Continuo abuso dei mezzi di correzione: reato continuato o maltrattamenti in famiglia?

Chiara Fiandanese
20 Giugno 2017

Le questioni esaminate nella sentenza in commento sono: quali sono i limiti che non deve superare il potere educativo esercitato dal genitore nei confronti del figlio; qual è il rapporto fra il reato di maltrattamenti in famiglia e il reato di abuso di mezzi di correzione; e se, il reiterato abuso dei mezzi di correzione può condurre ...
Massima

Il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento del minorenne, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti mortificanti la sua personalità.

Il caso

L'imputato ha minacciato e percosso più volte e in più occasioni il figlio minore, undicenne all'epoca dei fatti, con una cintura a scopo educativo alla presenza della sorella anch'essa minore. Da tale comportamento sono derivate lesioni fisiche per il ragazzo e vessazioni psicologiche per la ragazza dovute alle condotte rivolte contro il fratello.

Il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Milano, con sentenza del 4 maggio 2016, aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti del padre perchè il fatto non sussiste per il reato di maltrattamenti con vessazioni fisiche e morali in danno del figlio in presenza di altra figlia minorenne ex art. 572 c.p. (capo A) e perchè l'azione non può essere proseguita per il reato di lesioni personali aggravate in danno del figlio minorenne (capo B) ex artt. 582 e 585, in relazione all'art. 576, n. 5 c.p., per mancanza di querela.

Per ciò che concerne il capo A, il giudice, pur riconoscendo la sussistenza delle maggior parte delle condotte descritte nell'imputazione, aveva escluso che i comportamenti dell'imputato avessero leso il bene protetto dall'art. 572 c.p. (è individuato nella famiglia e nell'interesse del più debole), in quanto, dalla ricostruzione, gli stessi erano posti in essere generalmente in costanza di abuso di sostanze alcoliche e la mancanza di coabitazione faceva sì che la reiterazione fosse sporadica. Infatti, ad avviso del Gip, per configurare i maltrattamenti, i fatti dovevano rientrare in una condotta abituale più ampia e unitaria, che imponesse un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

Per quanto riguarda il capo B, il Gip aveva ritenuto che, poiché si doveva escludere la fattispecie ex art. 572 c.p., derivava automaticamente la caducazione dell'aggravante ex art. 576, n. 5 c.p. (l'avere commesso il fatto in occasione della commissione del reato ex art. 572 c.p.) con la conseguenza che il delitto diventava procedibile a querela della persona offesa.

Inoltre, il Giudice non aveva ammesso la costituzione di parte civile della figlia dell'imputato, argomentando che in ordine alla aggravante contestata (l'avere commesso il fatto in danno di minori e alla presenza di minori) non era individuabile un danno da reato.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso il curatore speciale del ragazzo minorenne, parte civile, e della ragazza minorenne non ammessa come parte civile, adducendo quattro motivi: mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla non sussistenza del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.; alla mancata qualificazione della condotta come abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p.; alla pronuncia di non luogo a procedere per il reato di lesioni personali aggravate perché, anche se si riteneva non configurabile il reato di maltrattamenti, sussisteva in ogni caso l'aggravante ex art. 576, n. 2 c.p., il che rendeva il reato di lesioni personali procedibile d'ufficio; al disconoscimento della qualità di persona offesa alla ragazza minorenne.

La Suprema Corte con la sentenza di cui si tratta, ha accolto il secondo e terzo motivo di ricorso annullando la sentenza con rinvio per nuovo giudizio circa la riconducibilità delle condotte poste in essere dall'imputato nella fattispecie normativa ex art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) e per procedere nei suoi confronti in ordine al reato di lesioni personali in danno del figlio minorenne.

La questione

Le questioni prese in esame sono le seguenti: quali sono i limiti che non deve superare il potere educativo esercitato dal genitore nei confronti del figlio; qual è il rapporto fra il reato di maltrattamenti in famiglia e il reato di abuso di mezzi di correzione; e se, il reiterato abuso dei mezzi di correzione può condurre alla applicazione della disciplina del reato continuato o tradursi in una condotta di maltrattamenti.

Le solzuioni giuridiche

Prima di tutto si ritiene utile sottolineare che i diritti dei minori sono parte integrante dei diritti umani e l'Unione europea e gli Stati membri sono tenuti a rispettarli anche in virtù dei trattati internazionali ed europei in vigore, come la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con l. 176 del 1991, che riconosce che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione, in considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. A tal proposito, gli Stati devono impegnarsi ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, adottando tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati.

Alla luce di ciò, non può ritenersi lecito l'uso della violenza fisica o psichica finalizzato a scopi educativi proprio in coerenza dei valori di fondo assunti e consacrati, non solo a livello comunitario, ma anche alla luce della Costituzione e del diritto di famiglia (introdotto dalla l. 151 del 1975 e succ. modif.).

È proprio grazie a tale principio che, con riguardo ai bambini, il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo in cui è coinvolto un bambino (considerato tale secondo la definizione della Convenzione Onu, una persona sino all'età di 18 anni).

Ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono (sent. n. 4904/1996).

La nozione di abuso sul minore, si è andata evolvendo e specificando nel tempo. Da una sorpassata e limitativa nozione di abuso, inteso come comportamento attivo dannoso sul piano fisico per il bambino, l'attuale cultura giuridica e quella medica e psicologica qualificano come abuso anche quello psicologico, correlato allo sviluppo di numerosi e diversi disturbi psichiatrici.

Costituisce abuso anche il comportamento doloso che umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute o malattia nella mente il cui significato si estende fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento. (Cass. n. 19850/2016).

Proprio alla luce di ciò, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità. Questi sono i limiti che i genitori nei confronti dei figli e tutti i titolari di un poter disciplinare verso i bambini, non devono superare.

Fatta questa breve premessa, si può procedere ad analizzare gli aspetti essenziali dei reati ex art. 571 e 572 c.p.

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina anche se collocato tra i delitti contro l'assistenza familiare non riguarda solo rapporti esclusivamente familiari. Esso si pone come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell'ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, etc.), potere che deve essere esercitato nell'interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta.

Soggetto passivo è il bambino minorenne, infatti non è configurabile il reato di abuso di mezzi di correzione, qualora soggetto passivo sia il figlio già divenuto maggiorenne anche se convivente, trattandosi di persona non più sottoposta all'autorità del genitore.

Il bene giuridico protetto dalla norma, è costituito dall'incolumità psico-fisica del soggetto passivo, dall'inviolabilità della libertà personale e della libera manifestazione del pensiero come prescritto nella Costituzione.

Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso.

Non ha natura di reato necessariamente abituale, quindi può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo (sent. n. 2542/2016).

Gli atti di minima valenza fisica o morale che risultano necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente, sono esclusi, ma integra la fattispecie criminosa in questione l'uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmoda nell'abuso sia in ragione dell'arbitrarietà o intempestività della sua applicazione sia in ragione dell'eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza.

Pertanto, poiché come detto, tale reato necessita del dolo generico, ne consegue che deve escludersi che l'intenzione dell'agente di agire esclusivamente per finalità educative sia elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all'art. 571 c.p., poichè gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell'abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l'importante e delicata funzione educativa.

Per ciò che riguarda il reato ex art. 572 c.p., maltrattamenti contro familiari e conviventi, l'oggetto giuridico non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari; tuttavia, deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono, ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

Per la configurabilità del reato è necessario il dolo generico, che non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima ma consiste nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità.

Alla luce di ciò, è chiaro che il reato di maltrattamenti in famiglia configura un'ipotesi di reato abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti che isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili e si consuma nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti. L'elemento oggettivo, quindi, è integrato dal compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo.

Mettendo in relazione i due reati, è subito evidente che il reiterato abuso dei mezzi di correzione può condurre all'applicazione della disciplina del reato continuato o tradursi in una condotta di maltrattamenti.

La differenza tra il reato continuato e il reato abituale, si trova nell'elemento soggettivo.

La ratio dell'art. 81 c.p. va ravvisata, con riferimento all'aspetto intellettivo, nella previsione della ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell'agente e, in relazione al profilo della volontà, nella deliberazione di un programma di massima richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, una specifica volizione.

A differenza del reato continuato, invece, il dolo del reato abituale non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente, come già sottolineato precedentemente, la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (sent. n. 15146/2014).

In tema di rapporti tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, l'intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell'ambito della fattispecie meno grave ciò che oggettivamente ne è escluso. Il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato anche sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall'ordinamento giuridico e non già dall'intenzione dell'agente.

L'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, il comportamento non abituale dell'imputato di colpire a scopo educativo con la cinta il figlio perché gli aveva mancato di rispetto o era andato male a scuola, ben può qualificarsi nel reato di abuso dei mezzi di correzione e non in quello di maltrattamenti; e le conseguenze lesive di tali gesti rientrano certamente nel reato di lesioni ex art. 582 c.p. aggravate ai sensi dell'art. 576, comma 1, n.2 c.p. poiché in danno del figlio minore.

Osservazioni

La Corte di cassazione, con detta sentenza, ha affrontato una situazione sempre attuale nonostante la moderna evoluzione culturale e ha chiarito quali sono i limiti che tutti i titolari di un potere disciplinare verso i bambini, non devono superare.

Le affermazioni di principio contenute nella sentenza, ribadiscono la costante e pacifica giurisprudenza che ormai da anni tratta l'argomento.

Essa, infatti, non solo ha voluto, ancora una volta, chiarire il concetto di malattia nella mente ma si è soffermata su un punto fondamentale, ovvero che il potere di educare e disciplinare i bambini deve essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento del minorenne, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti mortificanti la sua personalità.

La Corte, inoltre, ha spiegato in modo estremamente chiaro quali sono i limiti entro i quali si configura il reato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina, superati i quali si trascende nel più grave reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi. La linea di demarcazione sembra essere molto sottile ma senza dubbio l'abitualità di determinati comportamenti e la diversità dell'elemento soggettivo rappresentano punti di riferimento essenziali per la qualificazione della fattispecie di reato. La sentenza in commento, inoltre, costituisce un forte richiamo al giudice di merito alla corretta qualificazione giuridica del fatto, che è espressione di un ineludibile potere-dovere del giudice (sent. 4198/2000), pur nel rispetto della garanzia del contraddittorio, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte Edu e della stessa Corte di cassazione (sent. n. 47413/2014).

Guida all'approfondimento

Beltrani, Codice penale commentato, Giuffrè 2016;

Caldaroni, Abuso dei mezzi di correzione, Edizioni universitarie romane 2009;

Piras , La sottile linea rossa tra i maltrattamenti e l'abuso dei mezzi di correzione, in Diritto & Giustizia;

Bertolino, Violenza e famiglia: attualità di un fenomeno antico, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 2015, pag. 1710, fasc. 4, 1 dicembre 2015;

Cocchi, I doveri genitoriali

ex art. 147 c.c.

e la discendente responsabilità nell'ipotesi di abuso, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2014, pag. 1460B, fasc. 5, 1 maggio 2014.