rimedio non può che individuarsi nell'impugnazione ma in caso di silenzio, e nell'assenza di ogni elemento che possa ricondurlo ad un implicito rigetto, la procedura di correzioneex art. 130 c.p.p. appare l'unica, seriamente, legittimata a rimediare alla lacuna. |