Usura bancaria: dolo diretto o dolo eventuale?
20 Dicembre 2016
Massima
Il reato di usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari. Invero, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile. Il caso
La suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi – su ricorso della parte civile – su una sentenza di non luogo a procedere pronunciata nei confronti di un direttore di un'agenzia bancaria, imputato per il delitto di usura. L'imputato, nella qualità di direttore d'agenzia, aveva conferito a una società esterna il compito di rilevare su base informatica l'eventuale superamento dei tassi soglia, così da ridurre in modo automatico su base trimestrale gli importi dovuti; società sul cui operato l'imputato avrebbe fatto affidamento, così che, in prospettiva dibattimentale, non sarebbe stato possibile provare l'elemento soggettivo del delitto contestato. La suprema Corte conferma la soluzione fatta propria dal Gup, osservando che un giudizio di responsabilità non avrebbe che potuto fondarsi sul riconoscimento di un'ipotesi di dolo eventuale o di culpa in eligendo o in vigilando sulla società esterna, laddove il reato di usura può essere ravvisato solo a fronte di un dolo diretto, certamente non ravvisabile nel caso di specie. La questione
La decisione in oggetto è destinata a suscitare, in ambito penale e forse non solo, un vivace dibattito; la sua rilevanza sull'intero settore della c.d. usura bancaria potrebbe essere – e, se confermata, sarà – dirompente. La decisione della suprema Corte ha confermato la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup nei confronti di un direttore di banca accusato di usura per due modesti “sconfinamenti”, in due trimestri, per poco più di 800 euro complessivi. Per il Gup l'imputato avrebbe fatto affidamento sul sistema di controllo messo a punto da una società esterna, alla quale aveva conferito un incarico. L'affidamento è considerato rilevante sia ove espressivo di una accettazione del rischio della non efficacia della stesso – nella prospettiva quindi del dolo eventuale – sia ove indicativo di un'ipotesi di culpa in eligendo o in vigilando sulla società esterna incaricata di contenere automaticamente il saggio di interessi entro il limite del c.d. tasso soglia trimestrale (in questo secondo caso, evidentemente, considerando il direttore in posizione di garanzia rispetto al cliente con riguardo al rispetto del tasso soglia). Prospettive che devono essere entrambe escluse, alla luce della natura dell'elemento soggettivo del delitto in oggetto, per il quale, secondo la suprema Corte occorre fare riferimento a un risalente orientamento di questa Corte, anteriore alla riforma dell'art. 644 c.p.[…] che conserva – con i dovuti adattamenti – perdurante attualità: il reato dì usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari. Infatti, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile. Le soluzioni giuridiche
Il principio sopra espresso deve essere rapportato al quadro ermeneutico che si era delineato in questi ultimi anni. La l.108/1996 – che aveva ridisegnato il delitto di usura – non aveva inserito nella fattispecie di cui all'art. 644, comma 1, c.p. un dolo specifico, ritenendo sufficiente a integrare il reato la volontà di farsi dare o promettere, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi superiori al limite legale. Un dolo, quindi, “generico”, anche se profondamente differente da quello richiesto nella fattispecie introdotta dal codice Rocco, per la quale l'elemento psicologico era rappresentato dal consapevole approfittamento della situazione di bisogno del soggetto passivo. La mancata riproposizione dell'elemento approfittamento aveva rappresentato una modifica di grande rilievo sul piano probatorio, non soltanto perché tale da escludere la necessità di una ricostruzione in fatto di tale aspetto, quanto soprattutto perché ancorava la valutazione dell'elemento soggettivo a parametri “oggettivi” predeterminati la cui conoscenza (e conoscibilità) si deve ritenere sostanzialmente equiparati a quella del dato normativo. Le indicazioni della suprema Corte in relazione alla ravvisabilità del dolo eventuale nel reato de quo, relative alla pregressa formulazione della fattispecie, non sembravano lasciare alcun spazio: il reato di usura era considerato punibile solo a titolo di dolo diretto, consistente nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari con la consapevolezza dello stato di bisogno del soggetto passivo. In quest'ottica il dolo eventuale o indiretto – che postula una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) non sarebbe stato ravvisabile nel reato di usura, avendo l'autore del fatto la sola prospettiva di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (ex plurimiis Cass. pen., Sez. II, 1 marzo 1984, n. 1789). Un delitto per il quale la cosciente volontà dell'agente di approfittare dello stato di bisogno del soggetto passivo non avrebbe dovuto essere vaga e approssimativa, quanto certa e piena, tale, cioè, da prospettare un quadro sufficientemente esatto del grave stato di disagio economico che determinava l'altro contraente a soggiacere alle pretese usurarie (Cass. pen., Sez. I., 15 aprile 1981, n. 3396). Al contrario, con riguardo alle più recenti e articolate indicazioni della suprema Corte in tema di usura bancaria, il dolo eventuale era stato considerato ravvisabile, nella misura in cui gli amministratori degli istituti di credito accettano il rischio del verificarsi dell'evento (Cass.pen., Sez. II, 19 dicembre 2011, n. 46669); gli stessi devono essere, nelle loro qualità di organi apicali delle banche, al corrente delle questioni di maggiore rilevanza attinenti all'attività d'impresa e, tra queste, quella sulla remunerazione del denaro oggetto delle operazioni in cui si concretizza l'esercizio del credito, non potendo il titolare di una posizione di garanzia declinare gli obblighi di controllo e di vigilanza che la legge pone a suo carico. Dati tali presupposti, l'accettazione consapevole del rischio di obbligare la vittima a corrispondere interessi oltre il limite legale o in modo sproporzionato, con l'utilizzo di contratti che prevedono tale possibilità – o con strumenti di verifica del rispetto dei limiti potenzialmente inidonei – imporrebbe di ravvisare l'elemento soggettivo del reato nella forma del dolo eventuale. La sentenza n. 46699/2011 ha delineato in capo ai presidenti degli istituti bancari e dei relativi consigli di amministrazione una c.d. posizione di garanzia in quanto la formale rappresentanza dell'istituto bancario, se non accompagnata da poteri di decisione o gestione operativa, appare totalmente priva di significato nell'ottica della tutela di interessi che ricevono protezione penale precisando come i presidenti delle banche, quali persone fisiche, siano garanti agli effetti penali, cioè tenuti a rendere operativa una posizione di garanzia, che, in ultima analisi, fa capo all'ente, centro d'imputazione dell'attività di erogazione del credito nell'ambito della quale ben può essere ravvisata la violazione del precetto penale anche in capo ai predetti organi. Sempre secondo la suprema Corte, i presidenti degli istituti bancari sono, garanti primari della corretta osservanza delle leggi sull'usura indipendentemente dalla suddivisione dei compiti che non può esonerare i vertici dall'attività di vigilanza e controllo: Anche se dalla normativa secondaria, quali delibere e regolamenti, dovesse risultare l'attribuzione ad altri organismi, quali il direttore generale o il settore commerciale, delle competenze relative alla fissazione dei tassi, rimane salvo il potere di controllo e vigilanza del Consiglio d'amministrazione degli istituti di credito in funzione di garanzia, quest'ultimo non delegabile. Sulla base di tali indicazioni è (o forse era) ragionevole ipotizzare che condotte omissive di controllo da parte dei vertici societari rispetto alla concreta applicazione – in termini di rispetto dai tassi soglie – avrebbero potuto portare al riconoscimento di responsabilità ai sensi dell'art .40 cpv. c.p. da parte di questi ultimi. Non solo: anche un sistema automatizzato di verifica i tassi applicati, a garanzia dell'impossibilità di deroga ai valori trimestralmente aggiornati, può essere “impeccabile” solo ove risultino corretti, completi e condivisibili i parametri sulla base dei quali lo stesso deve operare; parametri frutto – evidentemente – di scelte contabili e/o imprenditoriali, che dovrebbero essere espressive dalla volontà dei vertici aziendali o almeno condivise e controllate da questi ultimi. In questa prospettiva, l'introduzione nel programma di criteri interpretativi non univoci (ci riferiamo anche, ma non solo, ai criteri d'imputazione degli oneri o delle spese, non sempre e non preventivamente chiariti da FAQ di Banca d'Italia) e tali quindi da non escludere il rischio del superamento dei tassi, in caso di applicazione di criteri alternativi maggiormente rigorosi, potrebbe portare a riconoscere una responsabilità da accettazione del rischio. Si pensi, ad esempio, a una procedura di “cimatura” che non consideri i rapporti chiusi in sofferenza nel trimestre (cioè quei rapporti bancari per i quali il cliente non sia in grado di adempiere le proprie obbligazioni nei confronti dell'istituto di credito): una situazione che non potrebbe essere qualificata come “problema interpretativo”, quanto frutto di un'indicazione errata, destinata a riflettersi sul controllo del rispetto dei tassi. Accettazione di rischio che potrebbe essere in astratto ravvisabile anche laddove le valutazioni in oggetto o la traduzione delle stesse in termini di programmi informatici fossero affidate a soggetti non qualificati o addirittura idonei o non predisponendo un adeguato sistema di controlli “a valle” sulla concreta efficacia dei programmi in oggetto. Osservazioni
Le indicazioni della sentenza in commento, specie se confermate da decisioni di segno analogo, potrebbero “azzerare” i profili di astratta responsabilità sopra descritti. Il reato di usura – in particolare in ambito bancario – potrebbe essere ravvisato solo a fronte del dolo diretto, definito quale cosciente volontà di conseguire i vantaggi la usurari. Può non essere inutile prefigurare la tipologia di prova che la pubblica accusa dovrà fornire per dimostrare la sussistenza di tale tipologia di dolo: un documento nel quale si preveda deliberatamente di violare i tassi di legge o nel quale si forniscono consapevolmente criteri di calcolo non rispondenti a quelli indicati dallo “stato dell'arte” della tecnica bancaria o qualcosa di simile. Situazioni limite, di scarsa o nulla incidenza statistica. Resta tuttavia da valutare – con riguardo a una decisione la cui rilevanza si coniuga con la sintesi espressiva utilizzata dalla suprema Corte – come debba essere interpretato il richiamo al “risalente orientamento” della Corte stessa, che aveva portato identificare nel solo dolo diretto l'elemento soggettivo del delitto de quo. Un orientamento che conserva la sua attualità – a dire della Cassazione – con i dovuti adattamenti. Quali sono, questi adattamenti? Su quali elementi incidono e sulla base di quali presupposti storici possono essere ravvisati? Esista una “zona d'ombra” tra il dolo diretto e quello eventuale nel quale collocare gli “adattamenti” genericamente richiamati dalla sentenza in oggetto? La motivazione non consente di formulare fondatamente delle ipotesi. Resta il fatto che l'azzeramento tout court della possibilità di ravvisare un dolo eventuale o indiretto – se integralmente recepita – escluderebbe la penale rilevanza anche a fronte di situazioni di dolo eventuale – se è consentito il termine – “rafforzato”. Non quindi solo a fronte di violazioni limitate e occasionali dei tassi, frutto di specifici errori, quanto anche laddove l'elemento soggettivo deve essere valutato in termini direttamente proporzionali al numero e all'entità degli sforamenti accertati in conseguenza di criticità “strutturali” del sistema del singolo istituto, tali da determinare – potenzialmente- riflessi su un numero indeterminato di conti e di assicurare profitti complessivi di estremo rilievo. E allora, il quesito al quale, in un futuro la suprema Corte potrebbe volere o dovere fornire una risposta potrebbe essere il seguente: l'accettazione del rischio a fronte dell'effettiva applicazione di tassi usurari deve essere unitariamente e indistintamente considerata o esiste una “graduazione” del rischio stesso che può consentire o imporre di tracimare dal dolo eventuale a quello diretto, quantomeno a livello di “ effetti” sulla sussistenza del reato? Qualsiasi accettazione di rischio, anche elevatissimo, determina la non rilevanza penale della condotta oggettiva tenuta? Può essere forse questo l'“adattamento” autorevolmente richiamato dalla suprema Corte Potrebbe trattarsi, per molti aspetti, di una soluzione auspicabile, in grado di fornire maggiori garanzie sul piano della valutazione dell'elemento soggettivo ai potenziali imputati senza di fatto deresponsabilizzare sostanzialmente (almeno in chiave penale) i medesimi, con riguardo all'applicazione dei tassi di settore. |